breve di cronaca
Dimenticare Genova
La Repubblica - 06-11-2002
Il fantasma di Genova aleggia sul Social Forum di Firenze. E l´inquietudine che ne discende tradisce la grande manifestazione dei no global che comincia oggi, facendola apparire soprattutto un problema di ordine pubblico. L´allarme non è artificiale, la preoccupazione è legittima, l´ansia è comprensibile. La considerazione che in Toscana non c´è alcun G8 da contestare non aiuta a esorcizzare la paura. Nessuno è in grado di prevedere se entreranno in azione i black bloc, né quale sarà questa volta la "tenuta" delle forze dell´ordine.
Il timore di gesti violenti è palpabile, sui siti on-line, sui giornali, nelle conversazioni c´è una gran confusione sull´arrivo dei barbari, senza troppo distinguere tra pacifisti radicali e guerriglieri urbani. Le voci serene sono state finora sovrastate da quelle di leader dell´ala dura del movimento come Luca Casarini e di politici come Silvio Berlusconi, involontari alleati nel buttare benzina sul fuoco: l´uno ironizza a sproposito sulle vetrine fracassate, l´altro, come se non avesse responsabilità di governo, annuncia devastazioni che "certamente" verranno. Appaiono perfino patetici Bernard Cassen, guru francese di Attac, e Vittorio Agnoletto, altro capo antiglobal dall´incerto seguito, nel loro disperarsi: parlano per ore dell´opposizione al neoliberismo, alla guerra e al terrorismo, e poi quotidiani e tv si occupano solo della difesa della città e del suo patrimonio artistico.
In realtà, il bisogno di sicurezza è merce che vale molto al mercato della politica, mentre il destino del nostro pianeta è questione troppo complessa per appassionare l´opinione pubblica. Eppure è proprio su un´idea del mondo che a Seattle, Porto Alegre, Genova, Firenze si fronteggiano e cozzano due opposte teologie.Da una parte ci sono i fedeli del Washington Consensus, le cui linee dogmatiche e operative sono dettate dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario, dal Tesoro americano in una linea di globalizzazione: che vuol dire sviluppo dei mercati finanziari globali, crescita delle imprese transnazionali e loro dominio sulle economie dei singoli paesi. A questo modello, che si è chiamato globalizzazione ma ha rappresentato l´americanizzazione del mondo, si contrappone la teologia negativa di chi vede solo disparità crescenti tra nord e sud e abissali iniquità nel processo di integrazione dei mercati: ovvio che questi integralisti individuino il grande nemico negli Usa, il colosso economico dell´Occidente, che negli ultimi sette anni ha pesato da solo per almeno il quaranta per cento della crescita totale. E proprio alla protesta antiamericana è dedicato uno dei principali appuntamenti di oggi, davanti alla base militare di Camp Darby, tra Pisa e Livorno.
I due schieramenti portano buone ragioni. La globalizzazione, pur con la sua prepotenza e le sue distorsioni, produce comunque ricchezza e finisce col favorire aree del mondo finora sottosviluppate. Il finanziere e filantropo George Soros ha teorizzato che garantisce anche un livello di libertà superiore a qualsiasi singolo stato. Ma i giovani militanti delle organizzazioni antiglobal e pacifiste sono più sensibili ad argomenti che parlano al cuore: vedono che il mercato non è in grado di assicurare la giustizia sociale e la difesa dell´ambiente e protestano perché non garantisce né lo sviluppo sostenibile (che non eccede cioè nello sfruttamento delle risorse naturali), né la lotta alla fame.
Certo, tra i fondamentalisti del mercato, politicamente schierati a destra, e gli attivisti no global, in grandissima maggioranza di segno opposto, è impossibile il dialogo. E non deve meravigliare che dal più profondo centrodestra sia montata la tentazione di vietare comunque l´adunata. Ma la sinistra, i Ds e almeno in parte la Margherita, dovrebbe trovare il coraggio e l´orgoglio di impegnarsi nella difficile sfida di trasformare il rischio Firenze in un´occasione: per cercare la convivenza con alcuni fenomeni antagonisti, mediaticamente rilevanti, che le sottraggono consenso. Forse l´apertura ai no global del presidente della Toscana Claudio Martini e del sindaco di Firenze Claudio Domenici, entrambi diessini, è stata un po´ casuale e un po´ facilona; ma poiché è avvenuta, é proprio impossibile cercare di trasformare certe istanze di protesta in politica pragmatica? Non si tratta di corteggiamenti furbeschi: le due prospettive di sinistra, quella radicale e quella di governo, possono trovare punti di contatto nella prospettiva di uno sviluppo più equo. Sergio Cofferati ed Ermete Realacci, nell´articolo apparso domenica su Repubblica, sembrano muoversi in questa direzione: "Firenze può dare una spinta forte per fare dell´Europa il promotore di un progetto diverso, meno miope e più solidale".
In grande maggioranza i giovani che arriveranno a Firenze sono spinti dalla voglia di giustizia, dall´indignazione contro le iniquità, dalla protesta contro i drammi intrinseci all´economia. Sono portatori di domande sul nostro futuro. Lo fanno in maniera ingenua, parziale e contraddittoria: certo è risibile chiedere salari tedeschi, orari francesi e welfare svedese, ma è più grave trattare come nemici questi ragazzi, un po´ confusi e un po´ sognatori. Il governo ha deciso di mantenere il Forum a Firenze, e ha fatto bene, Fassino si è impegnato a uno sforzo comune per uno svolgimento sereno delle manifestazioni e ha fatto bene. I cittadini di Firenze, lo Stato e i ragazzi del movimento, come ha detto il prefetto Achille Serra nelle ore della vigilia, hanno l´interesse convergente che non ci sia alcuna violenza. Tocca a tutti evitare ogni strumentalizzazione, combattere ogni provocazione, smascherare ogni ambiguità: perché ogni strumentalizzazione, ogni provocazione, ogni ambiguità può sfociare, come è già accaduto, nel corto circuito dell´incomunicabilità e dei disordini.
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