La Consulta applica la Costituzione
Salvatore Nocera - 01-03-2010
Il Giornale del 28 Febbraio 2010 con un articolo dal titolo "La Consulta beffa le Camere" denuncia uno scorretto uso della Giurisdizione da parte della Corte costituzionale per aver dichiarato incostituzionali, con la Sentenza n. 80/2010, i commi 413 e 414 delll'art 2 della L.n. 244/07 che ribadivano il numero massimo di circa 90.000 docenti per il sostegno all'inclusione scolastica degli alunni con disabilità, vietando contestualmente la possibilità di assegnare più ore di sostegno nei casi certificati di maggiore gravità, cosa sino a tale legge invece consentita.
La Corte si è limitata a confermare una costante giurisprudenza della stessa, secondo cui non possono essere trattati in modo eguale situazioni diseguali e per l'art 3 della Costituzione gli alunni in situazione di particolare gravità sono diversi dagli altri alunni con disabilità meno gravi e quindi richiedono un maggior numero di risorse, che invece le norme annullate impedivano di assegnare.
L'articolo lamenta il fatto che la Corte non abbia per nulla accolte le osservazioni del'Avvocatura dello Stato secondo cui, anche in base alla sentenza della stessa Corte n. 251/08, la Corte non può invadere il campo della discrezionalità del Parlamento nel decidere sulle ore di sostegno da assegnare.
Peccato però che l'articolo abbia letto solo un primo pezzo della sentenza n. 251/08, che invece la Sentenza n. 80/2010 criticata legge sino in fondo. In tale sentenza è detto a chiare lettere, sulla base della costante giurisprudenza della Corte, che la discrezionalità del Parlamento non può comprimere il nucleo essenziale di un diritto costituzionalmente garantito, come quello all'inclusione scolastica, che, nel caso di specie, si concretizza in un maggior numero di ore di sostegno da assegnare agli alunni in situazione di maggiore gravità.
Prima di dare giudizi oltraggiosi sulla Corte costituzionale, chi ha scritto l'articolo avrebbe dovuto leggere sino in fondo il testo della sentenza citata e di quella criticata.
Il Diritto di critica è un diritto sacrosanto; ma non quello del dileggio, anche se ormai siamo abituati, ma non assuefatti, a simili operazioni pseudointellettuali.
Una domanda invece che da questa vicenda viene spontanea è se sia solo il sostegno l'unica risorsa per una buona qualità dell'inclusione scolastica. L'articolo lamenta che la Corte non abbia fatte proprie le osservazioni dell'Avvocatura dello Stato circa una sfilza di altri strumenti da essa elencati citando vari articoli della L,.n. 104/92, legge-quadro sui diritti delle persone con disabilità. Peccato che gli articoli citati erano in conferenti, riguardando risorse non utili a soddisfare i maggiori bisogni degli alunni con maggiori gravità. Invece l'Avvocatura avrebbe potuto indicare fra le risorse necessarie la presa in carico del progetto di inclusione da parte di tutti i docenti curricolari. Ma non l'ha fatto e non poteva farlo, perché il Ministero, malgrado insistenti e reiterate richieste delle Associazioni, non ha mai provveduto ad emanare norme sull'obbligatorietà di formazione iniziale ed in servizio dei docenti curricolari sulla didattica dell'inclusione. Anzi il Governo sta per varare un regolamento sulla formazione iniziale dei docenti curricolari che, mentre prevede un congruo numero di crediti formativi sull'inclusione per i futuri docenti di scuola dell'infanzia e primaria, ne assegna solo 4, cioè una quota risibile, per i futuri docenti di scuola secondaria, laddove il diritto all'inclusione è pure garantito al pari degli altri ordini di scuola.
Invito l'Autrice dell'articolo a verificare quanto da me affermato ed ad unirsi alla F I S H nel pretendere che il Regolamento venga migliorato per la migliore qualità dell'inclusione che è poi la qualità di tutta la scuola.

Salvatore Nocera
Vicepresidente nazionale della F I S H
Federazione Italiana per il Superamento del'Handicap


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 elena santa carlomagno    - 09-03-2010
Invio la lettera che leggendo l'articolo ho scritto al direttore de il Giornale: EGREGIO DIRETTORE

Ho letto con attenzione l'articolo della signora Greco, "la consulta beffa le camere: precari assunti dalle toghe”, comparso il 28 febbraio sul suo giornale.

Vorrei sollevare a riguardo una questione fondamentale per nulla trattata dalla sua giornalista: il punto di vista delle famiglie dei disabili e dei bambini disabili che in questi anni hanno vissuto sulla propria pelle un provvedimento nefasto, pensato ed emanato nel silenzio generale, in piena par condicio.

Questo lo faccio non come politico in cerca di consensi, ma come madre di una bambina diversamente abile a cui riducendo a sole 13 ore settimanali su 40 è stato negato il diritto all’istruzione e il diritto ad una vita più degna di essere vissuta.

Vorrei ricordare anche a tutti i signori, che anche nei commenti all’articolo pubblicati sul web, si affannano della tenuta della spesa nazionale, che se mia figlia diventerà autonoma, sarà sempre di minor peso agli altri; graverà meno sulla pubblica assistenza cioè, se riuscirà a compiere un lavoro o se riuscirà a riconoscere il nome della medicina che le salva la vita ogni giorno. Ma tutto questo risparmio potrà avvenire solo se pensiamo oggi a darle un istruzione degna di questo nome e non le permettiamo di ciondolare per sei ore al giorno nei corridoi in compagnia dei bidelli (nelle migliori delle ipotesi) o la lasciamo negli angoli della classe ad appallottolare carte.

Per entrare velocemente nel merito delle norme dichiarate incostituzionali, voglio solo ricordare che un’applicazione a volte discrezionale faceva in modo che nelle scuole dove erano concentrati più alunni disabili si assistesse a un decremento degli insegnanti di sostegno in ottemperanza del rapporto 1:2. Basta solo ricordare che nel mio paese, una scuola con 5 disabili gravi si è vista assegnare 4 insegnanti di sostegno, una con otto disabili gravi sempre 4 insegnanti. Tutto dipendeva dalla tempestività degli interventi dei dirigenti… e dove finiva allora, l’uguaglianza e il diritto? Se proprio il legislatore sentiva l’esigenza di tagliare, avrebbe dovuto farlo con più attenzione e soprattutto dove esistevano ed esistono davvero gli sprechi.

Se la nostra società e il nostro essere cattolici ci impone di dire no all’aborto di fronte ad una diagnosi prenatale di disabilità, la nostra cultura e la nostra storia non ci può imporre di sentire il disabile come un peso o peggio come un castigo, dovremmo per lui uccidere il vitello grasso e non lasciargli le briciole del nostro pasto. Il nostro credo, di fronte a questo rischia di venir irrimediabilmente trascinato verso tristi derive che la storia ci ricorda e ci troveremo a scegliere, per far fronte alla crisi, l’infanticidio o la deportazione.

Elena Santa Carlomagno - Presidente Associazione AMA “Tutti sulla stessa barca