La scuola infelice
Antonio Vigilante - 17-10-2009
Nell'Italia regressiva, sclerocardica, tetramente autoritaria e al tempo stesso grottescamente libertina di questi anni la violenza contro i bambini non fa notizia. Non, almeno, la violenza di chi dovrebbe educare. Essa è benefica, in fondo, anche quando si esagera. A Mestre un maestro ha scaraventato un alunno di nove anni contro un armadio. Gli ha gonfiato la faccia, gli ha rotto gli occhiali. I giornali nazionali non ne parlano, ne danno notizia* solo quelli locali. Il maestro resta al suo posto, nessuno lo sospende, come è accaduto invece a Franco Coppoli**, colpevole di aver tolto il crocifisso dal muro. Il ministro Gelmini, che pochi giorni fa ha annunciato che le scuole che non hanno risposto all'invito di esservare un minuto di silenzio in onore dei soldati italiani morti in Afghanistan (non comprendendo, evidentemente, che nell'Italia di oggi un invito equivale ad un ordine) saranno sanzionate, non ha avuto nulla da dire. Altri invece parlano. E dicono cose terribilmente inquietanti. Alcuni docenti italiani discutono della vicenda nel loro gruppo di discussione (it.istruzione.scuola). Ecco le loro parole:

Sicuramente da adesso in poi il pargolo ci penserà 2 volte prima di
disturbare in classe....

Almeno una cosa è risolta...

commento serio: spero il pargolo non sia una povera vittima, ma un bulletto in erba. Cosi' ha ricevuto una bella lezione...

Quando hanno dato 12 giorni di guarigione a me si trattava di una
ferita lacero-contusa profonda con 15 punti di sutura, iniezioni di
antibiotici e terapia antitetanica. Sarei curioso di sapere quante
vertebre o costole si è fratturato il pargolo per avere una prognosi
del genere...

però, diciamo la verità, ha realizzato i nostri sogni nei momenti più
difficili....

Come lo capisco... [riferito al maestro]

Perdonate... e l'armadio?
Integro?
Perchè pare la vera parte lesa della questione...

Esprimo la più viva solidarietà all'armadio, così ingiustamente colpito.


Le persone che così - solidarizzando, ironizzando, schernendo il bambino, che diventa pargolo, come dire bamboccio viziato e arrogante - commentano un episodio gravissimo sono le stesse che la mattina entrano nelle aule delle nostre scuole per compiere il delicato lavoro di istruire ed educare.
Ci si preoccupa dell'efficienza, della produttività, della competitività, del costo del nostro sistema scolastico. Questi commenti mettono in evidenza un problema che è molto più urgente. Un episodio di violenza contro uno studente è commentato dai docenti con parole non troppo diverse da quelle che gli studenti userebbero per commentare un episodio di violenza di uno di loro contro un docente. E' evidente che c'è un conflitto. La scuola è il luogo in cui i docenti odiano - o sopportano, accumulando rancore e frustrazione - gli studenti, e lo stesso avviene agli studenti. La pretesa assurda è che questo luogo, in cui ci si odia, sia al tempo stesso il luogo dell'educazione, in cui avviene quell'opera delicata e complessa che è la crescita di un essere umano nel bene e nel bello.
Se le scuole sono questo, c'è poco da discutere: meglio chiuderle. Quel poco che vi si impara si potrà bene impararlo altrove, in posti meno oppressivi, più liberi, in cui si possa respirare e vivere. Non ci si illuda. La violenza fisica, più frequente di quanto non si crede e realmente tollerata, quando non apertamente approvata (tra i miei ricordi di docente c'è quello di un collegio dei docenti durante il quale una collega fu applaudita dopo aver confessato di aver preso a schiaffi un'alunna), non è che parte di una violenza più ampia, costante, sistematica e strutturale - la violenza con la quale lo studente viene costantemente ricondotto alla volontà del docente o all'esigenza del luogo, giudicato e confrontato, umiliato e zittito. Le scuole sono luoghi in cui l'umanità soffre, la dignità è offesa, la creatività conculcata, e trionfano il cinismo, l'opportunismo, la passività, l'obbedienza. L'insegnante fin dal suo primo giorno di lavoro si trova immerso in un sistema che ha dalla sua la forza della tradizione, che assume la maschera del buon senso, pur essendo evidentemente folle. Se volesse cambiare le cose, incontrerebbe non poche difficoltà. Il maestro che tollerasse la vivacità dei suoi bimbetti - Tolstoj raccontava con un certo compiacimento lo scompiglio della sua classe a Jasnaja Poljana - si troverebbe a subire l'ispezione del dirigente, perché un maestro dimostra di essere un buon maestro anche esibendo il silenzio e l'ordine della sua classe, e così un docente di scuola superiore che tentasse di stimolare la creatività dei suoi studenti, invece di esigere la ripetizione mnemonica della lezione o del libro di testo. L'insegnante è immerso in una realtà intimamente conflittuale, che può piacergli o meno, ma che non ha deciso lui. Con i suoi studi ha acquisito la conoscenza della sua disciplina e, forse, qualche conoscenza di didattica. Ciò che nessuno ha pensato di fornirgli è qualche conoscenza sull'arte di gestire i conflitti. Gran parte dell'insegnamento è questo: gestione di confltti. Ma i docenti non sono preparati per questo. In un certo senso, vanno allo sbaraglio. Di qui la frustrazione e il malessere espresso dai commenti citati.
Come fare in modo che le scuole siano luoghi meno infelici? E' da questa domanda, che è ancora tabù, che deve partire ogni seria azione di riforma della scuola.


Tags: violenza


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