A chi muore in alto e a chi muore in basso
Cristiana Fiamingo - 08-12-2010
"Voi non dovete pensare"

Due file di carabinieri ai lati e un manipolo di poliziotti davanti, tutti in assetto da OP [NdA - ordine pubblico], scortano il corteo degli Studenti degli atenei milanesi a raggiungere i miei colleghi, sul tetto della Facoltà di fisica della Statale di Milano. "Son brutti brutti brutti. Son neri neri neri. Non sono scarafaggi ma son carabinieri". Mi sorprendo a camminare al ritmo di quest'orrendo slogan, dietro allo striscione, tra gli Studenti, ma sebbene mi senta offesa per quei lavoratori e tenti di scrutarne l'espressione, mi concedo il diritto di essere confusa per quanto sono arrabbiata, mentre alcuni ragazzi si scambiano il sacchetto di ghiaccio per tamponare gli ematomi sulla testa e la ragazza sbattuta contro il palo della luce si regge la schiena, sofferente. Difficilmente mi abbandoneranno le immagini di quegli scontri gratuiti. "Ah, questa è la volta buona!", aveva detto il poliziotto in borghese, mentre i suoi colleghi lo trattenevano, sin dal primo attacco d'alleggerimento, ai binari del tram a fianco di piazza Leonardo. Gli ho chiesto "Buona per cosa? Sono i suoi figli!". "Son vent'anni che le prendo!": la risposta stridula. Allora li ho guardati bene quei volti, dietro alla visiera trasparente: padri di famiglia, per lo più, affatto compiaciuti... ma quale foga mentre, nemmeno un'ora più tardi, si sporgono sulla recinzione rossa delle scale della stazione metropolitana di Loreto, per assestare, con quanta forza hanno in corpo, i colpi dei loro manganelli sulle teste degli Studenti che quelle scale scendevano per raggiungere, poi, la stazione di Piola e, quindi, i Ricercatori che avevano occupato il tetto a via Celoria. Su quelle teste, su cui puntiamo tanto quando insegniamo loro: colpi dall'impatto duro, secco. "Si sposti o le facciamo male", mi ammonisce concitato un poliziotto, allontanandomi col manganello traverso, mentre ripetendo "no no no" cerco di mettermi in mezzo: e lui si gira per colpire ancora e ancora i ragazzi [1]. In nome di quale professionalità si distingue nella mischia l'adulto ben vestito, da proteggere da sé, e non si vedono in quei ragazzi in felpa non dei delinquenti da cui difendersi, ma i propri figli che pretendono ascolto? Eppure sono certa che tentino, attraverso l'istruzione dei loro figlioli, di riscattare un mestiere intrapreso, forse, giustificandolo con la difesa dei diritti cittadini, ma che maledicono quando si riveli di cieca obbedienza. Sono pochi i Francesco Paolo Oreste e, comunque, ora, non gli somigliano davvero [2]. "Voi non dovete pensare, ma eseguire", viene detto loro. Si sentono giustificati dal dovere d'obbedienza: l'eterna banalità del male. Quei manganelli e queste dissennate riforme che si abbattono con la stessa forza sulle nostre teste e il nostro futuro, in modo incalzante da due anni a questa parte, questa dottrina impartiscono: "Voi non dovete pensare". Si tagliano le gambe alla formazione pubblica, di modo che non produca una massa critica di teste pensanti, ma una riserva di alfabetizzati pronti all'uso, parcheggiati tra Università e call-center, in assenza di opportunità di lavoro. Ai miei Studenti voglio poter continuare a insegnare il netto contrario: "Voi dovete pensare e scegliere e non per il vostro vantaggio immediato, ma per le conseguenze collettive che qui, in particolare, a scienze politiche, cerchiamo di mettervi in grado di immaginare.".
Salgo finalmente le scale della Facoltà di fisica e, per quanto sappia simbolica quell'occupazione, mi sembra di rispondere per le rime alla sentenza che tanto mi offese del Rettore Decleva. Presidente della Conferenza dei Rettori (CRUI), che in nome di quell'organizzazione sembrava parlare, al primo incontro in cui affrontò noi Ricercatori della Statale sul Ddl, nel Marzo scorso, sciorinò la sua battuta del giorno: "Vedete, moriamo tutti: certo, c'è chi muore in alto e chi muore in basso!".
Siamo saliti, in alto, sui tetti, Ricercatori e Studenti, per salvarci da questa logica irresponsabile.
