Con questo numero Nuvole riprende le pubblicazioni. Comparirà solo in veste elettronica, un po' perché pensiamo che in questo modo possa avere una maggiore diffusione, molto perché i costi di un'edizione su carta sono diventati proibitivi.
Come già sanno quei lettori che ci hanno seguito per tanto tempo, e come apprendono ora i lettori nuovi (speriamo molti), Nuvole è edita da un gruppo di militanti di sinistra torinesi, per lo più scienziati sociali. Il suo programma editoriale era e sarà quello di partecipare al dibattito intellettuale e politico che si svolge nella sinistra italiana (peraltro sempre più fievolmente) portando contributi quanto più possibile approfonditi e originali. I componenti della redazione di Nuvole hanno conoscenze specifiche degli argomenti che affrontano, maturate in decenni di discussione ed elaborazione politica: molti di questi argomenti sono stati trattati nei numeri precedenti di Nuvole, riportati in questo sito sotto la sezione "numeri arretrati". Inevitabilmente, ciò ha fatto sì che essi abbiano in mente alcuni punti fermi sugli attuali problemi della sinistra italiana. Apriamo quindi questa nuova serie esponendo le nostre idee in materia.
1. Può la sinistra avere un programma?
Che la sinistra sia oggi in Italia (e non solo) in gravi difficoltà è evidente. E' anche relativamente facile individuare le cause profonde di questa crisi: le rapide trasformazioni dell'economia, che portano a continui e imprevedibili cambiamenti nei rapporti di produzione; la globalizzazione e la conseguente perdita di autonomia dei governi; e soprattutto la fine della egemonia, anche solo potenziale, di un soggetto sociale forte, tale per cui i suoi interessi potevano essere la base per un progetto di organizzazione complessiva della società, come è stata nella seconda metà del secolo scorso la classe operaia.
Di fronte a questi mutamenti spiccano la povertà dell'elaborazione teorica della sinistra, la sua incapacità di porsi come riferimento culturale, di contrastare il senso comune neoliberale e di praticare un modo diverso di far politica rispetto ai partiti che una volta si sarebbero detti borghesi. Alcuni ricorderanno come queste caratteristiche fossero invece proprie del vecchio PCI, e fossero alla base del prestigio morale e intellettuale di cui giustamente godeva nell'Italia del secolo scorso. A questo prestigio la sinistra deve sapere tornare: se la politica è piccolo cabotaggio, sottogoverno e intrallazzo, gli italiani non a torto sceglieranno i professionisti di questo modo di far politica che abbondano nei partiti "moderati", sia di destra che di centrosinistra, piuttosto che eventuali nuovi parvenus di sinistra.
Abbiamo di fronte insomma alcuni problemi molto seri e anche difficili da impostare e risolvere. Perché la sinistra italiana non riesce a definire con chiarezza un suo programma? E preliminarmente a questo, perché non riesce a staccarsi dal modo miserabile di fare politica che contraddistingue i partiti che si collocano più a destra? E ancora prima, perché non sente la necessità, così evidente a un osservatore esterno, di avere un programma su cui chiamare potenziali alleati ed elettori a confrontarsi? Tutti e tre questi problemi andranno prima o poi affrontati a fondo, e con la necessaria completezza. Ma se ci si pensa un momento, ci si accorge che essi hanno senso solo se è effettivamente possibile enunciare un programma politico per la sinistra, se cioè nella fase storica attuale esistono alcuni obbiettivi di fondo che per loro natura da una parte siano tali da definire un assetto della società "di sinistra"; ma dall'altra siano realistici.
Non è detto che queste condizioni siano sempre necessariamente presenti. In molti casi la sinistra ha condotto battaglie solo in nome di un'utopia irrealizzabile; magari eroiche, ma con l'inconveniente di risultare alla fine perdenti. Così come sono state di solito assai meno eroiche e altrettanto perdenti le lotte piene di realismo ma senza principi. Anche oggi entrambe le tentazioni sono forti e diffuse: vi è chi si arrocca e si isola in movimenti di adamantina coerenza, e vi è chi è disposto a qualsiasi compromesso, tanto non c'è niente da fare.
