Il Partito felicità
Giuseppe Aragno - 04-04-2011
Dallo Speciale Racconti



- E' tardi, sì. Che vuoi che ti dica? S'è fat-to tar-di! - sillabò urlando Marco, per dar spessore sonoro all'ira che montava. Si fermò un attimo, rabbrividì sfilandosi la giacca bagnata, poi riprese, come un pupazzo a molla che s'è incantato:
- E' tardi, sì, hai ragione, però non ti ci mettere anche tu, per favore. Piove, il traffico è impazzito e, come tutti i santi giorni, l'immancabile corteo di nullafacenti protesta, perché, si sa, così nasce un mondo migliore. E l'occasione non gli manca mai.
Sollevò gli occhi al cielo, sospirò profondamente per non farsi travolgere dalla rabbia e ricominciò, aiutandosi col corpo, le mani e le pieghe espressive del volto, come un mimo:
- Sciarpa arcobaleno, orecchini, tatuaggi, capelli di tutti i colori, slogan, bandiere e via. Oggi è il turno della guerra. Quattro gatti, il traffico in tilt e la polizia, vedessi la polizia! - urlò sdegnato - Li scorta, la polizia, li accompagna e sta a guardare!
Mutò tono d'un tratto, si fece ironico e sbottò:
- In palestra oggi non ci vai, caro Luigi. No! Diventi umano, paghi un prezzo anche tu alla guerra umanitaria e non ci vai!
Quando qualcosa si metteva tra lui, il figlio e i suoi "incasinati programmi", come li chiamava col vezzo un po' snob di sfiorare la parolaccia girandoci attorno, Marco diventava una furia. Non solo gli tremava la voce, ma la bella fronte larga si segnava di linee sottili e rivelatrici e lui non faceva nulla per evitarlo, anzi, lasciava che guastassero il bel viso curato e perennemente abbronzato e non se ne importava. Un fiume in piena, col suo "linguaggio medico" forzato alla bisogna, ce n'era per tutti:
- Accidenti alla paraldeide ipnotica di cui son imbottiti gli eterni sognatori, accidenti alla sinistra parafrenica, sempre in bilico tra cultura di governo e culto della rivoluzione, alla destra paralogica che s'è giocata la faccia per il potere, al governo paraculo, appeso alle faccende private del suo presidente, alla parafimosi dell'italiano, che strangola l'intelligenza con la furbizia e ha quel che si merita. Aveva ragione Mussolini: il "popolo puttana" sta col più forte.
Il linguaggio ha una sua logica e puttana era la parolaccia che col figlio si poteva lasciar scappare senza esitazioni.
- Ci sono cose che vanno dette come sono, con nome, cognome e indirizzo, sosteneva. Pochi mesi prima, gli era tornata utile per comunicare a Luigi il naufragio del "Partito felicità", come aveva voluto chiamare la sua piccola famiglia, che s'era disgregata in quattro e quattr'otto, il giorno in cui al suo fianco era apparsa una bionda vistosa che poteva avere l'età di sua figlia:
- Tua madre è una puttana, gli aveva detto, tienilo a mente e trattala come merita.
Luigi s'era fatto pallido. C'è un momento della vita in cui, senza saperlo, qualcosa ci ruba l'innocenza. Luigi l'aveva persa così, mentre usciva dalla cuccia, s'accorgeva del corpo, cercava una via tra gli impulsi del sesso e i mutevoli e crudeli confini di ciò che si può fare e ciò che si fa e non si dice. Marco era troppo pieno di sé, per sentire il dramma che esplodeva, per capire che il naturale scontro tra le generazioni assumeva le dimensioni traumatiche d'un conflitto tra persone e si faceva odio. La fine del "partito felicità" somigliava troppo alla crisi del suo mondo di adolescente e alla confusione indecifrabile della "vita da adulto" che lo aspettava, perché Luigi non ci vedesse una sorta di diluvio universale e non si trincerasse in un'arca di disprezzo integralista e fanatico, che non consentiva tonalità di grigio tra il bianco dell'infanzia e il nero ingestibile del futuro. Non ne aveva coscienza piena, ma una domanda lo tormentava: che sarebbe stato di lui? Sarebbe diventato come suo padre che s'era stancato del copione e l'aveva cambiato? Basta col "Partito felicità", s'era fatto il lifting, la macchina veloce e l'amante giovane, ma il coraggio delle sue responsabilità non ce l'aveva e perciò scaricava tutto sulla moglie.
- Così non sarò mai.
Il rifiuto era la sola certezza d'un ragazzo cresciuto in fretta nel dolore e troppo solo per non covare vendetta, mentre Marco insisteva.
- Non ci vai in palestra! E sai che ti dico? Prenditela con tua madre. Lei certamente sta con i pacifisti, i bastian contrari, che vivono di sogni e stanno coi dittatori pur di aver ragione. No alla guerra! E poi? Abbiamo il dovere morale di difendere i popoli oppressi. La guerra nostra è giusta. Questa guerra è la pace.
Luigi aveva occhi verdi che diventavano cobalto, quando dentro si scatenava la tempesta. E così, col mare in burrasca negli occhi, trovò il coraggio che gli era mancato, quando il padre se n'era venuto fuori con la storia della mamma puttana.
- Tu parli di guerra perché sei lontano da dove si spara e si muore. Vorrei vedere il tuo coraggio se quelli dall'Africa cominciassero a bombardare noi. Scapperesti. Vacci tu, se ci credi a quello che dici, va, falla tu la tua guerra, fatela voi, tu e tutti quelli come te, che parlano, parlano e mandano avanti gli altri. Non ci vado in palestra, né stasera né mai. Con te non ci andrò mai più!
Quel giorno Luigi diventò uomo, nacque alla vita e si scoprì ribelle. Oltre il padre, oltre la solita "crisi di crescenza". E' così che accade. D'un tratto una generazione prende sulle sue spalle il peso del cambiamento. Dietro ci sono quelli che hanno lottato e perso per un mondo migliore, ma Luigi non sa. E' una gemma che s'apre in fiore e diventa primavera della storia.
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