Titolo del commento alla vicenda del decennale pubblicato dal quotidiano francese " Le Monde ".
Come rondine che appaia benedetta quale annuncio della primavera incipiente ricevo, con grande gioia, a conferma del ritrovato stato buono di salute Suo, la " Lettera 144 " dello scrittore e giornalista cattolico Ettore Masina, che mi gratifica e lusinga della Sua corrispondenza ed amicizia. Smembro, tagliuzzo il Suo prezioso scritto, e per questo non me ne voglia l'illustre Autore, con l'intento precipuo di evidenziarne le tematiche alte e sentite che esso contiene. Le tematiche sono forzatamente legate agli eventi dei tempi nostri. [ ... ] E' davvero triste osservare un paese che celebra i suoi eventi, alti o bassi che siano, meritevoli di essere ricordati o disdicevoli assai, nelle forme che sono sotto gli occhi di tutti oggigiorno. La fine biologica di un uomo, fine ineluttabile e confortata o meno dalla fede o da quant'altro, non porta via con se, non cancella, la sua " vita di relazione " con il resto della comunità di esseri umani che lo abbia avuto contemporaneo ed anche reggitore della cosa pubblica. E Craxi mi è stato contemporaneo. E Craxi ha retto la cosa pubblica. Ammetto di avere sempre temuto quell'uomo; un timore per le istituzioni e per la vita sociale del paese, timore confessato a più riprese. E se la sua vicenda biologica, con il suo corollario di sofferenze e tristizie, mi ha potuto interessare anche, non meno mi ha interessato quella sua " vita di relazione ". Cosa dire di essa? Che è stata marchiata in via definitiva da una condanna che ha reso lecita la definizione di quell'uomo quale " latitante ", allorquando ha inteso sottrarsi alla sua vicenda giudiziaria. E tutto ciò marca un limite angusto di quella vita, limite che tutto restringe al suo interno ed entro il quale il gran discutere di questi giorni appare come svuotato di vera sensibilità, di ogni carica emotiva, se non carico invece di opportunismi e bizantinismi, di basso e squallido " politichese " che trovano un sigillo ineliminabile, incancellabile, in quella sentenza, che ben altra natura e conseguenze avrebbe esercitato per un altro qualsiasi cittadino del bel paese. Sol che si fosse veramente tutti uguali di fronte alla legge! Duole in pari tempo leggere, nel messaggio del Presidente Giorgio Napolitano alla signora Anna Maria Mongini in Craxi, il convincimento dell'illustre scrivente di una " durezza senza eguali " della giustizia nei confronti dell'uomo. Orbene, duole assai, poiché quell'alto Suo sentire di giustizia avrebbe dovuto estenderlo ed esternarlo alle migliaia di cittadini italiani incappati nelle maglie della giustizia ed anch'essi intimamente convinti di una " durezza senza eguali " della giustizia del bel paese nei loro confronti. Sarebbe giusto quindi inviare un altro messaggio all'indirizzo di quei cittadini che risultano, al momento, uguali al potente di turno di fronte alla legge e che scontano, per intero, la loro colpa nelle patrie galere e non in solatie spiagge. Duole ancora leggere, in quell'augusto messaggio, del convincimento dell'illustre scrivente di come in quella vicenda giudiziaria fosse stato disatteso e " fosse stato violato il diritto ad un processo equo per uno degli aspetti indicati nella Convenzione europea ", così come ne scrisse in seguito " la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ( ... ) nel 2002 ". Manchevole appare il messaggio per non avere parallelamente ricordato, per un principio inviolabile della verità nel magistero dell'illustre scrivente, le ragioni di quella disattenzione denunciata dalla Corte europea, essendo in verità state applicate all'uomo le disposizioni, in fatto di procedura penale, volute e votate, nell'anno del signore 1989, dal partito suo e dal parlamento e che vanno ricordate ancora oggi come legge Pisapia-Vassalli, disposizioni che disattendevano " erga omnes " la Convenzione europea . A rigor di logica, tutti i condannati nel bel paese non avrebbero goduto del " diritto ad un processo equo per uno degli aspetti indicati nella Convenzione europea " e pertanto anche per essi si richiederebbe ancor oggi un augusto messaggio riparatore. Questo è quanto per l'appunto. Trovo ragioni e conferme a questo mio sentire nella parte della " Lettera " di Ettore Masina che di seguito trascrivo.