Noi pensiamo invece che un programma della sinistra possa (e quindi debba) esistere, che cioè sia possibile fare ciò cui abbiamo accennato più sopra: definire alcuni obbiettivi di fondo che per loro natura da una parte siano tali da definire un assetto della società "di sinistra"; ma dall'altra siano praticabili. Ma se crediamo questo, ciò vuol dire inevitabilmente che dobbiamo avere in mente un possibile programma della sinistra. E infatti è così: questo articolo contiene, ambiziosamente, il programma politico che il gruppo di Nuvole propone alla sinistra: ci sono partiti senza programma, questo è un programma senza partito. Vedremo alla fine che uso pensiamo si possa farne.
2. I contenuti di un programma della sinistra.
Il modello di medio termine - oggi proponibile in una società come la nostra - che la sinistra deve avere in mente è quello di una società socialdemocratica(1). Intendiamo, con questo termine, qualcosa di molto affine al modello svedese, pur se adattato alla realtà e alle peculiarità italiane: questa precisazione è necessaria in quanto alcuni ritengono già "socialdemocratici" tutti i paesi occidentali, in quanto "democratici" e dotati di una certa quota di welfare. Nel tipo di società che noi poniamo come obiettivo, gli indicatori di benessere e di qualità della vita hanno valori particolarmente elevati; le ricerche di numerosi economisti e sociologi dimostrano inoltre come in paesi caratterizzati da un sistema di welfare di tipo socialdemocratico l'equità distributiva sia in grado di favorire uno sviluppo economico sostenibile. Quindi il modello socialdemocratico non solo è di sinistra, ma è anche possibile: possibile nel senso che non si tratta di un lusso che si può ottenere rinunciando a un maggiore sviluppo economico, ma che anzi è in grado di propiziarlo(2).
È bene chiarire anche che non pensiamo che questa sia una scelta di ripiego. A quel modello si deve puntare soprattutto perché esso incarna adeguatamente molti dei valori fondamentali della sinistra storica. Ci riferiamo alla solidarietà e alla sua implementazione attraverso istituzioni cui i cittadini partecipano e che riconoscono come proprie, alla tutela del lavoro e dei lavoratori come principio fondante della vita collettiva e alla centralità delle politiche di redistribuzione del reddito e di buon governo. Questo testo vuole essere propositivo, e quindi non vogliamo aprire qui (ma nemmeno chiudere; anche su questo contiamo di tornare in articoli successivi) la questione del rapporto fra modello socialdemocratico e modelli che più direttamente si richiamano al marxismo (che è altro problema rispetto a quello del confronto fra le esperienze storiche, anche se con esso è strettamente intrecciato). Ci limitiamo a dire che condividiamo gli ideali di quest'ultimo, primi tra tutti quello dell'uguaglianza tra gli uomini e il rifiuto dell'asservimento dello sviluppo della persona umana alle esigenze della produzione. Ma a nostro avviso l'elaborazione teorica di un modello di società fondata su tali ideali effettivamente praticabile è ancora troppo arretrata perché da essa si possa dedurre un programma politico. Riteniamo pertanto che la socialdemocrazia, come sopra definita, sia il punto di arrivo di un progetto per la sinistra, ma anche un punto di partenza necessario per procedere verso assetti sociali ancora più avanzati. Nel nostro paese, siamo lontani da tutto ciò. A nostro avviso i principali obiettivi da perseguire sono i seguenti(3):
1) Ricollocare il lavoro al centro della politica e dell'economia. Centralità del lavoro perché è il lavoro che crea valore aggiunto e dunque il benessere e lo sviluppo della collettività intera. Centralità implica innanzitutto rispetto per il lavoro e dunque sicurezza sul lavoro e del lavoro. L'obiettivo principale di una politica di sinistra è la piena occupazione e la forma di lavoro dipendente "normale" è quella a tempo indeterminato: il lavoro a tempo determinato deve essere relegato a casi particolari e comunque deve implicare una sovra-retribuzione che da un lato compensi il lavoratore per lo stato di incertezza in cui opera e dall'altro ne scoraggi un uso improprio. Forme di flessibilità sono ammissibili solo se strettamente motivate economicamente (da oscillazioni strutturali della domanda) e/o tecnologicamente e purché non implichino il venir meno dei principi sopra enunciati.
