Tra lealtà e servilismo
Emanuela Cerutti - 05-04-2008
La Francia è uno strano paese, è stato scritto su queste pagine. Ed è vero: il paese, come ama definirsi, dei "diritti umani" e, forse proprio per questo paradossalmente, il paese dove ragioni di stato o di opportunità sembrano fare il paio con l'ambiguità di scelte e comportamenti.

Non sto a dilungarmi sulle vicende Yade/Sarkozy, che, in occasione dell'arrivo della fiamma olimpica a Parigi, sono tornate alla ribalta dei media: dichiarazioni che qualcuno ritiene coraggiose vengono corrette, ritrattate, negate per evidenti ragioni di stato. Così accadde durante la visita di Gheddafi, così accade a proposito dei giochi olimpici. E non c'è chi non pensi che varie forme di interesse animino prese di posizioni all'apparenza aperte ai suddetti diritti umani. Non c'è chi non sappia che la Cina è "tellement aggressive" e talmente concorrenziale nei confronti dell'economia francese da richiedere necessariamente atteggiamenti comunque prudenti. E c'è anche chi azzarda, ma molto discretamente, che nel paese dei suddetti diritti qualcuno dovrebbe interrogarsi un po' meno superficialmente sulla situazione tibetana, sul suo passato, sulle teocrazie alle quali ha dato spazio. Il Courrier International scrive in un lungo dossier pubblicato questa settimana che "a forza di reprimere e umiliare la popolazione locale, le autorità cinesi non hanno ottenuto che unire i tibetani": ma perché, prima erano divisi?
Qualcuno, che in Cina lavora e che non perdona le forme repressive di qualunque colore, mi ricordava recentemente il forte autoritarismo esercitato dai Dalai Lama in secoli passati e parla, con cognizione di causa, di feudalesimo. Qualcun altro ricorda un articolo apparso sul Washington Post nel 1999 in cui si diceva che il Dalai Lama continuava ad essere riverito nel Tibet, ma che ". . . pochi tibetani accoglierebbero favorevolmente un ritorno dei clan aristocratici corrotti che sono fuggiti con lui nel 1959 e che compongono la massa dei suoi consiglieri. Molti contadini tibetani, per esempio, non hanno interesse alla cessione della terra che avevano ottenuto durante la riforma fondiaria della Cina, espropriata ai clan aristocratici feudali..."
Analisi corrette e aperte a un dibattito critico, come si converrebbe al paese dei diritti dell'uomo, non se ne vedono; resta la superficie dei rotocalchi tendenti al rosa o delle notizie facilmente strumentalizzabili (e comunque nessuna messa in causa della partecipazione ai giochi: mi chiedo cosa avrebbe deciso la Francia nell'impossibile caso di olimpiadi berlinesi negli anni 40...)

Non sto a dilungarmi su tutto questo, per non togliere spazio all'altro nodo critico che in questi giorni agita le piazze francesi: la riforma dei programmi scolastici, in opposizione alla quale si ventilano nuove agitazioni primaverili. Non entro in dettagli troppo specifici, è il discorso di fondo che mi pare interessante.

La scuola ha certamente bisogno di essere revisionata, di fare il punto sulla sua effettiva capacità di stare al passo con le esigenze dei suoi frequentatori, prima di tutto: ma per questo non occorrono "elaborazioni opache", consultazioni a fatto compiuto con scopi puramente "di chiosa" e non di reale messa in discussione.
La Francia dei Lumi relega non solo i suoi cittadini, ma i suoi stessi "fonctionnaires" a "servili" passaparola, privati della "volontà di pensare insieme il loro mestiere". Bel fatto in fatto di diritto.

Gli insegnanti, che avrebbero dovuto riunirsi per - tutto sommato - avallare, hanno cominciato a discutere e non c'è voluto molto perché molti di loro si accorgessero delle differenze tra intenzioni e sviluppi in un testo che dichiara di volere una scuola collocata su alture formative, ma subito dopo promuove intenzioni di stampo tecnicista, disegnando senza troppa fantasia scenari da "cura dei risultati".

Pare sia un'abitudine comune: a fronte delle difficoltà che i cambiamenti sociali e culturali impongono alle scuole dei nostri paesi occidentali si fa un passo indietro, si adduce a motivo degli insuccessi la scarsa competenza strumentale, si lavora più sul recupero che sullo sviluppo, si bolla la motivazione come lusso poco redditizio, si inseguono contenuti, si diminuisce il tempo scuola, si finanziano le agenzie private del doposcuola...

Molti insegnanti sono preoccupati per il futuro di bambini e bambine privati e private della dimensione culturale dell'apprendimento, del tempo necessario perché tale dimensione possa diventare pratica quotidiana; sono perplessi di fronte a valutazioni che tengano conto solo dei risultati oggettivi (test, prove nazionali), che appiattiscono e non rivelano nè percorsi nè processi cognitivi; si chiedono che cosa diventerà il "mestiere" di insegnante, privato della possibilità di sperimentare pedagogia e dunque di innovare.

Delusione si legge nelle dichiarazioni finali di tanti documenti presentati al Ministro insieme alla richiesta di moratoria:

"L'idea dell'alunno, del sapere e del mestiere che facciamo vivere nelle nostre classi porta con sé attese e ambizioni per il successo di tutti che questi programmi annunciati non sanno tradurre".

Delusione, ma anche volontà di non abbandonare un campo in cui si crede: quello per cui la conoscenza e la competenza non si costruiscono al di fuori di un lavoro collettivo e condiviso, in cui l'insuccesso non si colma con sterili ripetizioni, in cui la "réussite" cammina di pari passo con le risorse messe in campo e con un riconoscimento professionale che vada ben oltre le tessere per l'entrata gratis nei musei.

Concludo con una citazione ...di alto rango, che, come altre, è entrata nel recente dibattito.

Mentre in Italia è stato bandito e reinviato a data da destinarsi il concorso ispettivo, in Francia qualche ispettore ha preso posizione. E non solo sul merito dei futuri programmi, ma sul senso di un lavoro che sta in bilico tra lealtà e servilismo e che, nel paese dei diritti, richiama a responsabilità talvolta oubliées. Traduco uno stralcio che credo possa dire molto anche oltreconfine.

" ...Tra lealtà e servilismo, tra discernimento e ingenuità, tra responsabilità e obbedienza, tra neutralità e collusione, tra intelligenza e sottomissione le frontiere diventano sempre più indefinite ... Siamo ispettori e abbiamo scelto di esserlo. In quanto ispettori abbiamo obblighi di discrezione e di lealtà, peraltro sempre rispettati. Diffondiamo onestamente le informazioni e le istruzioni, anche se spesso le troviamo prima sui media che nei nostri uffici. Raccogliamo le risposte delle scuole, organizziamo, regoliamo le pratiche, valutiamo. Siamo chiari, non abbiamo bisogno di utilizzare la celebre espressione ... "applicare con discernimento" [al nostro lavoro] ... Siamo irreprensibili. Rispetto del dettato ministeriale associato, per quanto ci riguarda, al rispetto degli insegnanti, delle scuole e ... al rispetto dei bambini."

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 Alessandro Pergola    - 06-04-2008
La Francia che descrivi con intelligenza e acume non è quella che ci si aspetterebbe, ma è certamente più viva e più vigile. Qui da noi sembra che i riflessi siano appannati e le risposte tarde. Così accade che riflettiamo ancora sul voto e Bertinotti sarebbe la salvezza, mentre ha mille colpe. Quello che non si vede è la partecipazione, un'opposizione sociale.