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“Scritture e linguaggi del mondo”: voce alla letteratura del Sud
Pietro Deandrea - 21-10-2002
Un turista americano passeggiava munito di macchina fotografica in un villaggio indiano, ammirando una piccola statua equestre.
“Che meraviglia!” esclamò, camminando con passo lento attorno alla statua. Aveva il viso scottato e rosso. Indossava una camicia e un paio di calzoncini color kaki. Accortosi della presenza del vecchio, disse educatamente in inglese, “Buongiorno!”
Il vecchio rispose in tamil puro, il suo unico mezzo di comunicazione, “Mi chiamo Muni e le due capre sono mie e nient’altro che mie; nessuno può negarlo, benché il villaggio sia pieno di gente pronta a calunniare un uomo.”
L’uomo rosso in viso posò lo sguardo per un momento in direzione delle capre e delle rocce, estrasse una sigaretta e chiese, “Fuma?”
“Non ne ho neppure mai sentito parlare fino a ieri,” rispose nervoso il vecchio, immaginando d’essere interrogato su un assassinio nei dintorni da quel poliziotto del governo, come rivelava l’uniforme color kaki.
L’uomo rosso in viso disse, “Vengo da New York. Mai sentito? Mai sentito parlare dell’America?”
Il vecchio avrebbe capito la parola “America” (ma non “New York”) se il nome fosse stato pronunciato così come lo conosceva lui – “Ah Meh Rikya” – ma l’uomo rosso in viso lo pronunciò molto diversamente, e il vecchio non ne capì il significato. Disse con tono rispettoso, “Brutti ceffi dovunque oggigiorno. Il cinema ha rovinato le persone e ha insegnato loro a compiere azioni malvagie. Oggigiorno può accadere di tutto.”
Il turista americano vorrebbe comprare la statua (sacra), il vecchio pastore pensa (ovviamente) che sia interessato alle sue due capre. Davanti alla banconota da cento rupie l’indiano è quasi sconvolto, una fortuna travolgente ha portato questo straniero al villaggio... Prende i soldi e se ne va, ringraziando e lasciandogli le capre. L’altro intanto siede soddisfatto sul piedistallo della statua, immaginando che il pastore sia andato a cercare aiuto per il trasporto. A Horse and Two Goats di Rasipuram K. Naryan è una storia emblematica, di incontri mancati, di dialoghi impossibili, di errori culturali, di ingenuità grossolane. Forse la storia del Nord e del Sud.


Un vecchio pastore indiano, un inglese innamorato dei ghetti sudafricani, un briccone maliano alla ricerca di avventure, un colono bianco tra gli indios dell’Amazzonia, pakistani a Londra e Algerini a Parigi sono tra i variopinti personaggi che popolano un’antologia di recente pubblicazione dedicata alla letteratura del Sud del mondo (R. Alunni, P. Deandrea, P.P. Eramo, Scritture e linguaggi del mondo. Narrativa per l’educazione interculturale, La Nuova Italia, Rcs Scuola, Milano 2001). L’antologia è un percorso tra romanzi e di racconti di autori africani, indiani, asiatici e sudamericani alla ricerca di temi che vanno da Le storie degli “altri” (l’incontro/scontro tra Nord e Sud) alle Altre visioni del mondo (le culture e i valori oltre l’Occidente), passando per gli squilibri e le ingiustizie del nostro sistema (Ai margini della globalizzazione), i diritti umani e il fenomeno migratorio (Migrazioni e culture).

Compilare un’antologia di letteratura, per di più con un orizzonte così vasto, pone certamente delle questioni molto complesse, la cui trattazione – pur molto sintetica – può essere utile a un suo corretto utilizzo nella scuola italiana.

Intanto, che cos’è il Sud del mondo? Sono i paesi poveri che troviamo nelle classifiche degli organismi internazionali? Ha senso adottare un criterio economico per parlare di letteratura? E poi chiameremo Sud anche i paesi dell’Est europeo? Oppure la Cina? Il criterio che abbiamo scelto è un altro: nell’antologia abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla letteratura prodotta nei paesi che hanno avuto con l’Europa prima, con gli Stati Uniti poi un rapporto di sudditanza coloniale (o neocoloniale), senza tralasciare i fenomeni di colonialismo ‘interno’: penso agli indigeni in America settentrionale, centrale e meridionale, alle popolazioni caraibiche, agli aborigeni e a tutte le grandi minoranze che nella storia hanno avuto la peggio (dalla Turchia al Sudafrica).
Allo studioso o al lettore smaliziato che ci chiedesse che razza di criterio è mai questo, risponderemmo con un certo imbarazzo che ne conosciamo tutti i limiti, ma che siamo altrettanto pronti a difenderlo. Pur avendo nobili antenati nei cosiddetti post-colonial studies (di tradizione soprattutto anglosassone e poi francese) e in quel filone di studi che ha coniato il termine di world fiction, ammettiamo che si tratta pur sempre di una notevole marmellata, dal momento che con disinvoltura abbiamo messo insieme uno scrittore egiziano con uno cileno, affiancati - magari – da un pakistano che scrive a Londra o da un indonesiano che vive negli Stati Uniti.

