Anche per questo è possibile la Gelmini
Paolo Citran - 03-04-2009
Si può dire probabilmente che io possa essere considerato uno che ha fatto il Sessantotto, innanzitutto per motivi banalmente anagrafici e fisici, nel senso che nel Sessantotto io ero matricola in una delle università italiane, che con gli eventi si sarebbe rivelata tra le più turbolente anche per episodi gravi di opposto colore e per personaggi che, da opposte posizioni, vi erano implicati.
Io francamente frequentavo regolarmente le lezioni quanto più proficuamente possibile, non intendevo farmi mantenere a vita, cercavo di fare esami, personalmente avevo (con il mio cervello intriso di tanti dubbi ed incertezze, che avrei voluto trovassero una risposta, ma che poi avrei considerato costitutivi del mio essere - nel - mondo e quindi avrei identificato non più come il problema, ma come la soluzione) - una posizione personale che certamente non era rivoluzionaria e che oggi verrebbe detta moderata (allora il moderatismo era una qualifica negativa persino in casa democristiana: solo Andreotti ricordo che - forse qualche anno dopo - avrebbe elogiato la moderazione in opposizione ad un moderatismo che considerava cattivo politichese).
Con senso del dovere atavico frequentavo le assemblee studentesche, spesso vi individuavo buone ragioni, ma proprio per temperamento non riuscivo ad identificarmi con le estremizzazioni che mi sembravano esasperare anziché risolvere, non meno dogmatiche delle idee contestate. Partecipai ad alcune manifestazioni che mi apparivano avere giusta causa: ricordo un corteo contro lo scià; ho memorizzato un sit - in davanti alla questura a cui un'amica e collega mi aveva più o meno trascinato prendendomi poderosamente a braccetto (or non ricordo le motivazioni), una specie di assedio ad un Istituto di Geografia, disciplina che nulla aveva a che fare con il mio indirizzo di studi, ma che per alcuni rappresentava un intoppo quasi proverbiale nel percorso verso la laurea, e quindi espressione baronale di un potere antidemocratico.
In fondo quindi dire che io abbia fatto il Sessantotto potrebbe forse anche esser contestabile. In realtà, a mio avviso l'influenza assolutamente costruttiva e positiva del Sessantotto io credo che fu per me e per molti l'occasione eccezionale di una presa di coscienza che di tutto si poteva discutere, che la critica è libera, che nulla e nessuno era incontestabile, né chiesa né stato, né sapienti né esperti, né potenti né carismatici, né era impossibile perseguire la direzione dell'utopia.
Credo che questo sia il segno che quel tempo, dilatandosi anche nella maturazione e nella riflessione personale degli anni successivi, mi ha portato a pormi in una posizione di possibilismo e prospettivismo radicale che permettono di mantenere una progettualità che forse i sessantottini doc, quelli che si beccavano le denunce, che s'illudevano che la rigenerazione della società fosse dietro l'angolo, che da intellettualmente presbiti nel guardare al futuro si richiamavano a Toni Negri, alle varie Lotta continua e ai gruppi tipo Potere operaio (o per altro verso a personaggi come Freda e Ventura) probabilmente non praticano neanche oggi.
Il sentire che lentamente maturava in me era: il pensiero è libero, tutto può essere oggetto di riflessione critica, il mondo non è immobile.
Dal dogmatismo originario del Movimento si formava chi si convinceva che il mondo con fatica forse si può cambiare, con gli strumenti di una democrazia che non necessariamente è per sua essenza capitalistica e borghese (anche se certamente ab origine lo era).
Probabilmente sono proprio molti di coloro che credevano in un imminente nuovo sole nascente, nel nuovo tempo di una escatologia laica, che hanno oggi tirato i remi in barca, magari dedicandosi allo slow-food o ricavandosi qualche nicchia ecologista od etologista, o buttandosi sulla pratica al jogging maniacale o sull'invenzione di feste cosiddette "tradizionali" (dalla festa della mela, o della zucca, a quella degli aquiloni, degli sbandieratori di Vattelappesca, ecc. ecc).

