Per Franco Volpi. Morire in bicicletta
Andrea Tornago - 17-04-2009
C'è qualcosa di insopportabile nel morire in bicicletta, in uno dei rari istanti di libertà e di fragilità strappati alla fatica e alle delusioni del mondo. Investiti da un'auto, come è accaduto il lunedì di Pasquetta a Franco Volpi, professore ordinario di filosofia all'Università di Padova.

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C'è qualcosa di insostenibile in questo morire nudi, colti e puniti nell'attimo della fuga, della libertà, dello svestimento: questo lasciarsi alle spalle la casa per la strada uscendo senza documenti, per una volta soli, e per questo a lungo senza nome e senza riconoscimento dopo l'impatto. Una libertà che si converte in oblio e dimenticanza.
Di chiunque sia la colpa, bisogna affermare che una morte come questa è inaccettabile e ha un valore politico. Non si rispettano gli stop in questo paese, non ci si ferma davanti a nulla, non c'è paura di far male, non c'è cura per niente e nessuno. C'è solo l'arroganza della macchina e l'incapacità di governarne il pericolo, ci si muove nel mondo a spallate, come carri armati di un esercito invasore.
Una bicicletta che ci fa. È una fionda contro un cingolato.
Vengono a scontrarsi così le due Italie che ogni giorno rischiano di diventare una sola: l'Italia delle libertà, la libertà di travolgere e calpestare. Contro la fragile libertà dell'arte della fuga, del discreto scostarsi e sparire, dell'andare piano o della velocità leggera e silenziosa della bicicletta. Una hybris che non manca di essere punita. Non si può fuggire dall'Italia prepotente e macellaia senza esserne raggiunti all'incrocio poco più in là, braccati e travolti dalla sua - ormai - incontrastata onnipresenza.
Per questo siamo con te, Franco Volpi, in sella a quei miseri dieci chilogrammi di metallo, ad occhi chiusi nel sole, dentro tutto quel vento.

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 P.C.    - 20-04-2009
Anche Mario Gattullo morì andando in bicicletta, investito da un autobus. Può esserci un nesso? Pendo al Talete che cadde in un pozzo. NOn so.