La frattura intergenerazionale, sottolineata e analizzata da tanti studiosi stranieri e (in misura minore) italiani, a mio parere passa attraverso un "ethical divide" assai più che attraverso il "digital divide" di cui si parla spesso. Si parla di riforme, di innovazione tecnologica nella pubblica amministrazione, nella scuola e nell'informazione per intercettare l'attenzione di quel pubblico (under 30) che sembra allergico alla carta stampata e poco disponibile alla comunicazione orale. A scuola zelanti ministri promettono di investire (sic) per l'acquisto di L.I.S., lavagne digitali e computer, mentre l'e-book sta rivoluzionando anche l'editoria scolastica. Siamo sicuri che questo risolva i tanti problemi sul tappeto? Leggendo i vari interventi nei forum sulla scuola ricordo di aver letto la proposta di arricchire con "effetti speciali" la lezione, al fine di catturare l'attenzione dello studente più svogliato. A mio parere si sta imboccando la strada sbagliata, cosa che farà la fortuna di coloro che vendono prodotti tecnologici, ma non risolleverà le sorti della qualità degli apprendimenti. E' della settimana scorsa la notizia sulle Università americane, avanzate tecnologicamente, che hanno deciso di fare un passo indietro, ritornando al blocco notes e alla penna per prendere appunti, mettendo da parte il computer nelle aule universitarie perché gli studenti si distraggono e fanno di tutto durante la lezione: mandano email, chattano e navigano in rete. Il problema è etico. I cambiamenti economici e tecnologici hanno rivoluzionato il mercato, il sistema delle comunicazioni, gli stili di vita, la pubblicità, le mode. La "Weltanschauung" delle nuove generazioni è condizionata da tutto questo e le difficoltà di concentrazione e di attenzione sono direttamente proporzionali all'"attrazione fatale" che il mercato esercita sulla società. Allora bisogna lavorare sui valori, sulla condivisione di analisi e di consapevolezze. Da questo percorso può nascere un interesse all'apprendimento, una motivazione forte che inscriva la conoscenza nell'orizzonte della ricerca e non del collezionismo di nozioni che, come la raccolta punti, permetta di conseguire un premio. Che cosa ha da ricercare un giovane nella nostra epoca? Intanto il senso delle trasformazioni veloci e profonde che stanno cambiando la vita di tutti; e poi il senso del proprio stare al mondo, in questa fase particolare, confrontandosi con le generazioni che lo hanno preceduto. La posta in gioco è la possibilità di ritagliarsi spazi di libertà e di autonomia di giudizio rispetto al "destino" dell'omologazione di massa. Non mi sembra poco.
Maria Grazia Fiore - 30-03-2010
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Il caso delle Università americane dimostra, come già dibattuto altrove nella Rete, che il PC in quanto tale non ha virtù taumaturgiche nei confronti della formazione soprattutto se usato al posto del bloc notes.
Il problema reale è quello di pensare che la tecnologia "faccia sempre al caso" e che magicamente possa trasformare un processo complesso quale è quello della formazione, anche senza toccarne i cardini fondamentali.
Ciò vale per la LIM, per l'e-book e per tutto ciò che ci viene contrabbandato per "innovazione didattica".
Se uso una Ferrari per fare un trasloco, probabilmente la scelta si rivelerà poco felice. Parimenti, si presuppone che anche il/la docente debba essere in grado di scegliere lo strumento più pertinente a perseguire i propri obiettivi, scegliendolo tra un auspicabile ventaglio che va dal cartoncino al testo digitale.
E' solo un problema di pertinenza.
Ovviamente il/la docente che cerca l'autorevolezza e la significatività del proprio lavoro negli "effetti speciali" è destinato a rimanere sconfitto/a. |
Del Duca Gabriella - 04-04-2010
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E' tutto sottoscrivibile, la scuola come avamposto di resistenza a questa grande tentacolare omologazione, Era Gramsci che poneva dei dubbi sulla possibilità che la cultura potesse diventare patrimonio di tutti, la severa applicazione che porta alla produzione di concetti? Non ricordo esattamente. E' certo che così, con la creazione dell' "Uomo frittella" che non ha profondità (termine coniato negli USA) il problema è stato superato in modo perverso. |
oliver - 07-04-2010
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Penso che "l'arrivo della tecnologia nelle scuole non potrà mai sostituire il ruolo dell'insegnante. Certamente lo supporterà, dandogli in tempo reale informazioni utilizzabili all'interno dei percorsi didattici.
Ognuno dovrà farne un uso discreto, evitando di immaginarsi "profeta" del nuovo, ma anche evitando di far finta di niente.
La società non potrà robottizare le relazioni che si intessono tra insegnanti "capaci" e alunni/e.
Delle buone relazioni didattiche permettono di esaltare e di rafforzare il ruolo dell'insegnate.
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