Proteo, l'inafferrabile
Emanuela Cerutti - 12-04-2011
Una tre giorni di studio in territorio milanese dal titolo "Ricomporre Babele: educare al cosmpolitismo". Organizzatrice la Fondazione Intercultura che si occupa da anni di interscambi tra scuole e famiglie e apre la porta del suo sito con una citazione da Robert Hanvey, antropologo: "Chi è chiuso nella gabbia di una sola cultura, la propria, è in guerra col mondo e non lo sa".
Massimo Razzi sfoglia per Repubblica i ricchi materiali del convegno e si sofferma su un dato di realtà marca Ipsos: lo specchio - sondaggio ci rimanda un'immagine italiana frammentata davanti al diverso. Chi ne ha paura, chi si rassegna alla sua presenza, chi è curioso, chi incerto sul da farsi, chi gli sorride.

Menelao, come da copione, pone domande: quali sono i progetti della scuola per favorire l'integrazione? Come si muove sullo stesso terreno il territorio? E di quali armonie si fa garante la ricerca?
Proteo, l'inafferrabile, non ha mai voglia di rispondere, non è una novità e sui motivi si sono lambiccati il cervello in molti: fatto sta che dagli uffici comunali, provinciali, regionali, il multiforme manda stavolta segnali d'assenza con chiaro e sostitutivo riferimento all'Expo 2015, fiore all'occhiello del cosmopolitismo, e si sente ben rappresentato dal collegamento spaziale con l'astronauta Nespoli, in differita, naturalmente, perchè nemmeno il tempo riesce a essere uguale per tutti.
Però Menelao è testardo, come tutti quelli che cercano un senso, o che hanno un dolore, e affronta il rischio del sapere. Anche perchè il giornale lo ha detto chiaro: "Come spesso succede agli italiani, non sentendoci sicuri di noi stessi, ci affidiamo alla spesso vituperata e depauperata istituzione scolastica chiedendole di migliorarci. Così, quasi il 90% del campione (44,5% più 44,6%) ritiene sarebbe necessario o quantomeno utile un forte impegno della scuola per favorire l'integrazione culturale".
La scuola istituzionale di via Ripamonti allora parla.
Non della mancanza di risorse che impedisce di imparare davvero a scalare la Babele dell'incomprensione linguistica e sociale, non delle condizioni orarie e materiali che rendono impossibile uno scambio reale dentro le aule, non della necessità di aumentare l'offerta formativa a fronte di bisogni chiari e nemmeno più emergenti nei diversi settori della "pubblica istruzione", non di orizzonti degnamente interculturali da tracciare.
No. La scuola, istituzionale, riassume nell'acronimo Clil il profondo e concreto intento cosmopolita della Riforma delle Superiori: insegnare una disciplina in lingua straniera.
Il resto è proclama teorico e generico sull'obbligo qualitativo dell'insegnante - alla faccia dei mille sprechi, e spregi, esperienziali e formativi, che per la qualità docente sono beffa e sberleffo - e sulla preminenza dell'io nel "nostro" occidente che vede la "persona" in pole position. Non a caso "vede", perchè è lo sguardo che educa e accoglie. Burlesque.

Non so che ne pensi Menelao, che conosce gli orrori della guerra e ne teme le conseguenze. Non so se si stia chiedendo dove porterà questa rincorsa all'individualismo che nega le stesse radici della terra in cui gli è permesso esprimersi. O se, come gli antichi, stia ritenendo " troppo gran prodigio che uno diventi acqua e fuoco".
So cosa fa Proteo, il non bugiardo: "Tacque, e saltò nel mare, e il mar l'ascose".
Senza pretendere applausi.

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