Anche per questo è possibile Miss Maria Stella (e lo è stata Donna Letizia) con annessi e connessi.

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 Gabriele Uras    - 05-04-2009
Più che di un commento, l'intervento ha bisogno di un completamento. C'è soltanto la prima parte, la seconda deve essere rimasta nella penna, o nel computer, dell'autore. Serve a poco dire che la Gelmini è colpa del '68, se prima non si fa delle colpe un elenco ragionato, nel quale l'abolizione dei moduli vi può figurare ad un titolo che non può essere lo stesso degli interventi sull'Università e sui relativi concorsi. E poi non credo che la Gelmini sia figlia del '68, che figli ne ha tanti, più o meno legittimi e onusti di meriti o di colpe. La Gelmini è figlia del suo tempo, le sue innovazioni sono figlie di molti genitori, e così come molti dei suoi errrori, o meglio di quelli che per noi sono tali. Forse che il ministro Fioroni ha fatto di meglio? Il Paese attraversa una grave crisi e la scuola ne paga le conseguenze in una misura superiore ad altri settori, non per colpa della Gelmini, ma perché è debole, perché si trascina dietro tanti problemi irrisolti, perché è mal governata, perché si è illusa che bastasse una legge sull'autonomia per poter essere veramente autonoma, perchè ancora non riesce a chiarire i termini possibili di questa autonomia e i suoi profili operativi, che è dell'insegnante singolo, dei docenti come collegio, del dirigente dal profilo pedagogicamente esangue, dei genitori... e della stessa Ammnistrazione, la quale, quando impatta in problemi di non facile soluzione, rimanda all'autonomia, che diviene così il ricettacolo delle questioni irrisolte o di diffcile risoluzione, e intanto materie proprie dell'autonomia vengono disciplinate per legge, mentre s'affaccia alla ribalta concorsuale un dirigente tecnico dal profilo demenziale, pedagogicamente e culturalmente asfittico, offesa indecente al buon senso e ad una funzione che il '68 aveva lasciato indenne, anzi aveva nobilitato e posto al servizio della scuola.

 Giuseppe Aragno    - 05-04-2009
Rispettosamente, ma fermamente. Non le pare, Citran che per un cervello educato al dubbio e all'icertezza sino al punto da riconoscerli come "costitutivi de suo essere al mondo", lei manifesti in questo articolo una quantità impressionante di certezze e di domande che hanno trovato risposte? Lei è certo che i suoi sessantottini "intellettualmente presbiti" - ecco una certezza - abbiano tirato tutti i remi in barca e non siano capaci di mantenere una progettualità, che riconosce a se stesso senza dubitare? E' così informato su ciò che fanno e pensano, su come vivono oggi quelli che lei definisce sessantotini doc? Ha notizie indubbie della resa, a quanto pare vergognosa e senza condizioni, accettata, per fare dei nomi, da Negri e Scalzone? E' certo di averne? E non potrebbe darsi, infine, che nei suoi sit in senza motivazioni, se non quelle di un trascinamento poderoso del braccio d'una collega amica, nel suo mettere insieme lo Scià e l'Istituto di Geografia, il Sessantotto degli studenti e degli operai e personaggi come Freda e Ventura, in tutto questo, mi scusi, ci sia in fondo più qualunquismo che moderatismo? Anche per questo forse è possibile la Gemini.

 P.C.    - 07-04-2009
Con ironia un po' amara mi limito a notare che molti "ex-combattenti"hanno abbandonato le armi trovandosi uno spazio loro (magari dignitosissimo), che non è più né quello della critica radicale né quello dell'impegno al cambiamento.. Tutto qua. Senza dogmatizzare nulla. I governi che abbiamo in parte derivano anche da questo.