Strettamentepersonale. Di una vita pienamente umana
Aldo Ettore Quagliozzi - 07-02-2009
Non ne ho mai scritto ma mi stupiscono e mi turbano assai, nella vicenda di Eluana, le posizioni dei sedicenti o cosiddetti credenti. Credenti in cosa? Non trovo risposta alcuna. Scrivo da non credente. A me pare, semplicemente, che il divario tra il credente e il non-credente passi per la visione che si ha del concetto proprio di vita. E nella mia riflessione non voglio assolutamente lasciarmi trascinare dalla mia educazione scientifica. La linea di confine è collocata proprio in quella visione della vita: angusta, poiché rivelatasi nell'occasione irrimediabilmente materialista da parte dei sedicenti credenti, che legano, nella vicenda della sfortunata Eluana, la loro difesa della vita alla difesa di quella vita ridotta alla sola materialità o meglio, con minore crudezza, alla sola forma biologica; di grande spessore e che vola alta invece e come insufflata da un anelito di insperata "spiritualità", messa laicamente tra virgolette, la visione espressa nell'occasione dai cosiddetti non-credenti o laici che dir si voglia, che usurpano quasi quella visione della vita che dovrebbe essere propria dei credenti nel senso non solo strettamente lessicale.

Come è possibile porsi a difensori di una vita che non abbia una consapevolezza del proprio essere, del proprio stato, di una vita che non abbia nulla di vita di relazione con gli altri e con la propria individuale storia? Quei difensori della vita, di una vita ripeto ridotta allo stadio biologico, dovrebbero, a rigor di logica, erigersi coerentemente a difensori di tutte le forme di vita biologica; tralasciando le forme microscopiche per la loro intrinseca non visibilità nel mondo reale dei sensi ed andando su su per la scala della complessità biologica, dovrebbero erigersi a strenui difensori dei platelminti, così come dei celenterati, e degli artropodi, e dei molluschi, per non dire del resto dei vertebrati se non dei rimanenti mammiferi. Niente di tutto ciò. Istruiti alla parola della provvidenza che sia divina, abbacinati da un credo che li conduce a ritenersi creati a somiglianza di un'entità assolutamente astratta (dio!), hanno i credenti occupato il pianeta chiamato Terra da padroni assoluti e con i comportamenti conseguenti verso tutte le altre forme di vita biologica. La sacralità della vita umana ridotta al solo aspetto biologico rimasto viene tirata fuori nella vicenda tristissima di Eluana; quella vita non più umana, ma soltanto biologica, vita difesa con altisonanti proclami, e manca poco che si invochino le ire e le saette dell'astratta identità superiore che tutto ha creato.

Mi sconcertano queste tristissime vicende del tempo nostro. E' come se gli uni, ovvero i credenti, avessero perso i connotati loro, il loro anelito alla trascendenza, la loro visione della vita che travalica, o che dovrebbe travalicare per l'appunto l'angusta visione della vita ridotta allo stato miserevole (quante mortificazioni della carne hanno dovuto assaporare i credenti di questo mondo) della corporalità. Ma lo stato miserevole della corporalità non dovrebbe rappresentare per i credenti solamente uno stato del passaggio verso quella vita gaudiosa che li attenderebbe oltre l'azzurro del cielo? E', quest'ultima, la visione della vita che manca al non-credente, al laico in quanto tale. In questa tristissima vicenda di Eluana sembra che le parti si siano invertite, come da un blasfemo copione.