2) Elaborare una seria politica di governo del territorio, di tutela dell'ambiente, dei beni culturali e del paesaggio, fondata inequivocabilmente sull'interesse generale, inteso come controllo e acquisizione a favore della collettività della rendita fondiaria e più in generale dei beni comuni.
3) La creazione di un sistema universale di assicurazione contro la povertà, la malattia e il disagio sociale. Quindi sussidi di disoccupazione dignitosi, ampi investimenti nell'edilizia pubblica, sostegno della famiglia nell'assistenza all'infanzia e alla vecchiaia, assistenza sanitaria universale e gratuita.
4) La promozione a tutti i livelli della democrazia; in particolare: a) l'obbligo per i partiti di adottare procedure rigorose per la nomina dei dirigenti, la definizione del loro programma, e la loro gestione finanziaria, l'abolizione delle rendite della politica; b) ridurre il più possibile la distanza tra elettori/contribuenti e loro rappresentanti, ricorrendo a opportune forme di decentramento, che non creino però inaccettabili diversità di diritti e doveri tra residenti nelle diverse aree geografiche d'Italia, come sarebbe, per esempio, nel caso di istruzione, giustizia e ordine pubblico; c) gettare le basi per la realizzazione della "democrazia economica".
5) Una riforma del sistema educativo che, mediante un adeguato investimento di risorse, sia capace di incidere efficacemente quantomeno sui tre livelli che oggi presentano maggiori criticità:
- la scuola media inferiore, per superare le condizioni più negative di svantaggio sociale e culturale;
- la scuola media superiore, al fine di superare la divisione classista oggi esistente fra scuole professionali "che insegnano solo un mestiere ma non la cultura" e scuole culturali "che insegnano solo cultura ma nessun mestiere"; laddove lo sviluppo della capacità di critica e del senso civico dovrebbe essere il principale obiettivo di entrambe;
- l'istruzione universitaria e post-universitaria, nell'intento di saldare la formazione alla ricerca e all'innovazione, con attenzione non solo alla didattica curricolare, ma anche alla diffusione di programmi flessibili di formazione continua.
6) Una politica redistributiva, che non si esaurisca nella riduzione (peraltro necessaria) dei privilegi di alcune categorie professionali e dirigenziali, ma che riguardi esplicitamente anche lo spostamento di quote di reddito dai profitti e dalle rendite al lavoro(4).
7) Una politica di pace che - pur nei vincoli imposti dall'adesione ai trattati internazionali - deve sviluppare più ampiamente i progetti di cooperazione internazionale e partecipare più attivamente alle iniziative collegate ai trattati di disarmo.
8) Politiche nei confronti dei beni e servizi di pubblica utilità improntate a principi di efficienza e di equità e quindi gestione della loro produzione e distribuzione da parte dell'operatore pubblico.
9) Laicità dello stato.
10) Efficienza della giustizia, sia penale sia civile. Molti sostengono che le norme e le regolamentazioni in Italia sono troppe, probabilmente a ragione; si può pensare a uno sfoltimento, ma quelle confermate devono essere applicate con certezza, fermezza e in tempi brevi.
In questo elenco mancano ovvietà come la lotta contro ogni discriminazione (di razza, di genere, di condizione sociale), la lotta alla criminalità, una politica finalmente e veramente indirizzata allo sviluppo economico e civile del mezzogiorno, ecc., che sono implicite in altre, nel duplice senso che conseguono da altre se queste sono attuate, e sono irraggiungibili se queste non lo sono.
