Cinque in condotta? A chi?
Maurizio Tiriticco - 05-08-2008
Un richiamo all'autonomia

Ho sempre detto e scritto che non possiamo più continuare a chiamare scuola ciò che negli ultimi decenni è diventato un vero e proprio Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione. Le cause del fenomeno sono essenzialmente due:

a) la progressiva scolarizzazione della popolazione in verticale e in orizzontale. La scuola non è più solo quell'edificio frequentato in alcune ore del giorno e per alcuni mesi da bambini e adolescenti, ma anche e soprattutto un insieme di istituzioni correlate sul territorio e aperte in tutte le ore e per tutto l'anno, frequentate da tutti i cittadini di ogni età. Gli innalzamenti dell'istruzione obbligatoria, prima ad otto anni, poi a dieci, la generalizzazione della scuola dell'infanzia e di quella superiore, l'estendersi della formazione professionale regionale, le progressive riforme dei percorsi universitari (al di là di ogni giudizio di valore), la riqualificazione dell'istruzione degli adulti (nello specifico, il dm 25/10/07), lo sviluppo sempre più massiccio di corsi on line, costituiscono una fitta rete di attività in cui siamo tutti coinvolti ad apprendere e... per tutta la vita;

b) il contestuale sviluppo della legislazione che ha sollecitato e sostenuto il processo di scolarizzazione, uno sviluppo che ha toccato i suoi punti forti nel varo dell'autonomia delle istituzioni scolastiche (dpr 275/99), nel decentramento di una serie di competenze dal Centro alla Periferia (dlgs 112/98), nel riordino dell'Amministrazione scolastica ed in quella riforma del Titolo V della Costituzione che - pur se ancora in gran parte da realizzare - disegna, comunque, un assetto completamente diverso di quella "cosa" che tradizionalmente continuiamo a chiamare scuola, ma che scuola non è più!

Un segnale particolarmente importante in tale direzione, a mio giudizio, lo si ritrova in quel comma 2 dell'articolo 1 del Regolamento dell'Autonomia che così recita: "L'autonomia delle istituzioni scolastiche... si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del processo di istruzione e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento".

Il senso del cambiamento non è da poco: quel Ministero che, comunque lo si chiami, ha amministrato l'istruzione in tutti i suoi aspetti, oggi ha solo compiti di direzione, indirizzo, controllo, perché l'insegnare-apprendere nel suo farsi quotidiano è di competenza delle istituzioni scolastiche autonome (la realizzazione dei curricoli) e delle Autonomie locali (la programmazione sul territorio). Il Ministero è tenuto soltanto a dettare le norme generali sull'istruzione e a definire quei livelli essenziali delle prestazioni che le istituzioni scolastiche e le istituzioni formative (nella fattispecie la Formazione professionale regionale) sono tenute a garantire sull'intero territorio nazionale.

Per quanto riguarda le norme generali, la situazione è incerta: le Indicazioni per il curricolo per la scuola primaria e per il primo ciclo di istruzione (dm 31/07/07) e l'Innalzamento dell'obbligo di istruzione (dm 22/08/07) hanno carattere provvisorio e le istituzioni scolastiche sono state chiamate ad una sperimentazione biennale che si concluderà al termine del prossimo anno scolastico 2008/09. Che cosa avverrà al termine della sperimentazione? Vi sarà una valutazione di ciò che si è realizzato? Vi saranno correttivi, conferme, rilanci? Oppure, tutto finirà in gloria e i dlgs 59/04 e 226/05, applicativi della "riforma Moratti", riacquisteranno piena vigenza?

