Inizialmente mi è parso strano: la proposta di
abolizione del valore legale del titolo di studio avviene a poca distanza dall'
introduzione di una nuova certificazione, che ha compiuto il suo primo anno di vita proprio in questo mese di gennaio 2012.
Mi riferisco al "
Livello A2 di conoscenza della Lingua italiana", necessario agli stranieri che fanno richiesta di permesso di lungo periodo, secondo la normativa europea. Ne abbiamo trattato su queste pagine e non mi dilungo.
Mi soffermo invece sull'apparente contraddizione. Da un lato il mercato del lavoro si apre a forme di reclutamento liberalizzate, nelle quali conta di più il contenitore del contenuto e il prestigio dell'ente certificatore garantisce meglio di quanto possa la dichiarata competenza del laureato.
Dall'altra la stessa competenza mantiene invece il suo valore
tout court e se il titolo non c'è il foglio di carta è messo in attesa.
Naturalmente anch'io mi faccio prendere dalla voglia di semplificazione e non introduco osservazioni pure importanti. Per esempio non sottolineo che, per lo meno e per ora, il percorso universitario non viene soppresso, mentre eventuali percorsi scolastici utili agli stranieri interessati non sono neppure presi in considerazione: se rapportiamo con obiettività offerte e domande, ossia risorse economiche e umane agli enti preposti, i Centri Territoriali, e numeri dei candidati - nella sola Lombardia sono stati qualcosa in più di 25.000 fino allo scorso dicembre - ci rendiamo conto che venticinquemila persone non ce l'avrebbero fatta a iscriversi ai Corsi di italiano, gli organici non sono acqua.
E non sto troppo a pensare che il futuro avvocato ha a disposizione qualche anno per esercitarsi sul Codice Civile, mentre l'istituzione non prevede, per il "futuro" cittadino, spazi e tempi necessari e sufficienti per imparare la lingua del paese in cui abita, lavora, guida, cura e fa studiare i suoi figli, spende soldi e paga le tasse. Non sto troppo a pensare che
basta un test per spianare la strada all'integrazione.
Rimango sulla contraddizione, perché, nonostante siamo in democrazia e la diversità dei punti di vista rappresenti una nobile ricchezza, qualcosa non mi convince. Com'è che di qui il
ranking sostituisce il
merito e di là lo stesso
merito si trova a fare i conti solo con la personale buona volontà, senza coperture, facilitazioni e tutto sommato nemmeno speranze?
Com'è che di qui qualcuno farà da garante e di là i ritenuti garanti vengono bacchettati [
cfr rassega stampa Cgil Bergamo 13-01-12, pag.11] senza tante storie e un po' alla chetichella?
Vuoi vedere che non di contraddizione si tratta, ma di lineare e unico atteggiamento dai toni discriminatori?
E che il vero discriminato non è solo il cittadino italiano laureato, o il cittadino straniero regolare, ma il concetto di "pubblico", come terreno di pari opportunità e uguaglianza di norme per tutti i cittadini? Se così fosse, l'obiettivo sarebbe sempre più di offrire alternative a quanto, nel pubblico, lavora in tale direzione, a prescindere da interessi o senso degli affari come
primum movens.
Vedremo: ai laureati ci penserà la consultazione nazionale, agli stranieri tavoli di vario genere. Come si addice in democrazia. Il tempo è sempre un buon consigliere. E magari lo stesso
accordo di integrazione, che suggellerebbe il
permesso a punti, slitterà a settembre.
Intanto però vale la pena di attivarsi, Regioni, Province, Prefetture, Enti, Fondazioni, Associazioni e Opere varie della succursale Italia: i
Fondi europei non aspettano.