breve di cronaca
L'università che piace a destra e Pd
www.aprileonline.info - 20-11-2008
La destra propone un piano di ristrutturazione universitaria che in verità trova sostegno anche da parte dei democratici. E' dal 2004 che esponenti dei Ds (da Rossi a Toniolo) si dimostrano interessati al modello americano degli atenei-fondazioni, tanto da aver depositato anche proposte di legge che vanno in questa direzione della privatizzazione accademica

Non è davvero complicato capire perché il ministro Gelmini continui a rivolgere inviti alla collaborazione all'omologo ministro-ombra del Pd Maria Pia Garavaglia. Con il passare dei giorni diventa sempre più evidente che una questione centrale nel disegno governativo di distruzione dell'università pubblica è la trasformazione degli atenei statali in fondazioni private, resa possibile dall'art. 16 delle legge 133.

Il fatto è che proprio su questa materia la destra sa bene che la cosiddetta opposizione (almeno per quanto riguarda il Pd) è totalmente d'accordo con il governo. La collaborazione auspicata dal ministro Gelmini è quindi a costo-zero, anzi servirà a facilitare e ad accelerare il disastro.

La cosa era già ben nota a chi si interessa di università. È almeno dal 2004 che i Ds si agitano per promuovere il modello americano delle università-fondazioni, strumentalizzando la questione del merito: una questione seria, che andrebbe affrontata garantendo parità nelle posizioni di partenza e obiettività delle valutazioni, e non imboccando scorciatoie "mercatiste", basate sulla generalizzazione del modello economico dell'efficienza. Gianni Toniolo e Nicola Rossi hanno scritto innumerevoli articoli e animato convegni al riguardo. Rossi è autore di una proposta di legge (depositata nel febbraio 2006) in tutto e per tutto identica a quanto oggi disposto dal governo. In due parole, l'idea è trasformare le università oggi pubbliche in soggetti di diritto privato (in proprietà private), liberandole di tutti i vincoli oggi esistenti.

Le università private debbono potere imporre tasse senza alcun limite (oggi il gettito proveniente dalle tasse studentesche non può superare il 20% del fondo di finanziamento di ciascuna università), gestire in modo discrezionale i rapporti di lavoro con il personale docente e non-docente (di fatto precarizzato) e governare didattica e ricerca secondo criteri aziendali, cioè pretendendo che siano redditizie in termini economici.

In cambio (di questo regalo) i privati riceveranno in dote la proprietà dei beni immobili già in uso alle università trasformate in fondazioni. E, per non farsi mancare nulla, incamereranno questo enorme patrimonio pubblico senza pagare nemmeno un euro di imposte e tasse sul suo trasferimento.

Qualche giorno fa l'on. Garavaglia ha voluto chiarire che la proposta di Rossi non è un'opinione personale, ma riflette la posizione del Partito democratico. Ha rilasciato un'intervista ad Aprile online che merita di essere letta con attenzione. Sostiene in sostanza, il ministro-ombra, che le fondazioni vanno bene, purché lo Stato continui a fornire loro finanziamenti pubblici (ciò che peraltro il comma 9 dell'art. 16 già dice chiaramente). Lamenta che la 133 non è abbastanza esplicita sul reclutamento e la governance delle future fondazioni, ma afferma che non c'è ragione di essere contrari poiché "la fondazione in quanto tale può essere neutra come strumento giuridico".

C'è il piccolo particolare che la legge puntualizza che le future fondazioni "perseguono i propri scopi secondo le modalità consentite dalla loro natura giuridica" (privatistica), "operano nel rispetto dei principi di economicità della gestione" (servono a fare profitti) e potranno dotarsi di regolamenti amministrativi "in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici". È davvero difficile non capire che il governo ha in mente vere e proprie imprese private, dove l'immediata redditività economica sarà l'unico fine gestionale, per il cui perseguimento non vi saranno limiti giuridici di sorta. Altro che poco espliciti!

La verità è che su questo impianto "modernizzatore" destra e Pd sono pienamente d'accordo. Veltroni finge di chiedere la revoca dei provvedimenti sull'università contenuti nella 133, ma la sua è pura propaganda. Del resto perché mai dovrebbe essere contrario alle fondazioni proprio lui che continua a considerare gli Stati Uniti, culla delle università private, il modello sociale al quale ispirarsi?

Ma c'è dell'altro. Abbiamo detto privatizzazione. Va a braccetto con questa linea di tendenza (anzi, ne è un corollario) la frammentazione del sistema universitario. Si avranno università di serie a e di serie b. Non ci sarà più l'università italiana, ma tante strutture separate l'una dall'altra. E difatti l'abolizione del valore legale del titolo (per cui essersi laureati non sarà più sufficiente per partecipare a un concorso, ma occorrerà avere ottenuto la laurea in determinate sedi universitarie) è uno degli obiettivi dei "riformatori" in entrambi gli schieramenti politici. Vista così, la distruzione dell'università pubblica si inscrive in quel più generale processo di frammentazione del Paese che è a sua volta una tragedia a cui stiamo assistendo nell'indifferenza complice o nella generale incomprensione.

Vanno in questa direzione lo smantellamento del modello contrattuale incentrato sul contratto collettivo nazionale e, naturalmente, il federalismo fiscale. E anche in questo caso la destra dilaga dove la controparte ha aperto la diga: il processo di frammentazione del Paese prende avvio con la regionalizzazione della sanità pubblica, con la privatizzazione delle pubbliche amministrazioni, con la riforma del Titolo V della Costituzione, con la riforma presidenzialistica delle Regioni: tutte "innovazioni" introdotte dai governi di centrosinistra.

Non dovrebbe essere molto difficile capire che un Paese frammentato è senza difese, senza anticorpi contro l'iniziativa dei poteri sociali forti. L'impresa potrà giocare le aree povere contro le più avanzate per abbattere ulteriormente salari e tutele. E la spesa pubblica sociale sarà ulteriormente ridotta e squilibrata ponendo in concorrenza le diverse zone del Paese.

Questa è la vera partita oggi in corso, che dimostra come lo Stato non sia soltanto il "comitato d'affari della borghesia" ma anche una struttura di tutela dei diritti e uno strumento di lotta contro la prepotenza dei privati. Per questo la destra vandalizza la Costituzione e privatizza a più non posso. Approfittando della complice inerzia di chi avrebbe il compito di sbarrarle la strada.

Alberto Burgio

Pubblicato su Aprileonline
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