Retrovie.
Laddove le notizie arrivano impure, mediate, attraversate dal telefono senza fili del gossip, dello scoop, dei "salotti" buoni.
Nelle retrovie, ragazze e ragazze, ma anche donne e uomini, attendono.
Di capire.
Più o meno come la bella piemontese, vacca di alto lignaggio, attende il suo inevitabile carnefice.
Lo sapete voi cosa succede, voi, abitanti dell'urbe? Succede che la stalla si zittisce, i gatti si accoccolano e i cani da guardia guardano impotenti.
Lui arriva, fa il suo lavoro e voi, domani, voi mangerete: ottime costate non troppo al sangue.
"Mors tua vita mea": così è sempre stato. Il motore, dio volesse immobile, non ha mai smesso di agitare i suoi ingranaggi.
Qualche volta il macellaio si fa sostituire (c'è sempre qualcuno che, per una buona paga, accetta il cruento lavoro), ma anche cambiando il volto dei fattori il risultato non cambia: tu mangerai.
La promessa sta fuori, fuori dalla stalle e fuori dalle retrovie. E' una regola aurea, genetica e assoluta, nulla di nuovo sotto il sole: qualcuno aspetta e qualcuno mangia.
Qualcuno continua a nascondere dietro i suoi abbaglianti (
scusa, non vedevo bene) i suoi piccoli e grandi privilegi; qualcun altro forse soffre, ma, in fondo in fondo, spera arrivi presto il suo turno (
scusa, ora tocca a me).
Dalle retrovie una domanda: tutto questo trambusto sarà una resa, una sconfitta o una vittoria?
No, questo incipit è moralistico e deprimente. Persino nel Nord Italia ha smesso di piovere. Cambiamo copione.
Dalle retrovie una domanda: ci prendono per scemi?
Ragazze e ragazzi si alzano: l'impero non è caduto.
Donne e uomini si alzano: l'impero vive.
Ragazze e ragazzi, donne e uomini, si scrollano di dosso la polvere del sempre. Il
sempre uguale, da quando si giocava a Risiko o Monopoli. Dimmi che gioco fai e ti dirò come sarai.
Ragazze e ragazzi, donne e uomini, spengono palinsesti noiosamente omologati; allontanano autonomie pericolosamente verticali; abbandonano i palazzi dell'ovvietà.
Si alzano e raccontano.
Sì, questo è un buon incipit, antico come le montagne: in principio era il logos, la parola, il verbo che non teme la sua umanità.
Ragazze e ragazzi, donne e uomini parlano.
Della nudità imperiale: imperatori cavalcano la storia, fingendo popolari look. Ingenuità improbabile, eppure più intoccabile dello sguardo di un bambino che ha per occhi gli occhi dei secoli.
Della morte violenta di ragazzi sfortunati, capitati in prigione nel momento sbagliato, in mezzo a sguardi più offuscati dei loro. Difficile che sfortuna e lucidità coincidano.
Del re di bastoni, rigido sotto i suoi capelli verdi, che scaccia dai corridoi appena candeggiati chiunque tenti di sporcarli solo per raggiungere sedie non elencate nel mansionario. La premessa è: non dateci fastidio.
Delle autonomie trasformate in autoscontri dalle donne di picche, che confondono fiore con cuore, non sopportando che Biancaneve ne abbia uno, e ai quadri dicono: fate come noi o la partita è persa.
Ragazze e ragazzi, donne e uomini, raccontano.
Che vogliono giocare secondo le regole, che vogliono trovare sedie per tutti, che vogliono usare lenti trasparenti, che vogliono ripulire vetri e cuori, che vogliono mangiare verdura se la carne scarseggia, che vogliono ricominciare a dire le cose come stanno, perché o si riparte di lì o non si riparte. Nemmeno in Maserati.
E mentre il solito infiltrato, incurante di menzogna o verità, resta solo con il suo bottino a rischio di liquefazione, ragazze e ragazzi, donne e uomini, si cercano, accendono piccoli fuochi e si preparano al brindisi.
Non brinderanno alle nuvole di ieri, ma al sole di oggi, un sole che nessuno riuscirà a coprire, nonostante i fiumi di fumi grigi scatenati dai centurioni.
Ragazze e ragazzi, donne e uomini, escono dal fango e bevono, guardando oltre i colli.
Loro lo sanno: sanno che è importante non dimenticare il passato.
Ma sanno qualcosa di più: davvero importante è non dimenticare il futuro.