E' ormai a tutti noto che Berlusconi & co. non vogliono essere giudicati dai giudici di Milano; e ciò per almeno due ragioni: la prima è che la magistratura milanese ha dato segni di autonomia e non si è piegata alle pressioni -senza precedenti nella storia dei processi italiani- esercitate da un poderoso sistema integrato mediatico-politico-istituzionale; la seconda è che ottenere lo spostamento dei processi in altra sede significa guadagnare tanto preziosissimo tempo in vista della anelata prescrizione dei gravi reati contestati.
Per conseguire questo risultato sono stati attivati due espedienti: il primo, sperimentato in sede processuale, è consistito nel denunciare una asserita incostituzionalità dell'art.45 del codice di procedura penale (che riguarda i casi di rimessione, cioè di spostamento, dei processi presso altra sede giudiziaria) per un ipotetico eccesso di delega commesso dal governo del tempo allorché emanò, nel 1988, il nuovo codice di procedura penale. Questo eccesso di delega -che si verifica quando il governo nonrispetta le direttive date dal Parlamento in sede di delega legislativa al potere esecutivo e che comporta l'illegittimità costituzionale delle norme emanate- sarebbe riscontrabile nel fatto che mentre la direttiva parlamentare n.17 delegava il governo a disciplinare la rimessione dei procedimenti penali ad altra sede "per gravi e oggettivi motivi di ordine pubblico o per legittimo sospetto" il governo, nell'attuale art.45 c.p.p., ha stabilito che la rimessione può essere disposta "quando la sicurezza o l'incolumità pubblica ovvero la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo sono pregiudicate da gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili".
Come si vede, il legislatore del 1988 ha 'tradotto' le due generiche cause di rimessione indicate nella direttiva 17 ("ordine pubblico" e "legittimo sospetto") in due concrete e specifiche situazioni: sicurezza ed incolumità pubblica oppure libertà di determinazione dei soggetti attivi nel processo (giudici, pubblici ministeri, imputati, parti civili, testimoni...). Inoltre è richiesto che entrambe le situazioni patologiche previste siano di gravità tale da "turbare lo svolgimento del processo".
La Cassazione a Sezioni Unite, intervenuta con l'ordinanza n.25693 del 29 maggio/4 luglio 2002 su istanza degli avvocati difensori di Berlusconi e soci, ha rilevato che l'attuale formulazione dell'art.45 del codice processuale penale non rispecchierebbe esattamente la direttiva 17, perché in quell'articolo non è prevista la remissione per "legittimo sospetto", che a suo giudizio sarebbe diverso dalla "libertà di determinazione". Vi sarebbe stato dunque un eccesso di delega su cui si dovrà pronunciare la Corte costituzionale cui sono stati rimessi gli atti del giudizio.
Non è questa la sede per confutare il punto di vista, assai opinabile, della Cassazione, la quale ha rinunciato a proporre la sua interpretazione del genericissimo concetto di "legittimo sospetto", nascondendosi dietro alcune ben scelte opzioni dottrinali e giurisprudenziali da cui emergerebbe in modo vistoso il divario concettuale tra le due espressioni normative poste a confronto [la decisione della Cassazione è tanto opinabile da destare il "legittimo sospetto" (!) di aver ceduto alle pressioni esterne].
Ma si può affermare con serena certezza che anche se fosse accolto il punto di vista della Cassazione (e degli avvocati di Berlusconi) circa la non perfetta coincidenza tra "legittimo sospetto" e "libertà di determinazione", ciò non si tradurrebbe automaticamente in un eccesso di delega sanzionabile con una pronuncia di illegittimità costituzionale dell'art.45 c.p.p., perché i due concetti non sono tra di loro confliggenti o incompatibili ma anzi vanno nella medesima direzione di assicurare ai soggetti che agiscono nel processo la necessaria serenità ed imparzialità di giudizio. Inoltre, come è stato perspicuamente osservato in sede dottrinale, anche se si dovesse rilevare, da parte della Corte costituzionale, che effettivamente il governo ha attuato soltanto in misura parziale la delega parlamentare, ciò non comporterebbe l'illegittimità costituzionale dell'art.45 c.p.p. ma soltanto una responsabilità politica del governo verso il Parlamento.
Dunque, sul versante giudiziale l'iniziativa dirimente della difesa di Berlusconi non dovrebbe conseguire i risultati da essa sperati (anche perché la stessa Cassazione, che per il resto ha accolto la prospettazione degli avvocati difensori, non ha però accolto la connessa richiesta, sulla quale molto si confidava, di sospensione del processo sino alla pronuncia della Corte costituzionale).
Il secondo espediente adottato per mandare a pallino il processo si sviluppa in sede legislativa. E' di questi giorni la polemica assai aspra tra maggioranza ed opposizione sul disegno di legge del sen. Cirami (Udc) che vorrebbe modificare l'art.45 del codice di procedura penale aggiungendo, alle cause già previste di rimessione ad altra sede dei processi, anche il vituperato "legittimo sospetto", con obbligo di sospensione del processo prima della discussione finale e con esplicita applicabilità della nuova norma anche ai processi in corso. In buona sostanza si vuole reinserire nel codice processuale una norma di contenuto assai generico ed impreciso ("legittimo sospetto") per poter ampliare a dismisura la discrezionalità interpretativa della Cassazione -che ha già manifestato buona disponibilità nei confronti di Berlusconi- e di conseguenza le ipotesi di spostamento dei processi. Si vorrebbe così ritornare ai tempi del famigerato processo per la strage di Stato di piazza Fontana, trasferito dalla sua sede 'naturale' di Milano a Catanzaro, o ancora più indietro ai tempi dell'ancor più famigerato processo per l'assassinio di Stato di Giacomo Matteotti, spostato da Roma a Chieti.
Il grandissimo numero di avvocati berlusconiani operanti in sede giudiziale e parlamentare -a spese del contribuente, che paga indirettamente le loro parcelle!- mostra all'evidenza il grado di paranoia giudiziaria raggiunto dal presidente del Consiglio, che sta travolgendo gli argini di civiltà giuridica così faticosamente costruiti nel tempo ed ancora troppo fragili.