Scabbia e ladri
Marino Bocchi - 16-12-2000
Nella mia scuola c’era la scabbia: tre casi, imbarazzo della presidenza, stato di agitazione permanente da parte dei ragazzi. Incontro con l’ASL, nessuno tra alunni e genitori democraticamente agita il fantasma che si aggira nei loro cervelli: troppi immigrati e handicappati, troppa sporcizia in giro, “urge la disinfestazione” (questo pero’ lo dicono urlando ai microfoni). Ah, i microfoni: cosa sarebbe la moderna liberta’ di parola senza i microfoni. “Casi di scabbia in una scuola modenese”, titolano i quotidiani locali il giorno dopo. Stato di convulsione mentale da parte della dirigente: “Vi rendete conto? Proprio adesso che si devono fare le iscrizioni dalle medie alle superiori”. Mi gioco il posto, penso d’istinto, essendo il penultimo in graduatoria. E allora mi scatta la solita voglia luciferina dei tempi peggiori: domani, domenica, vado a presentare l’aula di informatica ai genitori e ai ragazzi delle medie in visita. Comincero’ a grattarmi, si’ a grattarmi: fuggiranno tutti: “La scabbia, la scabbia…” Colpa del solito rigurgito francescano e sessantottino di identificazione con gli ultimi. Ma la mattina dopo ho un gran mal di testa, non posso andare. Lunedi’ le classi sono tranquille, di scabbia non si parla per nulla. Pero’ i ragazzi non si tengono piu’ per mano, i bacetti sono ridotti al minimo. Vox populi: l’esperta dell’ASL ha detto che il contagio avviene anche per contatto fisico. I colleghi democratici, addetti al Pof e all’Educazione alla salute, fanno un ottimo lavoro, spiegando che i tre individui portatori dell’acaro sono italianissimi e normalissimi, la ghanese che in quel momento sta attraversando il corridoio dirigendosi a passi svelti al bar e’ avvicinabile, anzi abbordabile per i pochi maschietti in circolazione essendo il mio un istituto a larga prevalenza femminile. Tre italianissimi casi di ragazze provenienti da famiglie di bassa estrazione, cui manca una corretta informazione in merito alle elementari norme igieniche.”Ci vorrebbe un progetto”, suggerisce la collega incaricata di trasformare i problemi sociali in Moduli: un progetto sulla scabbia. E sui bagni promiscui della scuola di massa, dove il parassita alligna.

Nella mia scuola c’e’ un ladruncolo, sicuramente tossicodipendente, probabilmente disperato che ogni tanto entra dalle finestre e ruba una borsetta dell’impiegata, una calcolatrice o un cellulare di una ragazza; una sera ha ferito una bidella, strappandole il portafoglio. Paura dei colleghi del serale: “La scuola e’ in un luogo isolato, nel buio circostante puo’ succedere di tutto”, scrivono accorati al quotidiano indigeno. Ogni tanto lo vediamo passare in bicicletta, indossa un K-way blu, compie il periplo della ciclabile che circonda l’Istituto a velocita’ folle. E’ imprendibile. Carabinieri e agenti in borghese si appostano ogni sera in attesa di interromperne la corsa ma lui si fa vedere solo nelle giornate di nebbia fitta, quando i contorni sfumano e gli amanti si abbracciano a cercare il tepore dei corpi lontano dagli sguardi furtivi della luce dei fanali. Nei primi giorni c’era da parte dei ragazzi la voglia di farsi vendetta da se’, adesso quel ladruncolo e’ diventato quasi di casa. E’ pericoloso, probabilmente gira con un coltello ma la sua pedalata ha un ritmo ormai familiare. “Il giorno che lo prenderanno, speriamo non gli facciano troppo male”, dice a occhi bassi la collega addetta alla metafisica del Progetto, avviandosi a passi lenti verso l’uscita, nella nebbia che tutto sfuma e lo sguardo inganna.

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