Questo decalogo costituisce di per sé un programma sufficientemente dettagliato, se confrontato con quanto prodotto correntemente dalla sinistra italiana. Tuttavia a questo livello di elaborazione esso è ancora troppo astratto. Perché acquisti concretezza deve dare origine a politiche specifiche, e deve indicare dove trovare le risorse necessarie. Di ciò diremo rispettivamente nei paragrafi 4 e 5; prima sono opportuni alcuni chiarimenti sul significato di alcuni punti.
3. Qualche chiarimento su alcuni punti.
Leggere l'elenco precedente - e anche scriverlo - può suscitare sensazioni contrastanti. Da una parte esso appare troppo minimale ("non ci basta: vogliamo qualcosa che assomigli di più ; al socialismo"); dall'altra, e con ben maggiore realismo, esso appare del tutto utopistico ("figuriamoci se in Italia riusciamo a fare una cosa del genere"). A noi sembra che se non riusciamo a fare "una cosa del genere", pretendere di più significa collocarsi fra coloro che preferiscono una nobile sconfitta a una vittoria di compromesso, e crediamo che ciò sia sbagliato(5). In effetti, lungi dall'essere minimalista, il programma descritto richiede al contrario enormi trasformazioni, e prima ancora la convinzione che esse siano possibili.
Lo sono.
- Il punto 1 implica "solo" la realizzazione di politiche comunemente praticate in diversi paesi paragonabili al nostro(6).
- Il punto 2 (ambiente e beni comuni) è ormai esplicitamente al primo o nei primissimi posti delle agende sia nazionali che internazionali, anche in paesi sino ad ora poco sensibili o recalcitranti: un programma di sinistra nel nostro paese non può non proporre l'approvazione di una legge attuativa della Costituzione in materia di beni comuni (acqua, paesaggio, aria pura, ecc) e di proprietà pubblica. In particolare l'introduzione di garanzie costituzionali paragonabili a quelle esistenti a favore della proprietà privata a favore di quella pubblica.
- Il punto 3 (welfare, sanità ed edilizia pubblica) è praticato nelle democrazie più sviluppate e non soltanto in quelle scandinave.
- Gli argomenti del punto 4 sono tra le colonne portanti del buon funzionamento della democrazia tedesca.
- Il punto 5 è assolutamente necessario se si considera che il sistema scolastico italiano più di altri in Europa è strutturato secondo un'ottica classista. Esso per un verso conserva una omologazione dei livelli superiori di istruzione con il tipo di scuola previsto per le classi sociali più elevate, abbandonando al suo destino la scuola di massa (particolarmente deprecabili in questo senso sono stati gli incoraggiamenti alla privatizzazione, i sussidi anticostituzionali alle scuole private e i tagli di spesa alle scuole pubbliche). Per altri versi, invece, non ha saputo contrastare il sensibile scadimento qualitativo della formazione professionale - intesa in senso lato - sempre più distaccata dalla concreta realtà del lavoro, anche quando si profila asservita al mercato.
- I punti 6, 9 e 10 (politica redistributiva, laicità dello stato ed efficienza del sistema giudiziario) significano "solo" attuare in Italia ciò che dovrebbe essere prassi corrente in democrazia.
- Per quanto concerne il punto 7, interventi delle forze armate italiane sono accettabili solo nei limiti previsti dal dettato costituzionale.
Rimane qualcosa da dire sul punto 8 (beni e servizi di pubblica utilità): una vasta letteratura economica mette in evidenza che il mercato non è in grado di assicurare l'efficienza in ogni situazione e, tanto meno, di garantire l'equità. Un caso universalmente riconosciuto di fallimento del mercato è quello relativo alla produzione di "beni pubblici", cioè dei beni dal cui consumo non è possibile escludere nessuno(7). Ma anche la produzione dei beni e servizi la cui fruizione costituisce un diritto fondamentale per il benessere dei cittadini (come accesso all'acqua potabile, istruzione, elettricità) non può essere lasciata in mano al mercato, ma deve essere gestita direttamente dall'operatore pubblico, perché il mercato, mosso da un'ottica di profitto, li produce in maniera inferiore a quella ottimale, quindi in modo non socialmente efficiente, e non ne garantisce un'equa distribuzione.
