Crocifisso: Il vero problema è l'invadenza delle gerarchie cattoliche in Italia
Gianni Gandola - 05-11-2009
Sappiamo bene anche noi che ci sono problemi ben più urgenti e drammatici del crocefisso nelle aule scolastiche. Non c'è bisogno che ci si ricordi che c'è una grave crisi economica, imprese che chiudono, gente che rimane senza lavoro, famiglie senza reddito eccetera eccetera. E neanche che al mondo ci sono migliaia di bambini che muoiono di fame ogni giorno. O che ogni giorno ci sono persone e diritti umani che vengono calpestati.
Ma non ci piace neanche essere annoverati fra quelli per i quali, quando un argomento di carattere etico-giuridico viene riproposto alla discussione, "i problemi sono ben altri". Il benaltrismo spesso si rivela un alibi o un éscamotage per sfuggire al merito di un problema, in assenza di argomenti veri e fondati. Allora si preferisce "parlare d'altro", di cose più importanti e urgenti.
In questo caso la sentenza della Corte di Strasburgo n. 30814/06 del 3 novembre 2009 ha riproposto all'attenzione, piaccia o no, la questione dell'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. Di questo - e delle implicazioni sul piano giuridico, politico e culturale di questa sentenza - è il caso di parlare. Leggendola per intero e con attenzione, innanzi tutto, ed entrando -appunto- nel merito.

Ad un osservatore straniero (non italiano) una sentenza del genere apparirebbe del tutto "normale", basata su motivazioni giuridiche assolutamente fondate e per nulla stupefacenti.
Come scrive opportunamente Michele Ainis, docente di diritto pubblico all'Università "Roma Tre", su La Stampa "Doveva arrivare un giudice d'Oltralpe per liberarci da un equivoco che ci portiamo addosso da settant'anni e passa. In una decisione che s'articola lungo 70 punti (non proprio uno scarabocchio scritto in fretta e furia) ieri la Corte di Strasburgo ha messo nero su bianco un elenco di ovvietà. Primo: il crocifisso è un simbolo religioso, non politico o sportivo. Secondo: questo simbolo identifica una precisa religione, una soltanto. Terzo: dunque la sua esposizione obbligatoria nelle scuole fa violenza a chi coltiva una diversa fede, o altrimenti a chi non ne ha nessuna. Quarto: la supremazia di una confessione religiosa sulle altre offende a propria volta la libertà di religione, nonché il principio di laicità delle istituzioni pubbliche che ne rappresenta il più immediato corollario".

Perché allora tanto stupore qui da noi? Perché un vasto schieramento, che va da Fini a Bersani, passando attraverso la CEI, la Gelmini e quant'altro (ove quant'altro sta anche per la Lega, i crociati padano-celtici strenui difensori della cristianità), si dichiara ostile, contrario, e giudica la decisione della Corte europea sbagliata, "ideologica", inopportuna?
Perché a nostro avviso tutta questa discussione ha un vizio di fondo che la condiziona pesantemente. Per due motivi, tra loro interconnessi, tanto semplici da rischiare la banalità.
Il primo è che in Italia ci sta il Vaticano, con tutto il suo peso e potere di condizionamento nella politica nazionale. Il secondo è che, al di là delle motivazioni di carattere personale o politico-culturale (la stessa "libertà di pensarla diversamente") c'è un problema di "convenienza politica" nelle affermazioni e nelle scelte politiche che si fanno. Bisogna fare estrema attenzione a non inimicarsi non tanto il "mondo cattolico" (realtà estremamente variegata e complessa) quanto le alte sfere, le gerarchie ecclesiastiche che a questo sovraintendono. Non è così, forse, per la stessa "ora di religione"?