Mi sento fiera nel vedere colleghi e Studenti gestire così bene la conferenza stampa e i giornalisti che prendono appunti alle nostre dichiarazioni, sul tetto di fisica; ma mi chiedo cosa di quanto stiamo dicendo sarà trattenuto, quanto sarà "tagliato" di questa storia. Da fiumi di parole, immagini di violenza, striscioni e slogan, poche righe soltanto son destinate ad arenarsi nelle pieghe della crisi e tra scandali, malcelati interessi e singulti di coscienza di questa classe politica; per non parlare dei tempi televisivi, anche più risicati e canalizzati dalle domande più populiste che i giornalisti riescono a raccattare: quelle che non spiegano e che li inducono poi a giustificarsi: "Abbia pazienza, noi siamo per forza superficiali", mentre, microfono in pugno, mi interrogano, per l'ennesima volta, sui tagli. L'incomprensione ristagna, facendo dire a un Gad Lerner, a L'Infedele - di nuovo e ancora -: "i Ricercatori vogliono uscire dal precariato", o a un Oscar Giannino infervorato, alle Invasioni barbariche, che gli Studenti non dovrebbero difendere i Ricercatori che "vogliono solo il posto".
Da quelle trasmissioni bisognerebbe uscisse almeno qualcuna delle nostre verità e non quelle di chi, così facendo e forse solo per inerzia, ratifica la demagogia del potere, magari approfittando della vasta audience televisiva per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Non posso tuttavia ammettere che pecchi di ingenuità questa televisione che tace dei gravissimi fatti di Napoli: tutto è iniziato da quando la protesta degli artisti del San Carlo ha tentato di fondersi a quella degli Studenti e dei Ricercatori, per costituire un unico fronte del dissenso contro i pesanti tagli alla cultura e alla formazione; ne sono seguiti attacchi della Polizia, divieti dal questore per procedere in una vera e propria escalation fino alla guerriglia urbana, di cui son forse responsabili certi adulti coi passamontagna, infiltrati nei cortei, e denunciati da diversi giovani. Si vuol cacciare dalla mente che il famoso suggerimento del fu on. Cossiga sia stato raccolto dal Ministero degli Interni, ma v'è ragione di credere che non sia solo la stanchezza e questa esasperante sordità delle istituzioni a "far alzare i toni".
E' molto importante per noi avere un'arena dalla quale poterci spiegare, invitando a riflettere e ad approfittare del fermento in atto, passata la buriana, per ridiscutere la riforma e radicalmente, non solo per ricostruire l'Università che di riforma ha assoluto bisogno, ma per riprogettare il futuro del Paese che dalla formazione della sua popolazione, per forza, deve partire. Dopo un'iniziale apertura, il Governo ha chiuso la porta e solo politici delle opposizioni ci hanno ascoltato; ma si sono anche scontrati, spaccando il fronte della resistenza alla riforma; nessun giornale vuol mettere a disposizione qualche parola in più, pur accusandoci di essere autoreferenziali, chiusi in noi stessi, "a riccio".
Dopo aver visto i servizi sugli incidenti in piazza della Scala, nel timore che l'escalation della violenza diventi scusa per spegnere nuovamente l'audio: "scendo dal tetto", per chiarire.

L'Università che non vogliamo

I Ricercatori che, come me, sono nelle fila della Rete 29 Aprile, sono arrabbiati e preoccupati di veder spezzato anche quel sottile filo di speranza: a qualche giorno dal deposito delle firme per la mozione di sfiducia al capo del Governo, temiamo che, quali che siano le formule di compromesso che usciranno da questa crisi, nuovi dribbling del sistema siano possibili e che, evitato lo scioglimento delle Camere, possa essere approvata questa "falsa riforma" in Senato, lo stesso giorno della fiducia. Tutto è possibile in un Paese in cui un Governo, bypassando le più elementari regole del legiferare, tenta di far approvare il cosiddetto DdL Gelmini sull'Università, prima della conclusione della sessione di bilancio al Senato.
