Ordini e disordini
Francesco Di Lorenzo - 05-11-2011
Dallo Speciale Notizie dal fronte 2011-2012



Mentre in tutto il Paese gli studenti protestano contro speculatori, banchieri e imprenditori, la questura si appella ai presidi. Lo si legge in un nota diffusa ieri, in concomitanza con l'apertura del G20 a Cannes. Non si capisce bene, però, cosa dovrebbero fare i dirigenti scolastici. Segnalare subito l'assenza ai genitori? Fare una tirata di orecchie a chi sceglie di manifestare piuttosto che studiare? Gridare e arrabbiarsi? Dire loro che conviene star zitti e non protestare? Sembra di essere tornati indietro di una quarantina di anni. Precisamente al '68, quando qualche preside, mentre montava la protesta in tutto il mondo, minacciava il sette in condotta agli studenti con i capelli lunghi o alle signorine che osavano non indossare il grembiule. Speriamo che qualcosa avvenga. Non se ne può più dei tanti guardiani di un ordine così disordinato ed escludente. Che serva almeno per riflettere su quante migliaia di ragazzi, per colpa dei tagli e di un'idea sbagliata di selettività, sono stati e saranno esclusi dal sapere minimo. Quel sapere minimo che avrebbe loro garantito - almeno - qualche strumento in più per partecipare. Ma proprio qui sta il punto: chiediamoci chi vuole - veramente - che ci sia partecipazione alle manifestazioni promosse e programmate dai giovani. Anche tra quelli che a parole dicono di volerlo, si intende.

In una scuola media di Genzano, provincia di Roma, si insegna 'pro socialità' con ottimi risultati. Il progetto condotto nella scuola Garibaldi, in collaborazione con l'Università La Sapienza, ha avuto un'accoglienza insperata. «La nostra teoria è che la "pro socialità", cioè quei comportamenti volontari diretti a portare beneficio agli altri, è un fattore protettivo, ma anche un facilitatore del recupero di soggetti a rischio di comportamenti delinquenziali» ha spiegato Gian Vittorio Caprara, professore ordinario di Psicologia della personalità.
Alla fine del percorso, confrontando i risultati con i ragazzi di altre scuole, si sono viste enormi differenze. Chi aveva seguito il programma dimostrava condotte meno aggressive. La conclusione dei ricercatori è stata che mettendo a regime tale progetto, ci sarebbero molto meno interventi dopo, quando la situazione è già compromessa. Si farebbe semplicemente prevenzione. Che per molti è un termine astruso e non rientra nel novero delle possibilità.
Alla questione si sono interessate, invece, molte aziende ospedaliere della Lombardia. In breve, i servizi di neuropsichiatria hanno messo a punto, come a Roma, un programma di 'azioni volte a potenziare le competenze 'pro sociali' degli adolescenti. Anche qui i risultati si sono rivelati ottimi. L'amara conclusione è che alla fine, però, sommando le due esperienze, risultano coinvolti un totale di 230 ragazzi. Con tutta evidenza, un po' poco. Ma le ottime pratiche, si sa, da noi non si prendono in considerazione.

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 Lara Giunta    - 06-11-2011
Da noi le ottime pratiche si combattono e pare quasi che a regime si sia messa non la pro, ma l'anti socialità. Questa maniera indecente di trattare la scuola non dipende solo dal bisogno di soldi, ma è una scelta politica, perché peggio funziona la scuola, più facilmente si può governare un paese badando solo agli affari propri.