Cosa nasconde il burocratese
Gianfranco Pignatelli - 03-10-2008
Il piano Gelmini-Tremonti per la scuola si muove lungo tre direttici: "revisione degli ordinamenti scolastici", "dimensionamento della rete scolastica italiana" e "razionalizzazione delle risorse umane". Il burocratese non basta a nascondere i tagli come obiettivo esclusivo. Eccoli: 87.400 cattedre e 44.500 posti Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario) cancellati che, sommati ai tagli già programmati dal precedente esecutivo, arrivano a 160 mila occupati in meno.

La manovra si realizza con l'aumento - oltre il sostenibile - del rapporto alunni/docente, col maestro unico e la soppressione di 11.200 specialisti di inglese e del tempo pieno alle elementari, con la contrazione delle ore in tutti gli ordini di scuola, la compressione del tempo prolungato alla scuola media, la rivisitazione delle classi di concorso degli insegnanti per favorire la mobilità provocata dalla realizzazione di ulteriori tagli all'organico e la soppressione/limitazione di alcuni insegnamenti (es. latino nei licei scientifici) e del sostegno agli studenti con handicap. Effetto collaterale, e per nulla marginale della manovra, l'espropriazione di qualsivoglia prospettiva occupazionale per gli oltre 300.000 insegnanti precari impiegati da decenni nella scuola statale. Ad essere falcidiate, però, non sono solo le "risorse umane" ma anche quelle materiali. L'algido burocratese del ministero dell'istruzione ci fa sapere che gli attuali "punti di erogazione" del servizio scolastico sono 41.862 ma si prevede di tagliarne 10.080. Ciò equivale alla chiusura delle scuole con meno di 600 alunni, prevalentemente dislocate nei centri più piccoli e disagiati, con l'inevitabile aggravio dei disagi, della dispersione ed elusione scolastica, ma anche la perdita del patrimonio identitario locale e la soppressione tout court degli avamposti di legalità e socializzazione presenti sul territorio.

L'intera operazione dovrebbe consentire risparmi superiori a 8 miliardi di euro, pari ad un terzo dell'intera manovra finanziaria dello stato. Come a dire che la scuola paga per tutto e paga per tutti.

Una scelta dissennata, spacciata per "razionalizzazione", che investe prioritariamente le risorse umane. Per attuarla si dà ad intendere che l'istruzione migliore si ottiene con meno insegnanti. Al tanto peggio, insomma, s'aggiunge il sempre meno. Così, la classe politica scarica sui lavoratori del comparto scuola responsabilità e costi della retrocessione agli ultimi posti delle classifiche OCSE occultando le colpe di quella sequela di ministri incompetenti ed incapaci che hanno sgovernato l'istruzione nell'ultimo ventennio. Così gli insegnanti - sempre più sottoccupati, sottopagati e sottostimati - sopporteranno il prezzo più alto del contenimento della spesa pubblica o della cosiddetta razionalizzazione delle risorse. Intanto, assistono impotenti alla politica dei troppi segni meno: meno risorse, meno tempo scuola, meno classi, meno cattedre e diritti. Pochi, invece, i segni più: più alunni per classe, più ore per singolo docente, più precarietà. Gli effetti più devastanti della manovra Tremonti-Gelmini si spalmeranno nel tempo e si rifletteranno su tutti. Segare così la scuola significa compromettere il futuro dei giovani, l'equità sociale e l'unità nazionale. Un'istruzione sempre più deficitaria impedirà alle nuove generazioni di competere ed affermarsi. A chi sa ed ha di meno sarà preclusa la facoltà di progredire e di avere le medesime opportunità concesse a chi parte da situazioni socio-culturali più vantaggiose. E non è tutto. Discriminando le aree periferiche e marginalizzate del Paese s'accentueranno le disuguaglianze, impedendo, nei fatti, quella possibile parificazione tanto necessaria per l'applicazione del federalismo. Il disegno politico che si nasconde dietro il buracratese spinto è, in realtà, secessionista e classista. E' un piano che smantella la scuola pubblica, quella di tutti e per tutti, quella che non divide e non discrimina, non toglie e non esclude.

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 Giuseppe Aragno    - 04-10-2008
Io mi ricordo di quando, su questa rivista, chi temeva l'esito conclusivo di una dissennata politica di "supplenza" che veniva da sinistra, si sorbiva le prediche dei sapientoni, le tiritere dei sindacalisti della Cgil, e veniva fatto passare per una "testa calda". Non c'è, non ci può essere alcuna soddisfazione ad aver avuto ragione, ma è bene dirlo chiaramente: se non si trova modo di contrastare questo progetto delirante, che si afferma in un Parlamento delegittimato da una legge elettorale vergognosa, i figli dei lavoratori, i nostri figli e i nostri nipoti, non hanno futuro. Lasceremo che accada?

 Marilena Iacomelli    - 05-10-2008
E' desolante lo stato di apparente impotenza dell'opposizione, che a mio parere nasconde la volontà di lasciar fare alla destra ciò che anche la sinistra vuole ma non può metterci la faccia. ricordo con amarezza Fioroni che prima delle elezioni, pur potendo, non firmò il decreto attuativo delle immissioni da lui inserite in finanziaria; e si era in piena campagna elettorale! Ricordo Panini (FLCGIL) che, cercando di tranquillizzare i docenti precari che temevano per le immissioni, disse che i posti c'erano...sul sostegno... tanti. Capii in quel momento che doveva esserci un grave problema e seppi di lì a poco che le assunzioni sulla classe di concorso di lettere alle medie non si potevano fare (e difatti ne sono state fatte pochissime) perché era preventivata da tempo una fortissima riduzione di cattedre proprio in quella classe di concorso. Fioroni sapeva. Panini pure. Oggi le parole, le accuse al nuovo governo, per loro (Fioroni, Panini...), sono facili, "doverose", io direi di rito e di facciata. Far seguire a queste parole una azione concreta, determinata e soprattutto efficace è un altro discorso: significherebbe essere contrari davvero. Per me non lo sono, fino a prova contraria; che non sarà, ovviamente, averla vinta sui grembiulini.