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O' gallo 'ncoppa a città?
Gianfranco Pignatelli - 11-05-2011
Fa o' gallo 'ncoppa 'a munnezza, letteralmente: fa il gallo sulla immondizia. Significa ringalluzzirsi o menar vanto per un non nulla. Un po' come riuscire con le donne per soldi, ottenere consenso politico per compenso, essere imbonitori e chiamarsi imprenditori, dirsi a posto con la legge dopo essersi fatto le leggi. La locuzione è napoletana e, non a caso, s'addice a Napoli e al gallo nazionale. Quello che raduna intorno a sé e ai cumuli di rifiuti campani tutti i ratti neri della politica italiana. Così ha vinto, nell'ordine, le elezioni politiche, provinciali, regionali. Ora punta al comune di Napoli.
La classe politica che con lui governa a Roma, come a Napoli, è frutto del medesimo percolato di monnezze e nefandezze. Quello delle cosche che importano veleni e li occultano, quello della politica che piazza, dove serve, servi e vermi di antica e comprovato obbedienza, quello della imprenditoria locale che sversa e ingrassa. Col gallo 'ncoppa a questa triangolazione, dal 1994 a oggi, per non far nulla, sono stati spesi 3 miliardi e 548 milioni di euro. Sono state emesse 25 ordinanze emergenziali. Ma l'emergenza è ancora lì, come le cataste di rifiuti in putrefazione per strada a dispetto dei decreti che la negano solo per compiacere chi promette miracoli che non sa realizzare. Ai commissari, assoggettati solo al controllo del governo, è stato concesso il regime di gestione straordinaria e di shock economy sperimentata in occasione del colera (1973) e del terremoto (1980). Sebbene stavolta si sia lucrato molto di più che sull'evento straordinario epidemico e sismico, non si è ottenuto nulla, né con gli interventi onerosi, dagli effetti a venire, né con quelli a costo zero, dagli effetti immediati. Né con la raccolta differenziata, né con i termovalorizzatori. Non si sono ridotti gli imballaggi delle merci e neppure gli articoli usa e getta che, da soli, rappresentano - rispettivamente - il 60% e il 10% del volume e la metà del peso complessivo dei rifiuti accumulati in città. Non si è provveduto al riciclo dei materiali di cui sono composti i rifiuti e neanche al recupero dell'energia ottenuta bruciando le frazioni combustibili residue, magari gassificando i resti organici e portando in discarica solo le minime parti che rappresentano gli avanzi di una gestione virtuosa dei rifiuti. Nulla. Perché, nei consorzi di gestioni, sono stipati LSU e camorristi infiltrati. 25 mila addetti: quattro volte quelli necessari. Ai vertici sempre i soliti parassiti del sistema politico-malavitoso, proliferato all'ombra dell'imprenditoria parassitaria e stracciona. Quella che campa di espedienti e connivenze, leggi speciali e tangenti, finanziamenti pubblici e pizzi privati, favori e relazioni inconfessabili. In basso i cittadini, vittime e imputati ad un tempo. Nella fascia intermedia i boiardi di stato, incapaci di attuare programmi di lavoro e gestire in modo oculato le risorse finanziarie, strumentali e umane, con le quali produrre risultati corrispondenti alle necessità e alle disponibilità finanziarie dilapidate. Un fiume di denaro e un mare di debiti, con tanti crediti inesigibili e troppi addetti, con enti di gestione e consulenti collusi con una protezione civile che non sa proteggere il Paese, quello civile per davvero, ma genera sempre cortocircuiti sociali dei quali disconosce le responsabilità e non sana gli effetti. Intanto, 6 milioni di ecoballe, con rifiuti indifferenziati, sono disseminate nelle campagne campane. Da loro sgorgano due fiumi carsici. Uno, quello del percolato, scorre nel sottosuolo fino ad avvelenare le falde acquifere e immettere tossico in tutta la catena alimentare e nell'aria. L'altro è un fiume economico. Nasce con la locazione dei suoli e si trasforma in autentico vitalizio occulto per quella camorra che si disobbliga garantendo l'appoggio elettorale all'attuale esecutivo. Riemerge poi, alla luce del sole, con riconversioni e speculazioni finanziarie, ma più di tutto, con attività imprenditoriali ed in luoghi insospettabili, magari nell'opulento nord Italia, in Europa o nei paradisi fiscali. E pensare che la Campania è una delle regioni europee più fornite di impianti per la separazione meccanica dei rifiuti, addirittura superiori al fabbisogno. Peccato siano utilizzati solo come frullini per mescolare umido e secco prima di mandare il tutto in discarica o nel solo termovalorizzatore di Acerra. Sì, proprio quello aperto per l'inaugurazione con tripudio del gallo e, subito dopo, fermato per riparazione. Infine richiuso per cattiva progettazione. Poi riaperto, per rompersi - spesso - in toto o in parte, per funzionare - comunque - poco e male. In sintesi, il vero tripudio è dei cumuli e dei miasmi da prelievi mancati e discariche urbane inadatte e nocive. Basti pensare che quasi tutte, individuate dalla protezione civile di Bertolaso e approvate dal governo di centro-destra con la legge 123/2008, sono in cave ed aree naturalistiche protette, proprio dove le norme comunitarie e nazionali lo impediscono, come il parco nazionale del Vesuvio. Una, la più recente e la più grande, a Chiaiano, è a ridosso della zona ospedaliera, una vera enorme città della malattia e della cura affacciata sulla spazzatura. Lo sanno bene degenti e parenti, ma l'ASL Napoli 1 no. Lei, però, non odora, non vede, non sente, non dice e, soprattutto, non reagisce mai. A imporre queste illegalità e illogicità le forze dell'ordine mandate a presidiare le cave di Chiaiano e a pestare a sangue i suoi cittadini. Lì, dal 2008, c'è un esercito di occupazione con militari messi a tutelare la non tutela del territorio e della salute pubblica. Un plotone schierato per una esecuzione lenta, una condanna a morte senza colpe e senza appello. Per indennizzo - manco a dirlo preelettorale - affida ad una ditta di Casal di Principe la realizzazione, a caro prezzo, di una sottiletta d'asfalto lungo la strada che porta alle cave, distrutta dai compattatori che ogni notte tengono sveglia la popolazione locale col rumoroso andirivieni. Intanto, in tutta la Campania , i cumuli si materializzano e si dissolvono come per miracolo. Infatti, così come quello di s. Gennaro, il miracolo monnezza si ripropone periodicamente. Si rinnova ad ogni vigilia elettorale, e non liquefa sangue ma percolato. In compenso, ha tanti seguaci. Creduloni più che credenti. Spesso portati al voto - manco a dirlo - dalla camorra, per la camorra e per i suoi amici.

