Perché la scuola? Quali le sue finalità? Proviamo a individuarne le principali:
a) suscitare in chi la frequenta l’interesse verso il sapere;
b) educare alla libertà nella responsabilità;
c) trasmettere alle generazioni che si succedono nel tempo la consapevolezza del valore di ciò che il passato ha trasmesso al presente, la percezione della continuità culturale fra ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà;
d) insegnare a ragionare in forma rigorosa, coerente e aperta;
e) far percepire la complessità e la difficoltà dell’esistenza;
f) valorizzare le diverse visioni del mondo ponendole fra di loro in dialogo;
g) far assimilare una serie di conoscenze solide e nello stesso tempo “gratuite”, vale a dire non direttamente spendibili sul mercato del lavoro ma capaci di far inserire chi le possiede in qualsiasi ambiente professionale;
h) porsi come alternativa all’informazione massificata, senza inseguire la contemporaneità (o, peggio, la cronaca) ma fornendo gli strumenti per decostruire qualunque notizia;
i) educare allo spirito critico e al dialogo costante fra le persone.
Si tratta di obiettivi che non possono essere conseguiti senza l’attiva condivisione da parte dei soggetti del processo educativo. Non esistono, per questo, scorciatoie. E bisogna partire dagli insegnanti per il semplice fatto che senza una loro partecipazione consapevole non è possibile alcuna riforma della scuola. Che cosa, quindi, potrebbe contribuire a migliorare l'impegno e la motivazione dei docenti nel loro lavoro? Quali sono le esigenze più importanti? Anche qui, proviamo a formulare un sintetico elenco:
a) restituire loro la responsabilità nel processo educativo, una responsabilità che è prima di tutto socratica e cioè caratterizzata dal rapporto diretto e vivo tra la «persona» dell’allievo e la «persona» del docente;
b) valorizzare socialmente una professione che negli ultimi trent’anni è stata sistematicamente svilita;
c) migliorare le retribuzioni, che sono del tutto inadeguate alle responsabilità che ineriscono all’insegnamento;
d) collegare la docenza media a quella universitaria attraverso non solo la partecipazione a dei corsi ma anche mediante la possibilità di tenere dei seminari per quei docenti che possiedano precisi requisiti;
e) prevedere, allo stesso scopo, anche degli anni sabbatici;
f) distinguere nella gestione della scuola la responsabilità amministrativo-contabile, da lasciare a presidi e direttori, da quella educativa, da affidare a una figura scelta dal Collegio docenti fra i colleghi che rispondano a determinate caratteristiche;
g) fornire a ogni docente un proprio «spazio fisico» all’interno dell’edificio scolastico, spazio che consenta di sentire l’istituto come casa propria. I docenti, infatti, sono gli unici a non avere una stanza personalizzabile rispetto non solo ai dirigenti e al personale amministrativo ma anche ai bidelli;
h) aumentare le dotazioni strumentali come computer, stampanti, fotocopiatrici, fornendole ai docenti in numero adeguato alle loro esigenze professionali;
i) investire, insomma, molto danaro nella scuola…
Di contro, andrebbero progressivamente risolti alcuni problemi che pesano molto e in negativo nella vita quotidiana di chi insegna:
a) mancanza -come detto- di uno spazio fisico e autonomo di lavoro;
b) l’incompetenza, la prevaricazione, l’incapacità di dialogo di molti «Dirigenti Scolastici»;
c) le pretese di successo garantito da parte di alcuni studenti e delle loro famiglie;
d) i problemi disciplinari nella vita quotidiana in classe;
e) un aumento esponenziale delle incombenze burocratiche rispetto a quelle didattiche;
f) le richieste di lavoro volontario non retribuito e quindi la percezione di una professionalità debole;
g) la sensazione, per concludere, di sentirsi ospiti e non protagonisti della vita scolastica.
La professionalità del docente ha come condizione generale e, nello stesso tempo, come conseguenza positiva la difesa delle finalità critiche, culturali, educative della scuola, alle quali invece sembra che sia i governi dell’Ulivo che quello del Polo intendano sostituire degli obiettivi di tipo quasi esclusivamente funzionalistico ed economicistico, miranti solo al mercato del lavoro e all’imporsi di una forma mentis aziendalistica. Pensiamo, invece, che la scuola possa e debba essere cambiata e ricostruita a partire da alcuni principi semplici e chiari.
Fare del docente il fulcro di ogni riforma e il vero responsabile dell’insegnamento, poiché avranno successo solo quelle innovazioni che viaggeranno sulle gambe di chi nelle scuole opera tutti i giorni.
Liberare l’attività di insegnamento da imposizioni amministrative, gerarchiche e collettivistiche per legarla invece alla comunità scientifica di appartenenza, garanzia di qualità del sapere e di costante rinnovamento didattico.
Costruire un ordine professionale, nel quale i docenti che lo vogliano possano trovare sostegno e che nello stesso tempo garantisca sulla responsabilità dei risultati. Un ordine che caratterizzi gli insegnanti in quanto professionisti che lavorano nel settore pubblico senza essere però impiegati della pubblica amministrazione.
Porre al centro della scuola né lo studente né il docente ma quel rapporto educativo dal quale soltanto scaturisce l’apprendimento e, con esso, la crescita delle persone.
Bisogna tornare a puntare in alto, ad affidare la complessità della scuola non alle strutture o agli strumenti ma alle persone vive, libere, dialoganti fra di loro, per fare dell’insegnare e dell’apprendere un’espressione di saggezza educativa.