Questa, dicevo, è una "falsa riforma" perché non è stata progettata in trasparenza: né per quanto riguarda i responsabili della scrittura del "pacchetto", né per quanto attiene alla sua sostenibilità finanziaria. Diverse ipotesi attribuiscono la paternità della riforma alla Fondazione Treellle (di cui Valditara sarebbe un consulente), alla Confindustria, ad Alessandro Schiesaro, addirittura ad elementi della CRUI: ma, quale che sia, la matrice non se ne è assunta la responsabilità e non ha voluto negoziare con chi la subirà ed ha idee consapevoli che a una riforma gioverebbero; mentre il "superconsulente" ministeriale Abravanel, dalla poltrona de l'Infedele, imbarazzato, si è affrettato a dirci che il Ministro Gelmini si è limitata a trovare ispirazione nei suoi scritti (laddove, il 50% del suo "Regole" è contraddetto dai comportamenti di questo Governo). Insomma, a fianco di un Ministro che si arrocca su slogan populisti - tra "meritocrazia", "lotta ai baroni" e "semplificazione dei percorsi di carriera" -, attribuendo la protesta a un asse Studenti-baroni, che sembra uscire da qualche delirio notturno, mancano interlocutori attendibili. I reali autori si trincerano nell'ombra e lo stesso Presidente della CRUI, Decleva, dimostrando un coinvolgimento e un interesse diretto, si irrita perché al Ministro sarebbe stato dato "chiavi in mano" un pacchetto che non è in grado di difendere dai membri della sua stessa maggioranza [III]. Si comprende bene tanta irritazione a fronte di un disegno ormai sbrindellato, dopo che sono stati approvati diversi emendamenti abrogativi di norme precedentemente inserite nel testo dalla Commissione Cultura e che lo stesso Ministro Gelmini aveva approvato... a parole [IV].
Si prospetta lo sconvolgimento delle strutture: dato che la redistribuzione del FFO (Fondo di finanziamento ordinario) viene attribuita in base alla valutazione di comportamenti "virtuosi", alcuni Rettori si son dati da fare per anticipare accorpamenti e manovre al risparmio sul personale tecnico-amministrativo, incaricando i Presidi di predisporsi al taglio dei corsi, incuranti del mancato sostegno di effettivi puntelli di legge, ma confidando nei decreti annunciati. Soddisfare il Ministero è, così, preponderante rispetto alla sostenibilità delle operazioni e, ad oggi, non è stato fatto alcuno studio di fattibilità, né sperimentazione e Università come Roma3 o Genova si sono "buttate", con effetti sconcertanti, riportati dai colleghi. La dubbia sostenibilità non è solo finanziaria, ma attiene al personale delle "nuove" strutture, alla logistica e alle attrezzature, all'ottimale gestione dei servizi verso il personale stesso e l'"utenza" studentesca (si scusi la brutalità, ma usare il vocabolario aziendalista, riferendoci al progetto in atto, rende più leggibile il nuovo contesto).
Analogamente, nei settori scientifico-disciplinari, si son cominciati a concepire accorpamenti in macrosettori: è così prevedibile che nicchie di alta specializzazione si annacquino dietro alle esigenze di una didattica accorpata, in un prevedibile appiattimento che deriverà dalla cancellazione di corsi, a partire da quelli frequentati da pochi - che potrebbero tuttavia fare, di quei pochi, degli specializzati competitivi -; dalle sempre più ridotte opportunità di conseguire dottorati; da un sistema concorsuale perpetuato, che, gioco-forza, sacrificando la diversificazione interna, produrrà una compagine scientifica appiattita, con prevedibili effetti sulla competitività scientifica del Paese e sulla didattica stessa, nel medio periodo. Mentre talune Università straniere e private italiane, ne approfitteranno per prosciugare ogni potenziale d'eccellenza che s'involerà, inesorabilmente, dalla formazione pubblica.
L'applicazione del Ddl, fosse convertito in legge, per quanto attiene alla sostanza (che, per noi, di scienze politiche, si traduce nei rapporti di potere) non cambia molto davvero. Anzi si immunizza il cancro! Anche quel paio di assunti entusiasmanti - come l'abilitazione nazionale o la tenure track -, nel dettato del Ddl, una volta emendato, si sono rivelati specchietti per le allodole; mentre si danno letteralmente i numeri, tentando di comprare il consenso dei Ricercatori dichiarando di voler assicurare l'accesso al gradino gerarchico superiore, a tranche da 1500 Ricercatori l'anno per tre anni (salvo cancellare ogni riferimento numerico nel Ddl, escludendo i precari e lasciandoci ostaggi del blocco del turn-over). Nessuno ha davvero fiducia che la situazione si possa sbloccare, dati i numeri giocati da Tremonti negli ultimi mesi, ma, soprattutto, pur desiderosi di opportunità di carriera, nessuno di noi ha chiesto un tanto. Sembra una strategia comunicativa che artatamente va a detrimento di chi si oppone a questo progetto: l'opinione pubblica, specie in questo momento di crisi economica e del lavoro, non può che avere in uggia un sistema così scioccamente autoreferenziale in cui lavoratori strutturati sembrano mandare allo sbaraglio gli Studenti, per i propri miseri interessi di carriera. Così, dall'esterno, si giudica il movimento, nonostante gli ampi spazi televisivi dedicati a selezionati aspetti della protesta, e nonostante non vi sia niente di più falso.