La nostra scelta è giustificata da due criteri: il primo è che ci rivolgiamo principalmente alla scuola italiana, con particolare attenzione ai programmi di insegnamento della letteratura nel biennio e nel triennio delle superiori. Dove la presenza di autori ‘del Sud’ è assolutamente sporadica, ma nello stesso tempo la ‘domanda’ di strumenti per l’educazione interculturale che si integrino nel curricolo si fa sempre più pressante. Questo ci porta a compiere scelte drastiche, a privilegiare testi di facile lettura, adatti a un adolescente, intriganti per l’insegnante e soprattutto ‘sfruttabili’ dal punto di vista educativo.
Il secondo, immediatamente collegato, discende da una celebre affermazione dello scrittore nigeriano Chinua Achebe, per il quale “la cosiddetta autonomia della letteratura è merda deodorata”: lo scrittore ha il compito di spiegare al suo popolo “dove batte la pioggia”, secondo un’interpretazione fortemente engagée dell’attività letteraria. Le obiezioni sono ovvie: la letteratura è prima di tutto letteratura e non possiamo imporre o pretendere da un autore diciamo brasiliano restrizioni tematiche o un ‘impegno’ sociale o politico che mai ci sogneremmo di chiedere a uno europeo. A queste rispondiamo con una constatazione di fatto e una motivazione ‘utilitaristica’: la prima è che la maggior parte della produzione letteraria del Sud è profondamente segnata da tematiche sociali e politiche, dalla riflessione sull’ineguaglianza, sul colonialismo, sull’ibridazione culturale, ecc.; la seconda è che questi temi risultano per noi utilissimi per costruire una via ‘narrativa’ all’educazione interculturale nella scuola, intesa come riflessione/azione su tematiche globali quali l’ambiente, lo sviluppo, i diritti umani, le relazioni tra culture.

Considerati questi fini, l’utilizzo dell’antologia risulta fortemente produttivo. Intanto perché mette di fronte la cultura scolastica italiana, un po’ malata di eurocentrismo, a una prima significativa constatazione: negli ultimi anni la produzione letteraria soprattutto in lingua inglese e francese (proveniente dalle ex-colonie, ma anche da autori di origine “coloniale” che vivono nei Paesi europei, in Nordamerica e Canada) si è fortemente sviluppata e ha raggiunto notevoli risultati qualitativi. Da tutto questo il mercato italiano è stato per molti anni escluso, a parte alcune traduzioni e l’opera innovativa di alcune piccole o piccolissime case editrici. Si tratta di testi che hanno ormai un mercato globale, non di letteratura marginale: non conoscere le loro tematiche e il mondo che sottendono significa isolarsi da una delle ‘correnti’ più produttive della letteratura mondiale.
In secondo luogo dare spazio nella nostra quotidianità educativa alle voci letterarie provenienti dal Sud significa restituire nel dialogo interculturale un ruolo di soggetti a culture che sono state per decenni schiacciate dal colonialismo e dalle sue eredità e che nel corso del Novecento (a parte la letteratura araba, che ha ben altro passato) hanno imparato a servirsi in modo nuovo degli strumenti stessi dei colonizzatori (in primo luogo la lingua). Nello stesso tempo va detto che molta di questa letteratura non va considerata una produzione ‘etnica’ (buona per studiare storie, usi e costumi di popoli che molti considerano ‘primitivi’): questi testi hanno – come qualsiasi opera letteraria degna di questo nome – un valore universale, come a dire che in buona sostanza parlano anche di noi (de te fabula narratur, diceva il buon Orazio). Ci parlano cioè del futuro delle nostre città e delle nostre società: l’inquietudine e l’insicurezza, i temi globali (ambiente, sviluppo, povertà e ricchezza, violenza, potere), la multicultura e la multiappartenenza, ecc. Per questo sono produttive in senso interculturale.
In terzo luogo frequentare le letterature del Sud ci aiuta ad assumere un approccio ‘narrativo’ alla differenza: un romanzo crea uno spazio e un tempo di ascolto ‘lunghi’ e particolarmente privilegiati, che spesso ci mancano quando ci capita di incontrare il Sud del mondo nelle nostre città (il ristorante etnico, i volti per la strada, i servizi dei media); ci trasporta su un terreno culturale sconosciuto, provocandoci un effetto di ‘straniamento’ che forse solo in letteratura accettiamo di sperimentare senza paura; ci fa nascere la sensazione che ognuno (individuo, cultura, popolo) ha diritto al ‘suo’ racconto e alle sue storie, che le storie sono infinite e che non ne esistono di superiori e di inferiori; favorisce identificazioni (con i personaggi, con la vicenda) e cambiamenti del punto di vista; genera probabilmente nuove storie, che il lettore può a sua volta raccontarsi e raccontare.
Le cose fin qui dette non sono ovviamente caratteri esclusivi di un racconto mozambicano o di un romanzo peruviano, ma lo sono in relazione ai temi che maggiormente ci interessano. Le letterature del Sud, opportunamente sfruttate, possono sviluppare sensibilità multiculturali (le differenze che ci separano, ma che impariamo se non altro ad ascoltare e a capire), interculturali (il meticciato, lo scambio) e transculturali (ciò che ci unisce al di là delle culture).
Un avvertimento: il nostro entusiasmo nel proporre la letteratura del Sud non ci ha oscurato il buon senso. Sappiamo bene che leggere un romanzo non ci trasforma per incanto in homines interculturales; sappiamo che questa è una lunga fatica fatta di rapporti e conflitti reali con persone reali, rispetto e promozione di diritti concreti, costruzione di regole e sistemi che includano invece che escludere.
Solo crediamo che la letteratura possa essere uno degli inizi possibili.

Pier Paolo Eramo
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