tam tam |  storie  |
Stamattina mi sono svegliato pieno di speranza
Sayed Kashua - 13-05-2008
Sayed Kashua giornalista e scrittore arabo israeliano

QUOTIDIEN - 7 maggio 2008

Segnalazione di Doriana Goracci.


Benché io sia arabo, amo i libri. E da quando lavoro alla televisione, la mia passione non ha fatto che crescere. Dopo aver compreso che i nomi e le copertine artistiche non valgono necessariamente il loro prezzo, ho concluso che era meglio non rischiare e tornare ai classici. Solo che è più facile trovare questi libri presso i venditori di vecchi libri. E' così che sono atterrato in alcune di queste botteghe incantate dove ho ritrovato il meglio della letteratura russa, inglese, francese ed anche ebraica. Perché complicarmi la vita? Ho trovato su Internet la lista dei
premi Nobel della letteratura ed ho deciso di seguirla.
«Ehi! Ha esclamato vedendomi la commessa. Perché non hai detto che eri tu? Io adoro le tue trasmissioni». Ho sorriso timidamente e ho ripiegato sulla letteratura contemporanea: «Avete forse l'ultimo Eshkol Nevo?». Me l'ha teso con gioia. «Un libro meraviglioso», ha detto. Che fare, non riesco a entrare in una libreria dove mi conoscono e comprare Delitto e castigo. Io, il celebre scrittore, che non ha ancora letto questo capolavoro. Sono ritornato in quella bottega per comprare l'Amore al tempo del colera, con un biglietto dei auguri e un pacchetto dono per ingannare la diffidenza della commessa. Un'altra volta, cedendo alle mie insistenze, mia moglie mi ha comprato due Balzac, un Hermann Hesse e le opere di Shmuel Yossef Agnon.

Mi sono servito anche della bambina, in cambio di tre tavolette di cioccolato che lei non potrebbe mangiare. Ho condotto come un ostaggio la poveretta nella libreria e ho potuto colmare delle lacune, come Jim e il macchinista, Emile e i detective, altrimenti non avrei potuto sentirmi perfetto.

L'impresa più ardua fu l'acquisto della Divina Commedia. La settimana scorsa, non sono riuscito a comprarla: gli sguardi inquisitori delle commesse non mi hanno lasciato scampo. Ho preso due libri a caso e mi sono diretto verso la cassa. «C'è una promozione per i 60 anni del paese, ha detto la cassiera. Il terzo è gratis». Allora ne ho aggiunto un altro. Arrivato a casa, ho visto che avevo comprato Blooms of Darkness di Appelfeld, Essere senza destino di Kertesz e Shosha di Bashevis Singer. Ho passato il mio week-end nelle vie di Budapest e Varsavia, sono sfuggito a Hitler e Stalin, sono andato a Buchenwald e Auschwitz, campi di lavoro, treni e odore di morte mi hanno avvolto senza riposo. Un acquisto fortuito mi ha procurato un'esperienza di lettura che non avevo provato da tempo. Quella dell'Europa degli anni '30 e '40 del XX° secolo, vista da grandi scrittori. Libri che mi hanno fatto riflettere sulla nostra realtà di oggi, che mi hanno fatto comprendere l'importanza del sionismo di quell'epoca.

Ogni Arabo dovrebbe leggere questi libri. Come me, comprenderebbe che non c'è Bene e Male, né cospirazione diabolica. Bisogna leggere Kertesz, Primo Levi, Appelfeld e Bashevis Singer, perché la loro lettura è cento volte più efficace di tutte le visite a Yad Vashem, o dello studio dei manuali di storia nelle scuole. Era un popolo che cercava un rifugio. Noi siamo stati molto semplicisti e ottusi a non aver saputo accoglierli. Di quanto tempo avremo bisogno per riconoscere il diritto degli ebrei a ritornare nella loro patria? Di quanto tempo avranno bisogno loro per
riconoscere il nostro diritto ad esistere qui?

Non so perché, ma malgrado questi tre libri difficili sulla Shoah che ho divorato in un week-end, il lunedì mattina mi sono svegliato pieno di speranza. Sapevo tutto da tempo, ma più che una comprensione
intellettuale, questi libri mi hanno fatto capire dall'interno che il nostro futuro è comune.

Erano quasi le 8 del mattino, degli operai aspettavano all'uscita del villaggio, A quell'ora ci sono solo gli operai più anziani. I giovani, quelli che hanno l'aria un po' più robusta, sono reclutati alle prime ore del giorno. «Papà, guarda», ha detto mio figlio e ha battuto le mani pieno d'ammirazione davanti ad un operaio di Gerusalemme Est, seduto in un cesto di plastica, sollevato da una gru fino in cima ad un lampione a cui egli ha appeso la bandiera nazionale.
Un ragazzino si è avvicinato all'auto, teneva in mano delle bandiere da fissare al vetro dell'auto. Ho fatto no con la testa, il ragazzino si è rivolto verso l'auto seguente. «Perchè no?» ha chiesto il mio figlio più piccolo dal sedile posteriore. Sua sorella l'ha fatto tacere: «Non è la nostra bandiera». «Se papà la comprava, sarebbe diventata la nostra bandiera», ha detto mio figlio, innervosito. «Sai, ho detto a mia figlia girando verso la sua scuola intercomunitaria. Sono molto contento della tua scuola». «Allora, tu non sei più arrabbiato perché non ci danno abbastanza
compiti?
» ha detto, sorpresa. «No, ho risposto, sereno, infilando una cassetta della cantante Fairuz per cominciare la mattinata con un sovrappiù di animo. E' una scuola eccellente». «Papà, ha detto mia figlia, il signore ti fa segno». Mi ha mostrato una
piccola Peugeot bianca ferma al semaforo rosso, con due bandiere sui vetri. Erano tre giovani che si erano persi, ho abbassato il vetro e ho indicato a quello che era seduto a fianco dell'autista la strada verso
il monte Scopus. «Grazie», ha detto. Poi: «Cosa sta ascoltando?» ha chiesto, interessato dalla musica.
«Fairuz», gli ho risposto. Non ho avuto il tempo di chiedergli se gli piaceva che il suo sputo mi ha raggiunto.

  discussione chiusa  condividi pdf