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Non basta un gol a riscattare una città
Monica Capezzuto - 16-02-2011
Ciclicamente accade che una volta toccato il fondo non si possa far altro che risalire. E spesso la risalita coincide con politiche azzeccate e una giusta dose di casereccio pragmatismo che non guasta. L'importante è arginare e lasciare che il fenomeno resti nei confini allargati ma pur sempre tali dell'evento sportivo in se stesso. Ovviamente il riferimento è alla squadra calcio Napoli.
Inutile ribadire di come i suoi successi ci rendano un pò più leggero il ritorno al lavoro il lunedì quando, bloccati in mezzo al traffico, gettiamo uno sguardo alle prime pagine che occhieggiano dalle edicole con i titoli celebrativi dell'ennesima impresa di Cavani o di come i commenti raccolti strada facendo, lascino trasparire un orgoglio calcistico ritrovato dopo anni di tribolazioni. Eppure c'è chi banalizza l'impresa sportiva e la rende oggetto di qualunquistiche dietrologie trite e ritrite che dovrebbero indignare non poco chi in questa città ci vive e ci lavora onestamente.
Mi riferisco ai commenti degli "opinionisti" nelle varie trasmissioni sportive serali che si lasciano andare a paralleli e voli pindarici tra il calcio e la situazione politica e sociale della città partenopea. Si va dal "golfo mortificato dai rifiuti" che trova la speranza nei successi della squadra, all'ultima "impresa" di un giornalista che, definendo il calcio Napoli un'azienda di successo, chiede al presidente De Laurentis di riunire le istituzioni napoletane ed insegnare loro come si fa a far funzionare la città. La risposta del presidente è una stilettata al fulmicotone tra l'imbarazzo generale dei conduttori in studio. E mi chiedo perché il successo di una squadra di calcio del sud meravigli tanto gli addetti ai lavori e debba necessariamente introiettare e assorbire tutte le problematiche legate ad una metropoli come quella napoletana che racchiude in sé contraddizioni inspiegabili anche ai suoi abitanti, che porta sulla propria pelle ferite ancora aperte di emergenze che sono normalità, di eccellenze invisibili ma reali, di laboriosità silenziose e produttive e sparute minoranze sfaticate e rumorose che poco illuminano questa città.
Nessuno chiese ai campioni del mondo del 2006 di insegnare all'allora presidente del consiglio come portare il paese ad essere anche un campione politico ma una nazione intera si limitò a festeggiare il successo sportivo. Ebbene, sarebbe auspicabile non caricare sulle spalle degli atleti oltre alle aspettative legate al discorso sportivo, il riscatto morale ed iconico di una città. A rialzare la testa devono essere i suoi stessi abitanti, siamo noi che dobbiamo far sentire la nostra voce, mostrare un nuovo volto e non annegare nell'indifferenza e nell'ineluttabilità di un destino segnato. Nel cambiamento bisogna crederci e ci vuole tanto lavoro. Non basta un gol a cambiare una città ma serve a regalare un sorriso e un pò di ottimismo per credere che migliorare ed incasellare un pezzetto di questo complesso puzzle chiamato Napoli nel proprio piccolo davvero si può.


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