Ci sembra importante insistere sull'aspetto dell'efficienza nella produzione da parte del settore pubblico dei beni indispensabili per il benessere sociale, perché si è diffusa l'idea secondo cui "la destra vuole l'efficienza, la sinistra l'equità a scapito dell'efficienza". Non è così ; è la destra che oltre a difendere l'iniquità favorisce di solito politiche inefficienti (tipicamente quando difende i monopoli privati e la privatizzazione di beni di pubblica utilità). Dobbiamo combattere l'idea, così dannosamente diffusa a sinistra, che "l'efficienza non è affare nostro". Riteniamo inoltre pretestuosa l'idea secondo cui perdite nella gestione delle imprese pubbliche debbano necessariamente configurare un comportamento non efficiente se tali imprese sostengono, ad esempio, spese per investimenti in ricerca, infrastrutture, ecc. che possono rendere solo nel lungo periodo e che non possono essere sostenuti dai privati proprio a causa dell'assenza di un profitto immediato. In altre parole, le perdite dell'Alitalia sono sinonimo di inefficienza e non c'è motivo per cui l'Alitalia debba rimanere in mano pubblica. Dovrebbe invece essere totalmente gestito dall'operatore pubblico il settore dell'energia, che richiede investimenti nella ricerca di fonti di energia alternativa, investimenti che possono dare risultati positivi solo nel lungo periodo.
4. I contenuti di un programma della sinistra: metodo.
Nel paragrafo precedente abbiamo indicato quelli che, a nostro avviso, dovrebbero essere i punti qualificanti di un programma della sinistra. Si tratta di argomenti generali che, nel dibattito politico e legislativo, dovrebbero tradursi in progetti specifici e dettagliati (ed eventualmente essere integrati e completati). Questo è necessariamente un lavoro continuo, per il quale la sinistra deve darsi la struttura e le capacità necessarie.
Ci spieghiamo con un esempio. In molte città è in corso un processo di riappropriazione da parte di grandi gruppi privati della rendita fondiaria urbana. Che essa debba invece restare in mani pubbliche dovrebbe essere ovvio per la sinistra; ma ciò implica l'elaborazione di specifici disegni di legge, che a loro volta richiedono la mobilitazione e la partecipazione di tecnici ed esperti. Questi tecnici e questi esperti esistono, e sono sicuramente disposti a collaborare con i politici su un progetto del genere. Ma così come il progetto non può riuscire senza l'apporto dei tecnici, questi non possono lavorare senza un input politico, che indichi le linee-guida del progetto e i modi in cui esso verrà portato nel dibattito politico. Per fare un altro esempio, non è accettabile che la sinistra si opponga alle grandi opere pubbliche semplicemente perché esiste un movimento popolare che, volta per volta, vi si oppone: la sinistra deve opporvisi se e in quanto esse siano oggettivamente inefficienti secondo un calcolo benefici/costi (ovviamente comprendente tra questi ultimi l'impatto ambientale); inoltre, riuscirà a far passare tale opposizione a livello politico e decisionale solo se sarà in grado di proporre interventi diversi, più coerenti con gli interessi dei cittadini italiani. È vano e certamente perdente pensare di contrapporre alla politica dei grandi poteri finanziari solo quella dei movimenti e dei No-Global.
Occorre insomma che la sinistra si armi di capacità tecniche sufficienti quantomeno ad operare come interfaccia con le risorse tecniche ed intellettuali presenti nella società civile. Ai dieci punti elencati prima possiamo quindi aggiungerne un undicesimo: la sinistra deve dotarsi di validi organismi tecnici di elaborazione, studio, ecc. Ciò può sembrare molto costoso, ma riteniamo che se lo facesse incontrerebbe la disponibilità di molto lavoro volontario, e anche entusiasta.