Per quanto riguarda, poi, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, siamo all'anno zero, fatta esclusione, se si vuole, di quelli relativi all'istruzione e formazione professionale, di cui al dm 226/05, descritti per altro con criteri assai generici. Né è chiaro che fine farà l'innalzamento dell'obbligo di istruzione. Pur considerando che l'emendamento apportato alla legge finanziaria 2007, con il quale si sancisce che l'obbligo può anche adempiersi nella formazione professionale, non mette in discussione che le competenze culturali e di cittadinanza da acquisire dall'obbligato sono quelle di cui al dm 22/08/07, il rischio della ricostituzione di un secondo canale è assai forte.

In un quadro normativo così incerto in ordine ai curricoli - per non dire delle incertezze in ordine alla disponibilità delle risorse umane e finanziarie - il disegno di legge recentemente approvato dal CdM che, per quanto riguarda l'istruzione, introduce la valutazione del comportamento e la disciplina "Cittadinanza e Costituzione", risponde a necessità reali o vuole essere soltanto un segnale dell'avvio di un rinnovato rigore nei confronti dei soli studenti? In altri termini, le loro insufficienze sono attribuibili soltanto ad un loro disimpegno? O non vi sono altre ragioni, di struttura, di ordinamento, di metodologia?

Si rifletta, ad esempio, sul richiamo avanzato da Luigi Berlinguer sul Corriere del primo agosto: "Nella scuola superiore tutta, ai tempi nostri, eravamo 400.000 studenti. Ora ce ne sono 2.800.000, sette volte tanto. L'impianto didattico è però rimasto quasi immutato. E' possibile non capire che un tale salto quantitativo ha cambiato la natura stessa dell'education? La lezione ex cathedra resta il metodo dominante, sparito quasi ovunque nei Paesi evoluti". Ben venga, allora, una rinnovata attenzione alla condotta, non quella delle braccia conserte, ovviamente, ma al comportamento in senso lato. Però, viene da chiedersi se la stretta di freni di cui al ddl si inquadrerà in una serie di iniziative più ampie ed incisive che mettano in gioco le dinamiche stesse del nostro Sistema di istruzione. Altrimenti, il bacchettare gli studenti servirà ancora una volta a giustificare la necessità di ripristinare più percorsi, quelli per i "volonterosi" e quelli per chi "non è portato allo studio". E sembra che la volontà di procedere in questa direzione non sia affatto nascosta!


Nella società complessa non si istruisce senza anche formare ed educare

In Educare stanca, dello scorso aprile, dopo un'articolata analisi, scrivevo:
"Per grandi approssimazioni, potremmo dire che gli 'interventi di educazione, formazione e istruzione, di cui al citato dpr, si articolano lungo i seguenti percorsi, nominalmente diversificati, ma di fatto strettamente interagenti, se non integrati:
- la formazione della persona, in funzione della costruzione della identità personale, della consapevolezza delle risorse di cui può disporre, dei limiti con cui misurarsi, delle attese che nutre;
- l'educazione del cittadino, cosciente delle proprie responsabilità civili, sociali, politiche, capace e disponibile a concorrere con le attività di pubblico interesse;
- l'istruzione del lavoratore, in ordine a quelle conoscenze e a quelle competenze che ne caratterizzano il proprio particolare contributo alla costruzione dei beni intellettuali e materiali che consentono lo sviluppo e la crescita collettivi".
In ciascuno di noi coesistono la persona, il cittadino, il lavoratore, in tutte le loro più ampie accezioni: la persona con le sue aspirazioni ed attese; il cittadino, che quotidianamente intreccia rapporti interpersonali e che deve avere piena consapevolezza dei doveri a cui è tenuto e dei diritti di cui gode; il lavoratore nella sua dimensione più ampia, che implica anche lo studio e la ricerca in funzione di quello sviluppo delle competenze professionali che la Società della conoscenza ci rappresenta ogni giorno sempre nuove.
Il grafico che segue indica i legami di continuità che legano i tre vettori dell'educare, del formare e dell'istruire. Ciascuno di noi è e deve essere persona, professionista e cittadino: consapevole della sua identità personale, esperto nel suo campo di competenza lavorativa, a qualunque livello operi, consapevole degli spazi e dei limiti del suo agire, del suo interagire e delle opportunità che gli sono offerte dal suo partecipare. Un Sistema educativo di istruzione e formazione svolge la funzione primaria in tali direzioni.





