Il tubo rotto e le metafisiche
Gigi Monello - 28-10-2010
Li ho trovati che stavano riformando. Li lascerò che staranno riformando. Ho passato l'intera vita professionale a leggere di riforme. Lo considero un mondo surreale, a sé stante. Qualcosa come il mondo dei miti, una dimensione rarefatta, dove i grandi apparati delle Riforme vivono di vita propria, come giganteschi animali alieni.
Mentre le vicende storiche delle Riforme si svolgevano in quel SuperMondo, io, nel mondo degli oggetti fisici (lavagne non-scrivibili, gesso sbriciolato, rumori molesti, pareti di cartongesso, circolari insulse, eccitazione da viaggio, visite, conferenze, sportelli e "giornate"), io tentavo di insegnare. Ho fatto un calcolo approssimativo: in 30 anni mi saranno ormai passati davanti qualcosa come 2000 alunni. Mentre io facevo il lavoro sporco, gli "esperti" ristuccavano il mondo. Lo dichiaro apertamente, sentir parlare di riforme mi dà la nausea.

Quando ho iniziato grandinavano sperimentazioni e la parola magica era "Brocca". Età di sogni e fatiche sprecate. Ricordo colleghi ormai sull'orlo della giubilazione, agitarsi euforici attorno al "progetto giovani" (una delle mode del momento); o svenarsi a difesa di un proprio rigo da inserire nel Pei. Era il tempo in cui iniziava l'effervescenza "da informatica", cresciuta sino a diventare febbre. A un certo punto sembrò che più computer ci mettevi dentro, più la scuola migliorava. In automatico.

Verso il '94 la già scassata baracca perse gli esami di riparazione. Era un piccolo, usurato argine, ma ancora reggeva. Venne demolito e sostituito coi "debiti"; con tutto il seguito che ben conosciamo. Poi, con la smania di cancellare Gentile, arrivò Berlinguer. Teorico verboso dell'epocale spostamento: dal docente al discente; dall'aula al territorio; dai programmi alle "attività". Non ricordo ebbro diluvio di parole pari a quello. Sino allo sfinimento dovemmo ascoltare il magico risuonare delle formule: scuola-azienda, studente-cliente, preside-manager, offerta, progetti, successo formativo. Il professore non più "davanti, ma accanto allo studente". Anni di smaniare confuso attorno all'idolo del "nuovopurchessia".

Ricordo Collegi dei docenti passati ad approvare praticamente tutto; nella selva delle braccia levate-approvanti c'era ogni umano profilo: l'ilare-scettico, il frustrato-invidioso, il furbo obolo-calcolante, il gloria-bramoso, il rassegnato-schifato, il quieto-vivente, il servile-dirigente-prostrato, il pigro-senza-vergogna. Passava di tutto, dalle piante officinali ai laboratori teatrali, dal body building all' "Intervistiamo le nostre nonne", dalla visita al salumificio-modello alla psicologia dinamica alla scientology (rammento un leggendario progetto "Sviluppiamo i talenti", illustrato con un linguaggio che neppure Ron Hubbard...; e un'altra memorabile perla dal titolo wertmulleriano, il progetto, "Senza carezze non si può camminare a petto in fuori"). C'erano, poi, le invenzioni assolute: ricordo ancora l'ilarità incontenibile di una sera in cui il dirigente ci parlò dei "professori-antenna", destinati a captare, in esclusiva, non ricordo bene che cosa. Per un attimo vidi la Scuola Radio Elettra di Torino. Un' orgia demenziale. Me l'hanno fatta odiare la parola "progetto".

Venne la Moratti, con le sue legioni di esperti e teoreti, e col suo nuovo diluvio di acronimi. Ricordate? Osa, Ofp, Psp, Lep, Ua, Pecup, Larsa. Campano ancora? Vegetano? Sono morti?

Ne sono convinto: esiste una fisica ed una metafisica della scuola. Fisico (molto fisico) è stato quel tubo rotto del bagno accanto alla mia quarta, che per un anno intero ha funestato le mie ore in quell'aula. Vibrava ad ogni scarico, con elaborate modulazioni corrispondenti ai diversi stadi di riempimento della vaschetta. E fisici (molto fisici) sono i colleghi che, puntualmente, a fine quadrimestre (e a fine anno) si portano gli alunni in sala professori o in altri angolini liberi, perché, "oddio! non ho voti!...vogliono rimediare...devo interrogarli...". E fisiche (molto fisiche) quelle poche disperate ore pomeridiane con le classi d'esame, perché, "il compito di matematica? questi? neppure metà, ne fanno...". E fisicissime le corse penose e trafelate, a Maggio, per "finire il programma". Già, i programmi: Loro Altezze Riformanti mi perdonino se dico parolacce. I Programmi: cioè tutte le storie dei migliori uomini che ci hanno preceduto; e che, nella scuola, ancora vivono.

