La cultura della sicurezza
Giocondo Talamonti - 15-03-2008
L'acquisizione di una "cultura della sicurezza" comporta un lungo processo formativo per quanti operano a qualsiasi livello nel mondo del lavoro.
Gestire tale patrimonio di conoscenze è meno facile di quanto si creda.
Solo una parte non significativa è affidata all'istinto; notevole, invece, è quella legata all'educazione. In questa ottica, il ruolo della Scuola è di assoluto rilevo, in quanto deputata, per antonomasia, a formare.
Se è vero che gli incidenti mortali sul lavoro stanno diminuendo in Italia, è altrettanto vero che il loro numero resta, ancora troppo alto per un Paese che vuole essere avanzato e attento alla salute dei lavoratori.
Riuscire ad evitare il minimo incidente in ambienti di lavoro è esercizio impossibile.
La potenzialità di rischi costituisce motivazione basilare della concentrazione ad evitarli.
In sostanza, non esiste una condizione ottimale, tale da creare un contesto asettico dal punto di vista dell'esposizione.

Il concetto di rischio sfugge a un classificazione pratica, al punto da essere considerato inevitabile ma non irriducibile.
Secondo una statistica effettuata presso i lavoratori dell'industria sulla percezione delle cause dei rischi, il 36% imputa le ragioni degli infortuni all'ambiente lavorativo, il 20,7% alla scarsa organizzazione del lavoro, il 16,3% dà la colpa alla distrazione degli operatori o alla loro eccessiva sicurezza ed il 26,2% al caso o alla fatalità.
La prima considerazione che scaturisce da un'osservazione dei dati è che la percentuale del 26,2%, indicata come estranea ad ogni misura preventiva e accortezza individuale, è paurosamente alta.
Assolutamente inconcepibile è che oltre un quarto degli incidenti siano percepiti come inevitabili, segno, questo, di carente educazione in materia di rischi e indice preoccupante di assenza di formazione.
La Scuola, così come ogni Istituzione preposta alla salute dei cittadini, deve creare le opportune coscienze critiche in grado di confrontarsi nei vari contesti lavorativi e in tutte le situazioni quotidiane di esposizione ai pericoli e combattere qualsiasi atteggiamento di arrendevolezza nei confronti dell'evento negativo.
Prepararsi alla possibilità che si verifichi, prevedere come e quando possa concretizzarsi un evento negativo, significa già disporre delle conoscenze opportune per annullarne gli effetti, significa, in sostanza, possedere la giusta educazione.

Quando si parla di "educazione" si intende un processo di acquisizione di conoscenze e valori, più o meno lungo, nel corso del quale vengono impartite nozioni e suggeriti atteggiamenti utili alla soluzione di dati problemi.
Detto processo è apparentemente improduttivo nella fase di apprendimento, poiché non produce nell'immediato alcun utile.
Quindi, il costo relativo della formazione viene giudicato una perdita secca.
Per quanto sia difficile da credere, proprio questa è la convinzione dominante del datore di lavoro ed è rarissimo che i lavoratori assunti seguano "training" di sicurezza specifici per quella determinata attività.
E' opportuno dire, anche, che le dimensioni delle aziende italiane non consentono spesso di sostenere l'onere della formazione, così che ipotizzare un sostegno finanziario a queste imprese o organizzare corsi di formazione specifici senza che questi incidano nei bilanci aziendali, può essere la soluzione a tanti problemi.
Il primo passo è, tuttavia, quello di rendere obbligatorio per i datori di lavoro il rispetto delle normative della legge 626, senza deroghe, raggiri ed omissioni.
L'inasprimento delle pene per la mancata osservanza dei suoi contenuti dovrebbe essere tale da scoraggiare ogni atteggiamento di sufficienza.
Lavorare per vivere ha senso, mettere a rischio la vita per esercitare un diritto imprescindibile dell'uomo ed affermare l'altrettanto irrinunciabile principio di dignità, non può essere considerato un valore barattabile.
L'impressione è che nessuna legge sarà di per sé capace di annullare i rischi del lavoro, mentre invece occorre che ognuno disponga di conoscenze sufficienti ad evitare i pericoli.
In sostanza, occorre che si possieda una "cultura della sicurezza" come patrimonio formativo.
Gli interventi normativi dovrebbero rivolgersi ad aspetti del rapporto lavorativo nelle accezioni giuridiche del negozio.
Per esser più chiari, in materia di aggiudicazione di opere dovrebbe essere evitato il ricorso a strumenti che, con l'obiettivo di aumentare la competitività, elevano i rischi alla persona.

L'aggiudicazione di appalti al massimo ribasso è un meccanismo spietato che porta automaticamente al contenimento di qualsiasi spesa che si aggiunga al costo dei materiali e a quello della pura manodopera.
La nuova legge 123/2007 sembra aver prodotto sensibili miglioramenti nell'ottica del contenimento degli incidenti, mentre le disposizioni del Consiglio dei Ministri del marzo 2008 in materia di recrudescenza delle pene per i datori di lavoro inosservanti, merita di essere affiancata da altre misure.
A tale proposito, oltre a punire maggiormente i datori di lavoro che trasgrediscono, molto si ottiene aumentando i controlli e aiutando la piccola impresa nell'accompagnamento alla formazione con il sussidio dell'educazione permanente.
La volontà istituzionale di potenziare i controlli e rendere sistematico il ricorso alla verifica delle condizioni ottimali di svolgimento di un lavoro, comporta formare figure specifiche almeno per la gran parte delle tipologie di lavoro.
Tutto ciò costa.
Sicuramente meno di una vita umana, ma costa.
Eppure è la soluzione per ridurre di almeno il 30-40% degli incidenti che, attualmente, si verificano negli ambienti di lavoro.
Dunque, le potenzialità per affrontare e risolvere il problema degli incidenti sul lavoro esistono; sono superabili i costi, sono fattibili i processi formativi, è possibile il cointeressamento istituzionale.
Un milione di incidenti all'anno, altri 200.000 che si calcolano riferibili a lavoratori in nero, quasi 1000 morti, sono cifre di una guerra.
Le statistiche parlano di un'Italia che fatica a contenere il fenomeno rispetto ad altri paesi dell'Europa, almeno a giudicare i "progressi" registrati negli ultimi dieci anni.
Sulla scorta di questo parametro, meglio di noi hanno fatto Germania, Francia, Inghilterra e, in media, tutte le restanti nazioni.
S'impone un cambio di mentalità e una valorizzazione degli interventi se non si vogliono ripetere fino alla nausea parole di circostanza ogni volta che un uomo allunga il triste elenco dei caduti per il diritto al lavoro.

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