Il Ministero, non più tardi dell'1 dicembre, ha rilasciato un comunicato in cui minaccia le seguenti conseguenze, nel caso in cui il Ddl non venga approvato: non vi sarà alcun concorso per ordinari e associati, per l'impossibilità di usufruire del fondo per l'assunzione di 1.500 professori l'anno tra il 2011 e il 2013, pur a fronte di un notevole numero di collocamenti a riposo; per l'assenza di una normativa per bandire quei concorsi, laddove nemmeno i concorsi da ricercatore possono essere banditi dato che la norma della L.1/2009 prevede la scadenza della normativa vigente il 31 dicembre 2010; infine, mancando il fondo premiale previsto dal Ddl per il 2011-2013, non saranno reintegrati, su base meritocratica, parte degli scatti di stipendio. Il ministero è convinto di tenere sotto scacco il personale accademico. Ma non sa che ci siamo abituati: dopo anni di ostacoli non dico soltanto alla carriera, ma al riconoscimento di ciò che effettivamente facciamo; noi non abbiamo nulla di ciò che ci viene "tolto" e non abbiamo i diritti che stiamo rivendicando: in primis, quello di fare ciò per il quale siamo stati assunti. Noi Ricercatori vogliamo poter fare ricerca, per mantenere l'elevato standard raggiunto in tanti settori, per elevarne di nuovi e rendere più competitivo il Paese, il che richiede accesso a finanziamenti.
Per la maggior parte, svolgiamo da anni, su base continuativa, attività di insegnamento per lo più a titolo gratuito. Non siamo tenuti a farlo: rispondiamo a bandi sottoscrivendo contratti di diritto privato gratuiti o in rari casi "retribuibili", fatta salva comunque una porzione di didattica che, per regolamento, viene ceduta gratuitamente alla struttura e veniamo così a ricoprire il 40% del fabbisogno della didattica universitaria. Formalmente non siamo titolari di quei corsi, bensì veniamo definiti "professori aggregati", limitatamente ai mesi in cui svolgiamo quella attività che programmiamo, però, di anno in anno. È peregrino desiderare che il nostro lavoro di docenti sia riconosciuto professionalmente, valutato in fase di abilitazione nazionale e retribuito? Molti fra noi dedicano più ore di tanti colleghi Professori associati e ordinari, all'insegnamento, e non solo non godiamo delle loro retribuzioni (diciamolo, comunque non elevate), ma spesso, siamo costretti a finanziare con gli scarsi fondi di ricerca in nostro possesso, i laboratori per gli Studenti (come accade a molti miei colleghi di medicina o farmacia), o gli ospiti per le attività integrative o, come ho potuto fare io, che di Africa mi occupo, convertendo quanto viene finanziato della didattica "retribuibile", in fondi per la ricerca sul campo.
Purtroppo, nessuno ha mai inteso fare un'indagine seria sui rapporti di lavoro nelle Università, altrimenti emergerebbero sfruttamento e ricatti. L'avevo proposta nel 2007 a Pietro Ichino, mio collega, che col Centro Interdipartimentale di Studi sul Lavoro ed il Welfare avrebbe ben potuto organizzarne una a livello nazionale. Ma mi disse di non averne il tempo. Triste a dirlo, ma non mi sorprese e non tanto per la dimensione ormai pubblica del personaggio, ma per la consapevolezza del fatto che, sebbene molti abbiano coscienza dei rapporti di gerarchia sociale, basati sulla dipendenza, che si consumano in ogni settore lavorativo in Italia, anche in quello pubblico, ben pochi sono disposti a metterli, con coraggio, a nudo e, quel che è peggio, ancor meno a destrutturarli, specie dall'interno. E' anche per questo che protestiamo. Vogliamo un quadro normativo forte: non constrictor, ma stringente nella protezione delle diverse categorie e dei loro diritti, specie a parità di funzioni e di esercizio.