Innovare sì, ma in una prospettiva strategica!

Se non si ha la consapevolezza dello scenario in cui si muovono i processi di educazione, formazione e istruzione e soprattutto della loro strettissima correlazione, è difficile oggi, per chi ci governa, intervenire per attuare quelle innovazioni delle quali, ovviamente, c'è un'assoluta necessità. Ormai da tempo abbiamo rinunciato a riforme globali e complessive e optato per interventi minimi ma calibrati, capaci di innescare processi sempre nuovi e vincenti. Il peso e la valenza dell'intervento si commisurano con la chiarezza della prospettiva generale dalla quale non si può prescindere. E mi sembra che quel citato passo del dpr sull'autonomia - e l'intero dpr ovviamente - indichi la direzione di marcia di una innovazione che per altro non può non avere carattere progressivo e permanente.
E non è un caso che nel citato comma si affermi che gli interventi di educazione, istruzione e formazione fondano la loro coerenza su due punti irrinunciabili: a) le finalità e gli obiettivi del processo di istruzione; b) la necessità di un progressivo miglioramento dei processi di insegnamento e apprendimento. Il punto a) riconduce direttamente alla necessità di essere estremamente chiari in materia di norme generali; il punto b) richiama sulla necessità di un intervento continuo e permanente in materia di metodologie didattiche e di formazione iniziale e continua del personale dirigente e insegnante.
Ben vengano allora il cinque in condotta e tutte le restrizioni sui crediti. Ben vengano la Cittadinanza e la Costituzione, materia a tutto tondo di 33 ore annue con tanto di valutazione! Purché si sappia: a) che l'Educazione civica già esiste - o dovrebbe - fin dal lontano 1958, e ci si interroghi sulle ragioni della sua precarietà; b) che non è il mandare a memoria gli articoli della Costituzione che renderà più "buoni" i nostri ragazzi; c) che in tutti i tentativi di rinnovare tale materia, ci si è sempre interrogati sulla sua efficacia ai fini di una reale promozione di competenze di cittadinanza. Piuttosto che aggiungere 33 ore disciplinari tutte nuove di zecca, con voti e libri di testo - che goduria per gli editori - non vale forse di più avviare un tessuto di rapporti cooperativi nelle e tra le istituzioni scolastiche, pensare a reali attività pluridisciplinari, laboratoriali, modulari, che vadano anche al di là dei tradizionali contenitori formali di classi e di cattedre? La Cittadinanza e i principi civici fondanti della nostra Costituzione si fanno giorno dopo giorno, è difficile insegnarli!
Per concludere, occorre assolutamente evitare che le innovazioni annunciate costituiscano solo penalizzazioni per gli alunni e ulteriori adempimenti cartacei per gli insegnanti. Il ddl ha i suoi tempi di elaborazione è ciò costituisce una preziosa opportunità. Edgar Morin tra i sette saperi necessari per l'educazione del futuro indica che è necessario "insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso". Si tratta di un principio che vale in primo luogo per chi ci governa, il quale non può agire localmente senza pensare globalmente, non può assumere una iniziativa senza una visione di insieme.
E' fondamentale che i nostri ragazzi apprendano ed assumano comportamenti corretti fin dal primo giorno di scuola - nessuno lo nega - ma è sufficiente una norma? Indubbiamente sì, purché siano soddisfatte, però, tante altre condizioni. Ed allora, si avvii la discussione sul ddl, purché in primo luogo si discuta anche della strategia complessiva che si intende e che si deve seguire per rendere sempre più produttivo ed efficace questo nostro Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione.
Anche per capire a chi occorre assegnare il primo cinque in condotta!


Roma, 3 agosto 2008


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