Sublime metafisica, è stato, invece, quel lungo declamare su "tramonto dell'idea di classe", "fluidificazione dei contenuti", "destrutturazione della didattica disciplinare" (mai sintesi più perfetta del vacuo e dell' opulento); come metafisicissima resta quella buona ora e mezza passata in Collegio a parlare di quali funzioni-obiettivo introdurre e quali requisiti richiedere ai candidati (lo confesso, mi hanno cambiato la vita, le "funzioni-obiettivo"); e le ricorrenti, micidiali dispute sui "criteri di valutazione"; che - non sia mai! - debbono tendere alla uniformità, "fatta salva l' autonomia di ogni docente e consiglio di classe". Come dire, "Colleghi, siamo diversi, e tali resteremo".
"Dobbiamo stabilire i criteri...", la risentirò in punto di morte la fatidica frase. Ma sarà troppo tardi.

Mentre io, nel fuoco di un'aula, mi lavoravo i cervelli dei piccoli scimpanzè evoluti, e me la vedevo con i loro potenti spiriti animali; loro, gli "esperti", si inventavano osa, pecup e larsa. Mentre io mi giocavo l'azzardo di una lezione frontale, loro declamavano ad altezze stratosferiche circa la superiorità delle "competenze" sulle "conoscenze"; del "saper fare" sul "sapere". E che arzigogoli dialettici! che dire forbito! che dispute! che sottigliezze, per spiegarci che gli inerti contenuti non bastano; occorre formare "menti critiche". Un "grazie" di cuore ai nostri Teoreti; senza di loro non ci saremmo mai arrivati.

Mentre io, cercando l'urto di una parola capace di toccare una corda profonda, gli parlavo della singolarità di Auschwitz, loro istituivano Giornate Ufficiali della Memoria e promuovevano il turismo di massa in Polonia; con studenti che passano con auricolari e lettore mp3 sotto il ferreo arco dell' "Arbeit macht frei"; e mangiano patatine in pieno lager. Non è che, per caso, rileggere Anna Frank o Primo Levi nella solitudine di un pomeriggio a casa, sarebbe assai meglio? Tornare, cioè, a quei privati andirivieni della mente dove soltanto si formano coscienza e intelligenza?

Anche quest'anno ho insegnato. Anche quest'anno, convinto che la scuola sia più un "dentro" che un "fuori", più un viaggio mentale che tante piccole fughe. Intanto il tubo vibrava. Verso Aprile mi sono sfogato con un giovane bidello; e ho fatto un po' lo spavaldo, "se mi date una chiave, lo stringo io quel dado...". Vittorio mi ha smontato, "No, professore, non è solo il tubo che vibra, è l'intera campana...è successo anche a casa mia." Non distinguevo tubo da campana. Mancava la "competenza".

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 C66    - 30-10-2010
Questo articolo è un perfetto spaccato del motivi per cui rabbrividisco al solo sentire la parola "riforma", anche se non cita la peggiore di esse: quella con cui Bassanini ci ha elargito un'autonomia che tanto sa di incrocio fra autogestione anarcoide e ritorno al feudalesimo, responsabile del palesarsi fra gli insegnanti di insospettabili categorie antropologiche quali "l'ilare-scettico, il frustrato-invidioso, il furbo obolo-calcolante, il gloria-bramoso, il rassegnato-schifato, il quieto-vivente, il servile-dirigente-prostrato, il pigro-senza-vergogna".

La maggior parte degli appartenenti a queste variegate tipologie era però accomunata da una cecità ideologica tale da far accettare con acquiescenza dal governo in carica all’epoca trasformazioni che quasi certamente avrebbero scatenato una strenua opposizione se solo fossero state ventilate da un’amministrazione di colore politico diverso.

Dopo il perverso quinquennio Bassanini - Berlinguer - De Mauro (in realtà anticipato da nefandezze quali le pessime sperimentazioni Brocca e l’abolizione degli esami di riparazione) i contestatissimi successori si sono trovati il terreno spianato per continuare l’opera di demolizione del modello scolastico gentiliano, tanto vituperato forse proprio perché molto più incline alla logica ed alla linearità rispetto alle metafisiche (o lisergiche?) elucubrazioni dei pedagogisti e dei soloni d’oggidì, i quali devono divertirsi un mondo alle spalle di chi sta in trincea a sperimentare sulla propria pelle le loro strategie.

 Laura Fineschi    - 31-10-2010
Condivido ogni parola.

 oliver    - 03-11-2010
Tutto questa fa emergere una classe di docenti incapace di saper discutere di cose concrete ma solo aggrappati a corsi d'aggiornamento pur di sentirsi tranquilli verso il resto del mondo, senza mai pensare che il loro lavoro è durissimo nelle classi piene di problemi che la società ti scarica negandoti l'esistenza. A tutt'oggi ricorrono progetti fasulli e disponibilità ad aggiungere ore pur di far emergere i propri pensieri verso la scuola che vorrebbero. Vendere fumo per un po' di euro soddisfa la dirigente che può finalmente presentare una scuola efficiente e capace di rispondere alle esigenze dei genitori. Grazie di questa analisi vera!