Quelle citate, in effetti, altro non sono che le condizioni minimali affinché un partito possa svolgere efficacemente il ruolo che ad esso è assegnato dalla teoria della democrazia, e implicitamente dalla Costituzione: trasformare le diverse esigenze di gruppi diversi di cittadini in modelli coerenti di assetto della società, e operare per realizzarli. Se non si è in grado di farlo, perché gli elettori dovrebbero affidare alla sinistra il compito di governarli?
5. Dove trovare i soldi?
A regime, una pressione fiscale tra il 42 e il 45% è da un lato perfettamente sostenibile, e dall'altro ampiamente sufficiente al mantenimento di un modello sociale socialdemocratico. In Italia, come sappiamo, la pressione fiscale è mediamente intorno al 43%, ma è sensibilmente più alta per i contribuenti effettivi, dato il peso dell'evasione. Ciò implica insieme la possibilità e la necessità di reperire risorse ulteriori, almeno per una fase transitoria, senza aumento della tassazione sui contribuenti onesti, e cioè su quelli che dovrebbero essere considerati "contribuenti normali".
Le politiche più importanti sono a nostro avviso le seguenti:
a) Una politica di emergenza contro l'evasione fiscale, che implichi provvedimenti straordinari per l'acquisizione delle informazioni e soprattutto - dati i livelli di inefficienza in questo campo, che rendono l'evasione "un investimento di fatto sicuro" - per l'effettivo recupero dell'evasione accertata.
b) L'aumento della tassazione delle rendite finanziarie, fino a raggiungere gli standard medi europei.
c) Una revisione delle aliquote, con una tassazione maggiore dei redditi più alti, che includa anche una aliquota altissima per i redditi molto alti, onde imporre di fatto un tetto alle retribuzioni.
d) Una serie di misure di revisione del bilancio dello stato e degli enti locali, abolendo o riducendo determinate spese a favore della creazione o dell'incremento di altre, nell'ottica indicata ormai da vari anni dal gruppo di Sbilanciamoci(8).
e) La riduzione dei costi della politica, sulla base di una rigorosa ricognizione dei possibili tagli(9). La possibilità di mobilità nel pubblico impiego verso impieghi o in mansioni più produttive, fatta salva la tutela del personale. Un tetto sensato alle retribuzioni pubbliche più elevate. Si deve sfuggire alla tradizione di caldeggiare provvedimenti demagogici e non sufficientemente documentati, salvo abbandonarli per la loro stessa inattuabilità.
f) E, ovviamente, la reintroduzione dell'ICI sui beni ecclesiastici esenti.
Tutte le politiche citate implicano la presenza di una volontà politica. È possibile che questa volontà non abbia una maggioranza che la sostenga; ma ciò non comporta che esse debbano essere escluse dal programma della sinistra, piuttosto il contrario.
Esse però richiedono anche di essere strumentate e precisate rigorosamente sul piano tecnico: e quindi, come abbiamo già scritto, che il partito della sinistra si dia le strutture necessarie a svolgere questo compito. Il fatto che la sinistra sia per molti aspetti allo sbando non implica che si debba vivere alla giornata e rinunciare a creare le opportune strutture pensanti: di nuovo, se mai il contrario. La situazione è analoga a quella di un paese povero: proprio perché è povero avrà molte difficoltà a sottrarre risorse al consumo immediato, ma se vuole uscire dalla povertà deve dedicare invece più risorse possibili all'investimento. La sinistra resterà sempre "povera", se continuerà a rincorrere ogni briciola di spazio politico invece di essere lei a dettare i temi del dibattito e a suggerire le priorità praticabili; il che comporta specifici investimenti in elaborazione e studio, e specifiche risorse a ciò dedicate. Questo naturalmente ci riporta all'esigenza di avere un partito in grado di svolgere il suo compito istituzionale, di cui abbiamo parlato alla fine del paragrafo precedente.
