breve di cronaca
IL RACCOGLIMENTO NON BASTA PIÙ
La Gazzetta del Sud - 04-11-2002
LETTERA APERTA AL MINISTRO DELL'ISTRUZIONE



Lucia Tarro Celi *



D i fronte alla tragedia dei bambini morti sotto le macerie del terremoto di San Giuliano di Puglia, la proposta del ministro Moratti di far osservare nelle scuole alcuni minuti di raccoglimento è espressione certamente di sensibilità umana, perché almeno sul piano simbolico, si tenta di fissarne l'evento, la memoria, la dimensione tragica. Ma questa volta non basta! Quanti lutti, quante tragedie, quante guerre, quante vittime sono stati attraversati da questi riconoscimenti collettivi che sono serviti in qualche modo a intercettare un'umanità colpita, piegata, ferita. Ma questa volta no! Questa volta un po' tutti noi ci sentiamo sotto le macerie, forse di più rispetto all'11 Settembre, perché l'idea che quelle macerie abbiano distrutto la vita di bambini nel punto più bello dei loro giochi, dei loro studi, delle loro feste, della loro vita, è insopportabile, così come è insopportabile l'idea, che tanti altri bambini, in altre parti del mondo vengano dilaniati da bombe e da ordigni di guerra. Così, come spero, non sia retorico affermare che è insopportabile l'idea che tante madri, in queste ore, vigilino ancora sui corpi dei propri figli, chiuse nelle roulotte, chiuse in un dolore che non conosce la ragion di stato, né l'ineluttabilità di un evento naturale come il terremoto, perché quel dolore è universale. E allora sento che quei minuti di raccoglimento non bastano, signor Ministro, e vorrei umilmente spiegarne le ragioni, partendo da quella profonda inquietudine che attraversa tutti noi, oggi, nel mondo della scuola, e che in queste ultime ore sta diventando sempre più profonda, fino a coincidere, forse, con le macerie della scuola di San Giuliano. Forse non è il momento per affrontare questi temi, ma sento che c'è un'abissale distanza tra l'esperienza di tutti noi, studenti e docenti compresi, nelle aule scolastiche e il resto del mondo, anche quando questo mondo è attraversato da dolori, tragedie, ma anche da gioie ed eventi felici. La porta rimane chiusa e temo che anche nei minuti di raccoglimento da lei proposti, non riusciremo a intercettarci, a comunicare sguardi, emozioni, sentimenti veri. E non solo perché l'idea della morte è lontana, per fortuna, dai giovani, ma perché siamo tutti dentro un sistema mediatico che, in forma sempre più invisibile, sposta i confini della realtà, compresa quella dei sentimenti più profondi, in zone sempre più virtuali, spettacolari, morbose, agevolando quell'ingresso nel grigiore della “mediocrità” e dell'“indifferenza” del “pensiero” e dei “sentimenti” unici a cui la scuola non riesce a sbarrare il passo. Scrive Charles Taylor in “Il disagio della modernità”: «Il fatto che tu senti in un certo modo non potrà mai essere una ragione sufficiente a impormi il rispetto della tua posizione, perché la tua sola sensazione al di fuori di qualsiasi orizzonte di valori condivisi, non può determinare ciò che è importante». E, allora, perché non ricominciare da quelle macerie e iniziare a provare rabbia, oltre che dolore, per il fatto che quella scuola si è sgretolata, non solo per responsabilità del terremoto, ma, forse, per responsabilità politiche più complessive e che dentro quelle responsabilità non è casuale che San Giuliano sia un piccolo centro del Mezzogiorno, dove molto spesso siamo tutti stipati in aule precarie e fatiscenti, a fronte di strutture efficienti e colorate con cui il Nord d'Italia, ma anche del mondo, prepara e seleziona le proprie classi dirigenti. La rabbia deve essere forte, signor Ministro, anche all'interno di quei minuti di raccoglimento, lì deve essere vera, come vero deve essere il dubbio che a disegnare le differenze tra gli uomini non sia la mappa geografica dei luoghi, ma l'idea di un'umanità posta nelle condizioni di accedere a livelli alti di competenza, di professionalità, di qualità della vita e un'altra umanità posta ai margini del mondo. Questo è insopportabile, signor Ministro, ancor più del terremoto e delle sue vittime innocenti che richiedono, almeno un frammento d'incontro vero con le loro vite spezzate, con lo sgomento e il dolore di chi è rimasto e deve fare i conti con l'abisso che quel dolore ha scavato e scaverà dentro la propria esistenza. Quel frammento deve essere pieno di “pensiero”, di “consapevolezza”, di “emozioni”, che la scuola e il sistema formativo devono poter accendere tra le nuove generazioni, se vogliamo davvero, tutti insieme ricostruire a partire da quelle macerie. Il resto è pura ritualità. * Docente di storia e filosofia Liceo scientifico “Seguenza” Messina

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