D'altra parte la storia stessa dell'esposizione del crocefisso (povero Cristo, verrebbe da dire) segue queste linee di sviluppo e "sensibilità". Come ricorda la stessa sentenza di Strasburgo l'obbligo del crocefisso nelle aule risale ad un'epoca anteriore all'Unità d'Italia (decreto reale del 1860 del Regno di Piemonte-Sardegna) per essere ripreso successivamente (dopo la presa di Roma del 1870 e la conseguente crisi di relazioni fra Stato e Chiesa) durante il periodo fascista. E' allora, negli anni venti, che - attraverso circolari e regolamenti- viene riproposto l'obbligo, per essere poi confermato con i patti Lateranensi del 1929, con il riconoscimento del cattolicesimo come religione ufficiale dello Stato italiano. Con l'evidente volontà -aggiungiamo noi - da parte del potere politico, di ingraziarsi la Chiesa cattolica e di ottenere i favori ed il sostegno del Vaticano.
E come non vedere che, ancora oggi, nelle affermazioni dei politici italiani, questa preoccupazione e questa particolare "sensibilità" è prevalente, che si fa di tutto per non essere tacciati di anticlericalismo, laicismo o, peggio ancora, di comunismo (notoriamente ateo e sovversivo) ?

A sostegno di queste nostre osservazioni sta il fatto che l'Italia è l'unico paese, in tutta Europa, ove si sta a discutere - con queste modalità (scandalo, sorpresa, motivazioni addotte, ecc.) - di crocefisso nelle aule. In Francia c'è una legge, dal 1905 (sic!), che vieta l'esposizione di simboli religiosi nei luoghi pubblici. Nella cattolicissima Spagna un giudice del tribunale di Valladolid ha stabilito che i crocefissi non devono essere presenti negli edifici pubblici e il governo Zapatero sta preparando un disegno di legge sulla libertà religiosa che prevede, tra l'altro, la rimozione dalle aule delle scuole pubbliche dei simboli religiosi. Non parliamo dei paesi a cultura protestante.

Da noi si arriva a sostenere, per aggirare il principio della laicità dello Stato (e quindi della scuola pubblica), che il crocefisso non è un simbolo religioso ma semplicemente un fatto culturale appartenente alla tradizione storica italiana, etica ed umanistica ("La presenza del crocefisso - dice la Gelmini - non significa adesione al cattolicesimo, è un simbolo della nostra tradizione"). Come il presepe. Esattamente le tesi che la sentenza della Corte europea smonta e ribalta, sostenendo che "a parere della Corte il simbolo del crocefisso ha una pluralità di significati tra i quali la significazione religiosa è predominante". Ha cioè "soprattutto e prima di tutto" una forte connotazione religiosa. E che il crocefisso rappresenta quindi un "segno esteriore forte", non ininfluente, per gli scolari.

A questo proposito non si può non considerare, ad un'analisi obiettiva della situazione, qual è la realtà delle classi (e della loro composizione) oggi nel nostro paese, soprattutto nelle scuole di base, ove la presenza di alunni stranieri raggiunge percentuali elevatissime. Sotto questo aspetto, non è allora anacronistica, superata, questa discussione in presenza di una moltitudine di alunni appartenenti ad altre etnie, culture e confessioni religiose? E non fa bene la Corte a ricordare che la scuola "non dovrebbe essere il teatro di attività missionarie o di predica ma luogo di incontro di differenti religioni e convinzioni filosofiche"?

Per non dire di quando la Corte affonda il coltello nella piaga affermando che "l'esposizione dei simboli religiosi non può giustificarsi per la necessità di un compromesso necessario con i partiti politici d'ispirazione cristiana". Appunto. Perché restiamo convinti che il vero problema, al di là ed oltre il crocefisso, stia qui. Da un lato l'invadenza delle gerarchie cattoliche negli affari politici italiani e nelle stesse scelte di governo (dall'ora di religione ai finanziamenti alle scuole private, ai privilegi fiscali, all'esonero dal pagamento dell'ICI, ecc.). Dall'altro la condiscendenza e la subalternità di un ceto politico che troppo spesso glissa sui principi (laicità dello Stato, ecc.) per ragioni di comodo e, appunto, di convenienza ed opportunità (o, per meglio dire, di opportunismo).

Ci resta un ultimo interrogativo. Se la fede cristiana, la credenza nella religione cattolica è un atto intimo, personale, perché tutta questa virulenza per l'ostentazione di simboli religiosi nei luoghi pubblici e nelle scuole statali? Non è un segno di debolezza, sul piano religioso, e una forma di integralismo e di prevaricazione sul piano politico e culturale?

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Stefania Flamigni    - 08-11-2009
D'accordo, sì. Subito dopo ci metterei poi il problema della pochezza delle classi dirigenti.

 insegnante di scuola primaria    - 08-11-2009
Il crocifisso non disturba.....