Non ci sono parole che bastino a descrivere la profonda, insanabile prostrazione patita dalla parte maggioritaria del popolo napoletano - da sempre, civilissimo, industrioso e creativo - nel vedere la propria città devastata e umiliata, la sua dignità e salubrità compromesse per sempre. Città di origine greca che fu eden preferito dagli imperatori romani, sede del primo ateneo voluto da Federico II di Svevia. E ancora, capitale tra le più ricche e popolose d'Europa, col Banco di Napoli che - fino alla unità - sosteneva, con la propria impareggiabile prosperità, imprese e sovrani dell'intero continente, medaglia d'oro della resistenza e molto altro ancora. Tutto questo, e molto di più, è sommerso da montagne di fango. Fango, non monnezza. Questa si rimuove, si ricicla o, peggio, si brucia. Il fango ti resta addosso, te lo porti per sempre e ovunque. L'immondizia è stata buttata in città dai campani, il fango è stato buttato addosso a Napoli, da tutti, per meschini interessi di parte. In primis ci ha pensato l'informazione disinformata, disinteressata, asservita e accanita. Il mandante e il beneficiario di questo linciaggio è sempre il solito gallo. Quella supina al gallo che la cavalca per dire: la sinistra vi ha inondato di monnezza, io vi mando l'esercito a toglierla a una settimana dal voto. Poi, per completare lo scempio, tappezza di manifesti la città, li fa affiggere dovunque da squadracce di fascistoidi e guagliunera dei clan. Alla segnaletica stradale, sulle facciate dei palazzi monumentali, sugli alberi e, metaforicamente, pure sui cassonetti per la raccolta differenziata.

Ma c'è un'altra locuzione in uso a Napoli: 'cca nisciun è fesso che non ha bisogno di essere tradotta ma ha tanto bisogno di essere dimostrata. Il 15 e 16 maggio, per esempio. Occorre dimostrarlo a chi governa attualmente l'Italia e, indirettamente, Regione Campania e Provincia di Napoli. E ha governato poco meno della metà del Duce, più di chiunque altro nella storia dell'Italia repubblicana. In 17 anni: più della somma dei 10 governi Andreotti, Cossiga e De Mita. Non può smarcarsi da qualsivoglia responsabilità. I napoletani devono scegliere se mandarlo a casa, compiendo una salutare catarsi, o accrescere il dramma Napoli fino al martirio.

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 Grazia    - 23-05-2011
Come sempre un'analisi lucida e spietata.
Complimenti.
Grazia