Voci "diverse" da Israele
Peacelink - 24-08-2002
Scrive Uri Ya'acobi, un ragazzo "non occupante", studente delle superiori, che ha deciso di fare obiezione di coscienza e di rifiutarsi di fare il servizio militare nell'esercito israeliano, punto e basta:


Tra due giorni rifiuterò l'arruolamento nell'esercito.
Andrò al centro militare, salirò insieme agli altri giovani sull'autobus e scenderò insieme a loro al Centro di Reclutamento a Tel Hashomer. A
differenza degli altri, rifiuterò di farmi arruolare e, quasi sicuramente, verrò mandato in prigione. In prigione incontrerò altri due firmatari della "Lettera degli studenti delle superiori", Yoni Yechezkel e Dror Boimel. Sono stati rinchiusi in carcere la settimana scorsa, perché a loro volta avevano rifiutato l'arruolamento. Proprio come farò io. E loro come me e molti altri israeliani capiscono che questa guerra, portata avanti dallo Stato di Israele nei Territori che ha occupato nel 1967, non è una guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre (esattamente come non lo furono molte delle guerre combattute nel corso della storia).
Quando i mezzi di informazione stranieri ci descrivono i carri armati israeliani che la fanno da padroni per le strade delle città palestinesi (chissà perché i media israeliani non ce ne parlano quasi mai), non ce la
raccontano tutta. La triste verità è che l'esercito israeliano nei Territori non si limita alle devastazioni compiute dai carri armati per le strade. Nè le azioni militari si limitano a fermare le ambulanze con a
bordo donne incinte ai posti di blocco. I nostri soldati si trovano in situazioni difficili, è vero, e alcuni di sicuro lo fanno per sbaglio ... ma la verità è che uccidono bambini e vecchi che non sono in alcun modo
collegati con il terrorismo! Distruggono case di intere famiglie e commettono altri atti, di cui la miglior definizione è "terrorismo". Tutti questi sono atti imperdonabili, ai quali io e i miei amici ci rifiutiamo di
partecipare. Sono azioni che vanno contro la giustizia. E non c'è alcuna ragione al mondo, certamente non il desiderio di colonizzare un altro pezzo di terra, che possa trasformarle in azioni giustificate dal punto di vista morale, come non c'è alcuna ragione al mondo che possa trasformare gli attacchi terroristici contro i civili israeliani in azioni moralmente giustificate.
Io non so se la leadership palestinese desideri veramente la pace, io non so se i palestinesi vogliono rimanere poveri e discriminati per sempre (anche se appare difficile che sia così). Ma so per certo una cosa: che i palestinesi non ci vogliono come forza di occupazione! So che non vogliono vivere in una situazione di guerra e di continuo spragimento di sangue. So che non sono loro che ci obbligano ad occupare le loro terre; non sono loro che ci hanno trasformato in forza di occupazione. Questo siamo abbastanza bravi a farlo da soli, senza il loro aiuto. Non vado affatto fiero del mio popolo o del mio paese. Non vado affatto fiero delle azioni che vengono
compiute in nome della mia sicurezza. Né sono fiero del fatto che andrò in prigione perché mi rifiuterò di servire in un esercito di occupazione (e non sono fiero neanche dell'opportunità che mi viene data di soffrire per la mia scelta di principio). Sono fiero però del fatto che ascolto la voce della mia coscienza, e sarò felice quando un numero sempre crescente di persone ascolterà la propria coscienza e non gli ordini del comandante.


Dice Yitzhak Frankenthal, Presidente del Forum delle Famiglie, durante una manifestazione a Gerusalemme sabato 27 luglio 2002, fuori dalla
residenza del Primo Ministro.



