Dopo Prodi. Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo
Giuseppe Aragno - 28-01-2008
Sarebbe un'amara e inutile soddisfazione stare qui a rivendicare oggi ciò che è sotto gli occhi di tutti: la facile profezia s'è avverata. Il governo Prodi ha aperto la via a un sistema autoritario di cui non è possibile prevedere i connotati o la durata, ma che ha la sua ragion d'essere nella convergenza d'interessi tra quelle forze politiche eversive che, sia pure con stili diversi, dal 1994, si sono dimostrate il braccio armato del capitale nel nostro paese. Dietro - si potrebbe obiettare - non c'è una dottrina politica. Probabilmente è vero. Non meno vero, però, che nei primi anni Venti c'erano i fascisti benché non ci fosse il fascismo. In quanto agli strumenti necessari all'impresa, non mancano né la destrezza tattica, né la spregiudicatezza morale per costruire un regime utilizzando, come accade assai spesso, la via legalitaria. Centristi e clerico-moderati raccolti indifferentemente attorno agli stracci levati a vessillo da Forza Italia e dai "democratici" Rutelli e Veltroni, sono pronti a marciare contro ciò che resta della Repubblica nata dalla Resistenza. Chi poi la spunterà tra Berlusconi e D'Alema è questione del tutto secondaria: all'ombra del Vaticano, lobby e poteri forti valuteranno le garanzie che saranno offerte.
Con abile e preordinata regia - tutto è concentrato ormai nelle mani di uomini come De Benedetti e Berlusconi - stampa e televisioni vanno costruendo lo specchietto per le allodole e il tema è obbligato: chi vincerà la partita sull'immediato futuro del Paese? I fautori della necessità d'una legge elettorale che per diciotto mesi nessuno ha mai seriamente pensato di fare? Le orde dei lanzichenecchi che sentono odore di saccheggio e premono per giungere alla resa dei conti in uno scontro frontale? E che faranno i sacerdoti della "lealtà" e della "cultura di governo", di marca per lo più comunista, che hanno saputo dilapidare il non trascurabile consenso accumulato in virtù del naufragio della politica messa in atto dalle destre?
La verità è che, vinca, chi vinca, il Paese va allo sbaraglio e non è un caso che, a licenziare il centro sinistra, non sia stata l'imbelle opposizione berlusconiana o l'evanescente sinistra alternativa, bensì la cinica scelta di Veltroni - anima nera ovviamente D'Alema - di aprire il dialogo con Berlusconi sul tema della liquidazione della Costituzione. Raggiunto l'accordo su questo obiettivo cruciale per la vita della democrazia, Veltroni, ha rotto gli indugi e aperto il fuoco. Batterie alzo zero: "alla prova delle urne" - ha dichiarato - "il Partito Democratico si presenterà da solo".
Quale che sia il risultato delle elezioni, la Costituzione della Repubblica sembra avere i giorni contati. Se si parte da questa considerazione, appare chiaro che la battaglia è culturale, prima ancora che politica, ed è forse ancora possibile mobilitarsi seguendo vie alternative - Grillo insegna - e andare alla prova di forza con il nuovo potere, nutrendo qualche speranza di successo.
Anni fa, con singolare preveggenza, Pier Paolo Pasolini avvertiva: la cultura di una nazione non è quella degli uomini colti - scienziati, politici, professionisti, letterati, artisti e chi altri si voglia, e non è nemmeno quella della classe dominante, che tende ad imporsi a quella dei ceti dominati con la lotta di classe. "La cultura di una nazione - egli scriveva - è l'insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dunque astratta se non fosse riconoscibile - o per dir meglio, visibile - nel vissuto e nell'esistenziale, e se non avesse di conseguenza una dimensione pratica". Da anni, sotto i nostri occhi, la diversità delle culture che, unificate dalla storia, contribuivano a creare la sintesi della cultura del Paese sono state progressivamente cancellate da un nuovo Potere che sostituisce il "consumatore", al lavoratore e al cittadino, che affonda le sue radici in un feroce processo di omologazione: non rivendichiamo diritti, non abbiamo bisogno di solidarietà, non ci interessa nulla di quello che accade agli altri. Quale che sia la nostra collocazione sociale, alla vita chiediamo benessere materiale e soddisfazione di falsi bisogni. Vivere è produrre per consumare e consumare per produrre. Chi è fuori dal binomio "produzione e consumo" è fuori dal mondo. La libertà di vivere come si vuole, cede il passo al dovere di collocarsi in uno schema preordinato rigidamente, con una ferocia repressiva che nessun'epoca della storia ha mai conosciuto. E' un potere che, per dirla con la nostra vecchia cultura, si configura - aveva perfettamente ragione Pasolini - come "una forma 'totale' di fascismo" E' il Potere che ha "omologato" culturalmente l'Italia; è un fascismo che, rinunciando ad essere "umanisticamente retorico è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l'omologazione brutalmente totalitaria" delle singole società nel mondo globalizzato [1].
Contro questo nuovo fascismo non c'è altra via da seguire se non quella di un nuovo antifascismo. Per ora non c'è bisogno delle armi che Bossi si va procurando: ci bastano quelle fornite dalla Carta costituzionale. Arrocchiamoci attorno ad essa e resistiamo. Checché ne pensino D'Alema, Berlusconi e Veltroni, la partita non è persa. Non del tutto, non definitivamente. Abbiamo ancora carte da giocare.

[1] Le citazioni sono tratte da Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari 1975: il vero fascismo e quindi il vero antifascismo.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Italo    - 03-02-2008
Ma caro Giuseppe, sei per caso un partigiano???

 gio15158    - 03-02-2008
Non sono persuaso di quasi nulla e sempre più perplesso di fronte a questo genere di catastrofico generalista di interpretazione della situazione politica.

 Emanuela Cerutti    - 03-02-2008
Sarà anche catastrofico il quadro, ma temo che più catastrofica ancora sia la situazione italiana. Senza possibilità di smentire fatti (la legge elettorale non rivista, la caduta del governo dall'interno) è difficile parlare di "generalismi". Piuttosto, e qui sto io sulle generali, l'aria che tira è di quelle da aver paura. Non una paura d'altri tempi, per quanto ciò che accade nel mondo non permetta di escludere nulla, ma una paura moderna: quella della mancanza di fiducia nella politica. E sono i discorsi, appunto, generali, della gente con cui parlo ogni giorno, a farmi riflettere in questo modo. Non dico gente di estrema sinistra o ex-partigiani, ma gente molto "normale", gente che ha sempre ritenuto il voto un impegno irrinunciabile, e lo stato un bene comune da difendere, e che ora non crede più a nulla. Non alle promesse, non alle decisioni, non alle, eventuali, motivazioni ideali che dovrebbero sorreggerle. Così anche l'istituto stesso del voto va in crisi: a che serve? Che dobbiamo decidere? Che spazi ci lasciano? Perchè non fanno le cose per bene visto che occupano palazzi a nostre spese? Chi pensa così non ha 20 o 30 anni, ma molti di più. Questo mi fa riflettere: è come se dall'albero non se ne andassero le foglie, ma le radici stesse. Non è una bella situazione, no?

 Giuseppe Aragno    - 03-02-2008
L'intervento di Emanuela, lucida e puntuale come sempre, mi solleva dall'onere di una replica, e gliene sono sinceramente grato. Sono però curioso per natura e due domande le faccio. A Italo, anzitutto: il suo è per caso un commento??? Tre punti interrogativi per una questione di par condicio. In quanto a gio15158 , sarei lieto - e lo ringrazio in anticipo - se mi spiegasse cos'è un "genere di catastrofico generalista di interpretazione".