" ( ... ) ...si può davvero scotomizzare il ricordo di una persona, scindendone la vita privata da quella pubblica, quando quella persona rivesta o abbia rivestito un ruolo tanto importante nella collettività da essere poi inevitabilmente considerato un modello e un modellatore dell'ambiente in cui ha vissuto? Domanda più che mai attuale; e a me pare che la risposta non possa che essere negativa: propensioni e scelte private incidono inevitabilmente nell'azione pubblica di un personaggio, mentre il potere facilita il cedimento alle sue inclinazioni. Ho avuto nella mia lunga esistenza la ventura di vivere appassionatamente la vita della Chiesa, per trent'anni, durante il pontificato di papa Pacelli, e di stare in Parlamento fra il 1983 e il 1992, esattamente il tempo dell'apogeo di Craxi e della sua caduta. Nell'uno e nell'altro caso la sorte mi ha concesso di conoscere molti più fatti e testimonianze di quanti potessero arrivarne ai non addetti ai lavori. Così mi pare doveroso testimoniare che certamente Pio XII e Craxi ebbero qualità e realizzazioni che appartengono alla storia ma esse furono inficiate dai guasti delle intemperanze (per usare un eufemismo) personali. Pacelli fu un maestoso protagonista di un tempo terribile e maestro di raffinata cultura ma anche uomo devastato da nevrosi e perciò rinserrato in gelida solitudine nel suo appartamento privato, con un gruppetto di devote suore con le quali parlava in tedesco; incline, per bisogno di affetto, al nepotismo e alla protezione di cialtroni come il suo medico personale che lo tradì in punto di morte, vendendo la sua cartella clinica e le foto della sua agonìa; eroico nel suo pessimismo, nella sua convinzione di dover reggere da sè solo l'immane tragedia di un mondo avviato a un'imminente apocalisse; e perciò durissimo contro chi non divideva i suoi timori o le sue strategie e talvolta, consapevolmente o no, crudele nei confronti dei sottoposti, fossero essi diretti collaboratori del suo ufficio o umili servitori della sua corte; e questa aridità di carattere, questa incapacità di rendersi conto, per esempio, delle scelte dei poveri segnò tragicamente il suo pontificato. La sua carità e la sua misericordia furono schiacciate dalle sue fobie. Non rimane da sondare soltanto la questione della sua difesa del popolo ebraico. Il papa che con pronta generosità aveva trasformato le sue ville di Castelgandolfo in bivacco di profughi dai bombardamenti romani, pochi mesi più tardi con i decreti del suo Sant'Offizio espulse, o fece espellere, dalle chiese italiane, milioni di operai, contadini, pensionati accusandoli di essere senza Dio mentre era evidente che la stragrande maggioranza di loro aveva scelto di dare il proprio voto alle forze di sinistra soltanto per ottenere, per sé, per i figli ma anche per tutti i poveri, una vita più degna. Ricordo ancora con profondissima emozione le mie campagne elettorali in Lombardia, in Toscana e nel Veneto, il volto buono di anziani elettori del PCI, del tutto ignari del materialismo dialettico, che mi chiedevano di parlare del Concilio e poi mi domandavano: - Ma allora, se è vero quello che dici tu, perché i nostri parroci ci hanno cacciato? Perché ci hanno considerato pubblici peccatori? -. Come pensare che un esercizio siffatto di un magistero sovrano che negava misericordia e comprensione, diffondendo tanto dolore, sia stato esente da colpe?
Quanto a Craxi, come si possono dimenticare le responsabilità gravissime che egli ebbe nel deterioramento della politica italiana, diventando il maestro, in pratica e in teoria, di un'idea di moderno e di realpolitik in cui un individualismo senza princìpi pretendeva di sostituire quegli alti ideali di solidarietà che erano stati l'anima del glorioso partito socialista italiano e della Costituzione repubblicana? La pratica corsara, che per certi suoi interventi gli aveva fatto scegliere come protervo pseudonimo il nome di Ghino di Tacco, bandito di strada del XIII secolo, il suo gusto sultanesco che gli faceva trascinare per il mondo una piccola corte di nani e ballerine (per dirla con un suo eminente compagno di partito), la sua superba convinzione che un uomo come lui non poteva sottoporsi al giudizio dei tribunali, ebbe riflessi devastanti nell'esercizio del potere e nella crisi della politica italiana: Craxi fu, per molti versi, non soltanto il fedele amico e protettore di Berlusconi ma anche il suo ideale precursore. È a lui più che ad ogni altro dobbiamo se viviamo oggi in uno stato in cui il potere mediatico di un ricco può oscurare la Costituzione. In Parlamento ho fatto parte di un gruppo (quello dei deputati della Sinistra Indipendente) duramente opposto al governo craxiano ma non, credo di poter dire, fazioso. Sono fra quelli che applaudirono Craxi per Sigonella e per gli aiuti alla causa palestinese: ma la sua azione di statista ebbe, anche in politica estera, aspetti nefasti: non posso, per esempio, dimenticare, per averne visto gli effetti con i miei occhi, la protezione continuata e vergognosa che egli diede alla corrottissima e sanguinaria dittatura somala di Siad Barre e del suo clan. Che poi D'Alema pensasse, dieci anni fa, che a un condannato in contumacia e latitante si dovessero fare funerali di Stato e che oggi siano in tanti a parlare non soltanto di riabilitazione ma anche di celebrazione è uno dei tanti segni che la fine del secolo XX e l'inizio del XXI si portano ancora dietro il rifiuto di riconoscere quando un re è nudo. ( ... ) "