Il mio adorato figlio Arik, mia carne e mio sangue, è stato ucciso dai palestinesi. Il mio figlio dagli occhi azzurri e dai capelli d'oro che era sempre sorridente con l'innocenza di un bambino e il giudizio di un adulto.
Mio figlio. Se, per colpire i suoi assassini, dovessero essere uccisi bambini palestinesi e altri civili innocenti, io chiederei alle forze di sicurezza di aspettare un'altra occasione. Se le forze di sicurezza
dovessero uccidere anche palestinesi innocenti, io direi loro che non sono stati migliori degli assassini di mio figlio.
Il mio adorato figlio Arik è stato ucciso da un palestinese. Se le forze di sicurezza avessero informazioni sul luogo in cui si trova questo assassino e se risultasse che è circondato da bambini e altri civili palestinesi innocenti, allora, anche se le forze di sicurezza sapessero che il killer
sta programmando un altro attacco omicida che sta per essere lanciato entro alcune ore e se ora avessero la possibilità di frenare un attacco
terroristico che ucciderebbe civili israeliani innocenti ma a costo di colpire palestinesi innocenti, io direi alle forze di sicurezza di non cercare la vendetta ma di tentare di evitare e prevenire la morte di civili
innocenti, siano essi israeliani o palestinesi.
Io preferirei che il dito, che preme il grilletto o il bottone che fa cadere la bomba, tremasse prima di uccidere l'assassino di mio figlio, piuttosto che venissero uccisi dei civili innocenti. Direi alle forze di
sicurezza: non uccidete l'assassino. Piuttosto, portatelo davanti ad un tribunale israeliano. Voi non siete i giudici. La vostra unica motivazione
non dovrebbe essere la vendetta, ma la prevenzione di ogni danno a civili innocenti.
L'etica non è bianca e nera, è tutta bianca. L'etica deve essere libera dalla volontà di rivalsa e dalla sconsideratezza. Ogni atto deve essere attentamente soppesato prima che si prenda una decisione per vedere se risponde agli stretti criteri etici. L'etica non pur essere lasciata alla discrezione di chiunque sia frivolo o dal grilletto facile. La nostra etica
è appesa a un filo, alla mercé di ogni soldato e politico. Non sono del tutto sicuro di voler delegare a loro la mia etica.
E' immorale uccidere donne e bambini israeliani o palestinesi innocenti. E' immorale anche controllare un'altra nazione e portarla a perdere la sua
umanità. E' palesemente immorale far cadere una bomba che uccide palestinesi innocenti. E' manifestamente immorale compiere la propria vendetta su astanti innocenti. D'altra parte, è sommamente etico prevenire la morte di ogni essere umano. Ma se tale prevenzione causa la morte
inutile di altri, il fondamento etico per tale prevenzione va perduto.
Una nazione che non è in grado di tracciare il confine è condannata alla fine ad applicare misure immorali contro il suo stesso popolo. Il peggio nella mia mente non è ciò che è già capitato ma ciò che sono sicuro
succederà un giorno. E succederà perché ora l'etica viene distorta e la leadership politica e militare non ha neanche la fondamentale integrità per dire: "Ci dispiace".
Abbiamo perduto di vista l'etica molto prima degli attentati suicidi. Il punto di rottura è stato quando abbiamo cominciato a controllare un'altra nazione. Mio figlio Arik è nato in una democrazia con una possibilità di una vita decente, sicura. L'uccisore di Arik è nato sotto una spaventosa occupazione, un caos etico. Se mio figlio fosse nato al suo posto, avrebbe potuto finire facendo la stessa cosa. Se io stesso fossi nato nel caos politico ed etico che è la realtà quotidiana palestinese, certamente avrei provato ad uccidere e a colpire l'occupante; se no, avrei tradito la mia
essenza di uomo libero. Lasciamo che tutti gli ipocriti che parlano degli spietati assassini palestinesi diano uno sguardo severo allo specchio e chiedano a se stessi cosa avrebbero fatto se fossero stati loro a vivere sotto l'occupazione. Per quanto mi riguarda, posso dire che io, Yitzhak Frankenthal, sarei indubbiamente diventato un combattente per la libertà e avrei ucciso il maggior numero possibile di quelli dell'altra parte. E' questa ipocrisia depravata che spinge i palestinesi a combatterci implacabilmente. Il nostro doppio metro che ci permette di vantare la più
alta etica militare, mentre la stessa etica militare uccide bambini innocenti. Questa mancanza di etica è portata a corromperci.
Mio figlio Arik è stato ucciso quando era un soldato da combattenti palestinesi che credevano nel fondamento etico della loro lotta contro l'occupazione. Mio figlio Arik non è stato ucciso perché era ebreo ma
perché è parte di una nazione che occupa il territorio di un'altra.
So che queste idee sono sgradevoli, ma devo esprimerle forti e chiare perché vengono dal mio cuore, il cuore di un padre il cui figlio non è riuscito a vivere perché il suo popolo era accecato dal potere. Anche se vorrei farlo, non posso dire che i palestinesi devono essere incolpati della morte di mio figlio. Questa sarebbe la via d'uscita più facile, ma siamo noi, gli israeliani, che dobbiamo essere incolpati a causa dell'occupazione. Chiunque rifiuta di tener conto di questa terribile verità porterà alla fine alla nostra distruzione.
I palestinesi non possono cacciarci via; essi hanno riconosciuto da tempo la nostra esistenza. Sono stati pronti a fare la pace; siamo noi che non vogliamo fare la pace con loro. Siamo noi che insistiamo a mantenere il nostro controllo su di loro; siamo noi che aggraviamo la situazione nella regione e alimentiamo il ciclo dello spargimento di sangue. Mi dispiace dirlo, ma la responsabilità è interamente nostra.
Non intendo assolvere i palestinesi e in nessun modo giustificare attacchi contro civili israeliani. Nessun attacco contro civili pur essere condonato. Ma come forza di occupazione siamo noi che calpestiamo la
dignità umana, siamo noi che annientiamo la libertà dei palestinesi e siamo noi che spingiamo un'intera nazione a folli atti di disperazione.
Infine, faccio appello ai miei fratelli e sorelle negli insediamenti perché vedano a che punto siamo arrivati.


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