Per un tanto, poiché, seppure non ci piaccia, dal 2005 siamo ruolo ad esaurimento, ammettiamo che possano esserci delle figure a tempo determinato che sostituiscano il ruolo dei Ricercatori a tempo indeterminato, ma vogliamo per loro delle garanzie come l'accantonamento preliminare delle risorse finanziarie atte alla loro assunzione in ruolo. Se la loro preparazione non si rivelerà all'altezza: niente tenure e niente carriera, ma se si riveleranno all'altezza devono avere assicurato il proprio futuro; la didattica per la quale saranno assunti deve essere retribuita; vogliamo, inoltre, per queste nuove figure, una miglior gestione della tempistica: tra dottorato e contratti, un ricercatore a tempo determinato resta precario tra gli 8 e i 12 anni prima di accedere alla carriera (con immaginabili conseguenze anche in termini di pensionamento), sempreché riesca ad accedervi: con tale norma si agevolano accensioni di contratti triennali "usa e getta", voluti al punto che nelle disposizioni transitorie e finali si prevede addirittura la loro assunzione con la sola laurea specialistica, ammettendo che Ricercatori dalla scarsa preparazione possano insegnare a livello universitario dopo 5 anni d'università.
Solo un risicato numero di Ricercatori esasperati, confluiti nella corrente Merafina, ha richiesto un'ope legis: sono talmente certi dell'assenza di prospettive in questo sistema, che si dicono addirittura disponibili a legittimare per legge le condizioni attuali, svolgendo funzioni da professore associato, con quel titolo, ma con la paga di un ricercatore.
In tutta coscienza, ritengo che se davvero si debba mettere ad esaurimento il ruolo di ricercatore, lo si debba fare con ogni altro ruolo (ovvero di associati e ordinari) per creare un ruolo unico di docenza, con diversi gradi al suo interno cui si acceda in base a valutazione della ricerca, della qualità della produzione scientifica (si badi bene, non della quantità, seppure in congruo rapporto col fattore tempo) e della didattica (valutata dagli Studenti con strumenti più raffinati del "test-calderone" attuale). Taluni ordinari vedono in quest'intento di valorizzazione del merito un pericolo distruttivo per l'Università: certo lo sarebbe per le Università, concepite come sono ora, e come lo sono nel Ddl, fortemente gerarchizzate fra loro (tra più e meno virtuose) e al loro interno, ma non lo sarebbe nell'Universitas Studiorum cui aspiriamo.

Un vaticinio facile

A ultimi emendamenti approvati, oggi, è facile azzardare un vaticinio da Cassandra. Un Ddl finanziariamente insostenibile, qualora convertito in legge, che non incespichi nelle oltre 500 norme richiamate dal testo e relativi decreti attuativi, in una tempistica lunghissima (ricordiamo che i decreti attuativi della precedente riforma del 2005 non sono mai stati applicati), produrrà l'incancrenimento dei rapporti di potere in seno agli Atenei. Limitata ulteriormente la democrazia partecipativa all'interno degli organi di governance, sarà aumentato il prestigio e la forza di chi può vantare legami con poteri economici e politici forti, che saranno inseriti nel CdA - preponderante addirittura nella programmazione didattica e di ricerca, rispetto al Senato accademico - determinando con ciò la dipendenza della ricerca di Università pubbliche da interessi specifici e privati.
Forse è stato sventato il pericolo di soddisfare con beni pubblici interessi particolari, con la mancata approvazione del trasferimento dei beni demaniali in uso agli atenei, ma occorre ricordare come non sia stata cancellata la norma della finanziaria L.133/2008 che stabilisce agevolazioni per gli atenei che intendano cedere parte dei propri stabili, nonché l'incentivazione alla trasformazione delle Università pubbliche in fondazioni private.
Sin dalla L.1/2009 si è inteso disciplinare il consolidamento di una lobby di ordinari che, iscritti in liste per macro-settori scientifici, diverranno gatekeepers legalizzati: controllori dell'accesso al sistema accademico. Le telefonate fatte fino ad oggi per "aggiustare" i concorsi sulle proprie esigenze: sistemando i propri pupilli e cassando quelli dei nemici giurati, saranno accordi legittimi e incontrastati dall'assenza di un contraddittorio scientifico reale, là dove Ricercatori e associati sono spesso più informati sugli sviluppi delle rispettive discipline di quegli ordinari che, prestandosi a giochi di palazzo (e che è prevedibile si iscriveranno immediatamente in quegli elenchi), si sono trasformati in burocrati a tempo pieno.
