Per una volta sperimentate sulla vostra pelle!
Libero Tassella - 14-04-2011
La risposta di Professione Insegnante a Pietro Ichino

Nell'articolo di Ichino sul Corriere del 31 marzo si nota che la preoccupazione è quella di sanare una vergogna pubblica con la regolarizzazione dei contratti dei precari. Cioè in pratica rendendoli tutti a tempo determinato, altro che indeterminato come pubblicizzato.
In realtà anche oggi nessuno è inamovibile, i licenziamenti ci sono anche nella scuola, certo solo per gravi motivi. Ma in questo caso la parte da cui si cerca di sanare il problema è quello a vantaggio dell'imprenditore, a cui dare tutele e vantaggi perché non si trovi sul groppone ingombranti dipendenti. Ha senso nella scuola un principio del genere?
Io credo che nella nostra società, lenta e stanziale, molto più di quella americana, non sia per ora possibile una proposta di questo tipo. Parlo per il settore che conosco, la scuola, ma in verità mi sembra deleteria anche per i lavoratori degli altri settori e mi chiedo come un partito nato come partito di massa che tutela i lavoratori possa ridursi a farsi strumento delle imprese come una succursale di Confindustria, ma mi limito a ciò che conosco.
Innanzitutto la colossale ingiustizia, quella che è stata portata avanti con faccia tosta imbarazzante nei confronti dei colleghi più giovani: i contratti "instabili" saranno solo quelli fatti d'ora in avanti, come se un collega quarantenne dopo essersi adeguato e inserito nell'insegnamento avesse molte più possibilità di un cinquantenne di riciclarsi in altro lavoro. In realtà la scuola si brucia molte nostre energie che non sono più rinnovabili, cioè altrimenti utilizzabili, se non in casi molto sporadici.
Lo spostamento dell'incarico poi sfiora il sadismo: prendendo spunto dalla migrazione dei precari che girano l'Italia per trovare lavoro, Ichino generalizza la risorsa dicendo: "se occorre l'insegnante, nel nuovo regime, può essere trasferito da un posto a un altro" dimenticando che non siamo proprio così intercambiabili tra scuole e province e le persone hanno anche diritto a una stabilità che solo in parte tutela dalla miseria: il trasferimento d'ufficio avrebbe alti costi per il dipendente, anche a prescindere dallo stress fisico e psicologico.
Ma andiamo sulla didattica: la declamata libertà di insegnamento dove andrebbe a finire se temessimo il licenziamento? Già così la categoria "garantita" degli insegnanti è tra le più timide, e timorose che si conoscano, togli le garanzie alla nostra indipendenza e resterà una pletora di signorsì. Conosco persone che tengono conto nella valutazione del formarsi della classe l'anno successivo, è umano, ma quanto sbagliato nel nostro difficile mestiere! Mestiere che dovrebbe essere considerato socialmente elevato per renderci, al di là di ogni dubbio, felici e lontano anche dalle più velate forme di "interesse personale" come quello citato.
Concludendo: se una riforma del lavoro è necessaria (e non è detto che lo sia) perché iniziare proprio dalla scuola, il settore che maggiormente ne soffrirebbe senza avere recato alcun vantaggio perché la popolazione scolastica è in aumento e non accenna a diminuire, mente si finge che i posti calino con provvedimenti di peggioramento del servizio?


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 C66    - 14-04-2011
Il "partito nato come partito di massa che tutela i lavoratori" negli ultimi vent'anni ha subito una metamorfosi così radicale che si stenta a capire in cosa si differenzi dal suo vituperatissimo avversario.
Contagiato nel periodo Clinton-Blair da una fanatica infatuazione per il modello americano il nostro sedicente centrosinistra cerca da allora di imporre alle nuove generazioni tutti i suoi svantaggi millantando vantaggi che da noi semplicemente non esistono.
Dopo qualche anno nella scuola perfino un brillante laureato trentacinquenne ha enormi difficoltà a riciclarsi in un altro settore, figuriamoci chi è già entrato negli "anta"!