Le politiche citate richiedono però anche e soprattutto intelligenza: nel duplice senso di smetterla con una tradizione piuttosto diffusa per cui la nobiltà di ideali autorizza a non riflettere sui problemi nella loro interezza e di abbandonare una comoda e sbagliata tradizione di pensiero in cui si contrappone il ragionamento politico a quello economico. In altri termini, è vero che la politica viene al primo posto, come si diceva nel '68; ma anche ciò che viene ai posti successivi è importante, e spesso è determinante. Se si decide, per esempio, di decriminalizzare ma al tempo stesso ostacolare l'immigrazione clandestina, non ci si può poi esimere dall'elaborare gli strumenti necessari per implementare un programma così impegnativo, che deve essere elaborato promuovendo e coordinando iniziative integrate in un programma di ampiezza quantomeno europea.
Non diversamente la sinistra dovrebbe essere capillarmente presente sul territorio e tra i cittadini; se non si vuole abbandonarli alle suggestioni mediatiche dei demagoghi di turno è indispensabile reinventare una forma di presenza organizzata, continuativa e diffusa.
6. Che fare di questo programma.
Questo dunque è il programma politico che il gruppo di Nuvole propone alla sinistra. Pensiamo che esso possa, e quindi debba, essere arricchito e perfezionato. In parte cercheremo di farlo noi stessi, ma molto fidiamo sul contributo di chiunque voglia fornirne uno. Apriamo insomma una discussione, suggerendo che essa verta sui contenuti che deve avere il programma della sinistra, e non su come fare per elaborare un programma della sinistra.
NOTE
1. Non dobbiamo lasciarci spaventare dal fatto che il termine "socialdemocratico" in Italia è stato abusato da forze politiche ben lontane da quella tradizione, così come giustamente non ci lasciamo spaventare dall'abuso del termine "comunismo".
2."Sviluppo economico" è altra cosa da "crescita economica", vera quanto vacua ossessione di quasi tutti i partiti politici, e non solo italiani. Su ciò torneremo in un futuro articolo.
3. Molti di questi temi come lavoro, ambiente, equa distribuzione del reddito, sviluppo della democrazia, ecc. sono di portata talmente ampia da poter essere qui solo enunciati, mentre meritano un'approfondita trattazione a sé stante: prevediamo una serie di interventi su di essi sui prossimi numeri di Nuvole.
4. Vale la pena ricordare che il sistema fiscale italiano, nel suo complesso, È sostanzialmente proporzionale, in violazione dell'articolo 53 della Costituzione che ne stabilisce la progressività.
5. Dobbiamo dire in tutta onestà che non siamo sicuri che tutti commettano questo errore in buona fede. Temiamo che anche a sinistra, come in misura ben maggiore al centro e a destra, vi sia chi si faccia paladino di nobili ideali irraggiungibili per ingannare una parte dell'elettorato, e farsi votare da esso. Demagogia, insomma.
6. Contro lo strapotere del capitalismo finanziario e i danni che esso provoca, anche e soprattutto, a livello internazionale, si considera indispensabile dare avvio a una iniziativa, prima a livello europeo e poi mondiale, per l'introduzione della Tobin tax. Notoriamente questa imposta sui movimenti finanziari destinati all'estero - data l'esiguità dell'aliquota su ciascun movimento di capitale - è di fatto irrilevante per gli investimenti produttivi all'estero ma diventa pesante, fino ad essere proibitiva, per i movimenti finanziari internazionali di carattere speculativo che sono, per definizione, frequentissimi (finanche più di uno spostamento al giorno). Nella proposta originale, che condividiamo, il gettito di tale imposta dovrebbe essere destinato all'aiuto ai paesi poveri.
7. È dimostrato, infatti, che i beni e i servizi pubblici, se lasciati in mano privata, sono prodotti in misura insufficiente, perché tutti hanno interesse a scaricare sugli altri la loro produzione.
8. www.sbilanciamoci.org. Per il 2008, la loro analisi ritiene possibile una riduzione delle attuali spese, e quindi uno spostamento di risorse verso usi coerenti con questo programma, di oltre 16 miliardi.
9. Per esempio, l'erogazione di servizi gratuiti o a prezzo ridotto ai partiti (spese postali, telefoniche, etc.) è meglio del finanziamento pubblico forfettario dei partiti.