Non è certo questo il modo per aggredire il male profondo della società italiana, che non è davvero appannaggio della sola Università: un'interdipendenza debitoria nei confronti del potere, in un rapporto egemonico che tollera, paziente, le peggiori nefandezze di cui il nepotismo è solo l'apice evidente, consolidando nella scontatezza i rapporti fra poteri di diverso grado che si legittimano reciprocamente, al fine di soddisfare le clientele e di assicurarsi la loro lealtà; quanto a queste, se "in carriera", sono garantite: la norma del Ddl che stabilisce la possibilità per gli Atenei di indicare in un bando di concorso un tetto alle pubblicazioni farà giudicare discrezionalmente il raccomandato con 5 pubblicazioni e il valente ricercatore che ne annoveri 50, sulla base di 4 o 5 pubblicazioni al massimo.
Quanto alla qualità di ricerca e didattica i tagli sono determinanti. Oggi si vive di rendita, ma entro breve, a questo ritmo, la nostra competitività, invidiabile a fronte di uno Stato che è agli ultimi posti in Europa per l'investimento nella ricerca, sarà messa a rischio. Augurandoci di non dover sperare in Wikileaks per scoprire quanti siano i fondi effettivi a disposizione, comprendiamo tutti quanto poco serio sia pretendere una programmazione triennale da parte degli Atenei, quando, di trimestre in trimestre, nuove manovre e tagli del Ministero dell'Economia tengono sotto scacco, con particolare accanimento, la formazione pubblica, mentre si incrementano i fondi a favore di quella privata.
L'"Obiettivo Gelmini" è dunque questo: ridurre del 20/30% i corsi di laurea addivenendo a una "razionalizzazione" del sistema universitario, che impone il numero chiuso e impedisce assunzioni e avanzamenti in carriera per i prossimi tre anni. Di pari passo, l'accesso all'Università sarà drasticamente ridotto dai tagli al diritto allo studio delle Regioni e dall'imposizione del numero programmato. In tema di diritto allo studio si destrutturerà quanto realizzato a fatica in questo Paese, laddove i servizi sono già davvero scarsi, rendendo vano ogni retorico riferimento all'incentivazione del merito con l'obbligo della restituzione del Prestito d'onore (già introdotto da tempo a vantaggio dei sistemi bancari) senza alcun riguardo per i risultati conseguiti dagli Studenti. Sebbene sia noto che, a causa dell'altro male endemico del nostro Paese - l'evasione fiscale e le false dichiarazioni dei redditi - molti Studenti godano indebitamente di agevolazioni, non per questo, giovani dotati che si impegnano nello studio debbono pagare in modo indiscriminato e venir costretti alla restituzione del prestito, anche qualora abbiano ottenuto il massimo dei voti e senza alcuna specifica del tetto di reddito a partire dal quale si debba provvedere a tale restituzione, creando così debitori cronici. Il decreto di programmazione 2010-2012, poi, rimanda ad una serie di decreti successivi per tutte le linee di indirizzo, costringendo le Università ad anticipare i tempi o a stagnare in attesa. Tra adeguamento ed accertamenti dell'organo di valutazione, ANVUR, si prospetta una strada, tutta in salita lunga almeno 3 anni e se prima i Ricercatori hanno sospeso la didattica che non erano tenuti a fare, a scopo dimostrativo e nel nome di tutte le componenti accademiche, aspettandosi il loro appoggio, contro una riforma del tutto insoddisfacente, ora, non la svolgeranno nel loro stesso interesse, e con l'ampio consenso di quegli Studenti che ben comprendono come questo disegno getti le basi per un futuro da marionette: un progetto caotico, che porterà Studenti, Ricercatori, Università pubblica a... "morire in basso".

Note
1) L'aggressione cui ci si riferisce è avvenuta all'angolo fra viale Abruzzi e via Gran Sasso, a Milano, il 25 novembre 2010.
2) Francesco Paolo Oreste è un poliziotto che ha scritto una lettera aperta sui disordini a Terzigno, scusandosi per il comportamento della Polizia.
3) Incontro FaRe_UniMi (Facoltà in Rete della Statale) - Rettore Decleva, 18 Ottobre 2010, h. 16:00 al Rettorato della Statale.
4) Vedansi A.C. 3687-A EMENDAMENTI S. 1905 - Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario (Approvato dal Senato).

*Cristiana Fiamingo, ricercatore e docente di Storia e Istituzioni dell'Africa, Università degli Studi, Milano e coordinatore di Facoltà in Rete della Statale (FaRe_UniMi)
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