Preciso meglio. Ho sempre creduto e sostenuto che l'unica singolarità che rende l'uomo "veramente umano sia la sua percezione della inevitabile e sempre imminente fine. Fine della propria corporalità, non della storia. Solamente l'uomo veramente umanizzato - reso umano sin dall'atto del concepimento, dallo stadio di zigote o magari oltre? difficile questione assai - ha questa consapevolezza che lo distingue da tutte le altre forme viventi. Ho sempre sostenuto come sia impropria se non da considerarsi sommamente errata la tanto abusata espressione venire al mondo: venire al mondo al pari di un verme qualsiasi, al pari di una formica qualsiasi ecc.ecc. Tutte le forme biologiche nascendo vengono al mondo. Non per l'essere umano umanizzato. Per l'uomo penso debba valere meglio il suo venire nel tempo che sta ad indicare la sua consapevolezza di essere venuto sì al mondo ed al contempo la sua consapevolezza di doverne immancabilmente uscire. Quale altra specie biologica condivide con l'umana specie tale consapevolezza? Nessuna specie biologica che io sappia. Nella scala della complessità biologica le varie forme viventi hanno sviluppato anche sensibilità al dolore, alla familiarità, alla filiazione, alla sessualità, ma nessuna forma biologica, che io sappia, ha sviluppato la consapevolezza propriamente umana di venire nel tempo, di essere nel tempo, di essere entrati nel tempo e di dovere un giorno uscire dal tempo. Possiede Eluana tale consapevolezza che la riscatti dalla sua insuperabile oramai condizione biologica? Di certo non la possiede da tanti e tanti lustri oramai. Ecco ciò che mi sconcerta in questa tristissima vicenda di Eluana; mi sconcerta pensare ai sedicenti credenti, credenti in quanto portatori di una visione non materialistica della vita, portatori invece mancati di una spiritualità vera che ispiri le loro esistenze e le loro azioni conseguenti; mi sconcerta pensare a tutti i credenti che all'improvviso sembrano scoprirsi come spogliati e privi di quella che avrebbe dovuto essere la loro unica visione della vita, la visione di esseri che vivono come insufflati da un anelito divino, e che nell'occasione, invece, si aggrappano come disperati alla corporalità di Eluana, al suo corpo che diviene quasi scialuppa di salvataggio per credenti svuotati dal di dentro di ogni anelito di divina spiritualità. Attorno al corpo biologico di Eluana, spenta la fiammella che lo avrebbe reso completamente umanizzato, con la consapevolezza di essere nel tempo che inesorabilmente scorre, attorno a quel corpo di Eluana ridotto alle sue sole funzioni biologiche, i signori della religione fattasi chiesa cercano di fomentare schiere e schiere, fortunatamente inesistenti, di intransigenti, di intolleranti, battagliando senza pietà alcuna attorno a quel corpo martoriato dalle macchine, senza commiserazione alcuna per la sventura grande nella quale Eluana e la sua famiglia - che da sola l'ha tanto amata e curata in tutti questi anni - sono sprofondate tanti lustri addietro. Siamo al tempo dei ruoti invertiti: di credenti che non credono più di tanto all'anelito ed alla spiritualità di una vita compiutamente umana, e di non credenti, quale io personalmente mi professo, aggrappati non alla corporalità di Eluana, ma al suo diritto di spengere per sempre una vita resa allo stato solo biologico, avendo perso nella tragedia della sua esistenza la consapevolezza prima che la rende compiutamente umana: essere nel tempo, sapere di dovere un giorno qualsiasi uscire dal tempo. E' la condizione questa che rende la vita degna di essere interamente, e dico interamente, vissuta; è l'unica condizione che fa compiere alla corporalità dei viventi il passaggio alla pienezza della umanità. Tutto il resto sono dolorosissime, crudeli, inutili, ipocrite parole.


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 Piccì    - 11-02-2009
Abbiamo ereditato l'idea che l'uomo non può essere ucciso (salvo poi, guerre, inquisizioni e quant'altro) perché si ritiene la sua vita sacro dono di Dio, spirituale, ecc. Così si rianimano neonati in ipossia dopo lunghissimi minuti, neonati destinati a diventare handicappati gravemente con funzioni vitali residuali, si fanno vivere persone in coma irreversibile, ecc. Io condivido l'idea di molta buona bioetica che privilegia la qualità della vita rispetto alla sacralità della vita, come ho imparato dall'amico Maurizio Mori (che ha da sempre seguito il caso di Eluana).
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