Solidarietà
Emanuela Cerutti - 24-11-2007
Lo sciopero dei trasporti, che ha costretto a sveglie precoci molti abitanti dell'Ile de France negli ultimi 9 giorni, ha dato luogo a dibattiti e scambi di opinioni nei luoghi più impensati: fermate di autobus, tram, parcheggi velib, persino semafori e supermercati. Non parliamo degli ascensori.

Inizialmente molta incomprensione per i "grévistes", privilegiati che vogliono mantenere i loro benefit, sequestratori di lavoratori, estremisti da pugno di ferro. Poi, con il procedere delle ore, qualche domanda si fa strada: ma che vogliono, alla fine? perché tanta insistenza?

Il Presidente tace: quando parla il tavolo concertativo è già stato annunciato e qualcuno fa notare, sorridendo, il calcolato tempismo.
Il Presidente ha riaffermato, con il protagonismo da tutti riconosciuto, pour o contre che si sia, il suo no pasaràn e chi è abituato a un certo modello democratico, che pone le sue radici nel lontano 1789, ha commentato amaro.

Nei bistrot, animati a ore insolite, le risposte si infilano tra un crème e un croissant: forse non è questione di privilegi da difendere, ma di diritti da non perdere, azzarda Martine, dipendente di pubblica amministrazione, che ha scelto di non passare al privato quando l'ente ha aperto a interventi esterni instaurando un regime di cogestione, e così si è trovata con uno stipendio più basso e una carriera meno interessante. Christine le fa eco: nel passaggio dal pubblico al privato è il pubblico che perde. Un pubblico bellamente imbrogliato dalle chimere del potere d'acquisto: ti dicono che compri uguale con il tuo stipendio e te lo mettono nero su bianco su colonne di calcoli statistici comparati; non ti spiegano, però, che se oggi puoi comprare con meno difficoltà un apparecchio digitale è solo perché il suo valore tende a diminuire, non perché hai più ricchezza. Specchietti per le allodole.

Jean Luc alza il bavero: eh sì, gli scioperi e il gelo si sono messi d'accordo, ma più gelido è il suo pensiero finale: il settore pubblico va a catafascio - mi dice - e tu, che sei insegnante, me la confermi l'impressione di scuola-entreprise, di servizio troppo legato al mercato e troppo poco libero di dare il meglio di sé?

Mi sento a disagio: penso che Jean Luc abbia il diritto di porre una domanda del genere in un paese governato senza misteri dalla destra, penso che possa esprimersi, come fanno gli studenti, contro la logica aziendalista che soggiace alla legge Pecresse sull'autonomia delle Università, penso che la sua opposizione ideologica abbia una collocazione chiara e motivata. Pulita.

E a casa mia, dove il governo non si sa bene da che parte sta? Dove il ministro per l'istruzione si ostina a pensare a una scuola che non abbia come obiettivo solo l'essere in funzione della richiesta del mercato, come scrive nella premessa alle nuove indicazioni per il curricolo, ben sapendo che la correlazione corretta comporta un inevitabile ma anche? Dove l'aggettivo pubblica si carica di ambiguità e confonde, a ragion veduta, il tutto e le sue parti?

Il disagio aumenta se leggo le note, ormai non più ultime, sul recupero debiti, in onore del quale le scuole devono da un lato stringere sul 20% del monte orario riservato dall'autonomia - una mano dà e l'altra toglie? - e dall'altro allargare, volendo, a soggetti esterni esclusi gli "enti profit" - per ragioni concorrenziali o qualitative? -.

Contraddizioni, segnali di scarsa chiarezza e di non evidenti motivazioni. Come quando si afferma, sempre nelle indicazioni di cui sopra, che l'insegnante di lingue della scuola primaria terrà conto della plasticità neurologica e della ricettività sensoriale del bambino, sfrutterà la sua maggiore capacità di appropriarsi spontaneamente di modelli di pronuncia e intonazione per attivare più naturalmente un sistema plurilingue e poi si lascia una sola possibilità di scelta proprio nella fase in cui la ricettività è più elevata e il successo più garantito.

Entro a scuola ed è Josyane, nel fracasso dei bambini, a darmi la bella notizia: lo sai che i genitori hanno avuto la meglio sull'Inspecteur e l'italiano può continuare, quest'anno, nonostante la presenza di un abilitato in inglese?

Una goccia non fa il mare, penso, eppure sta lì, riconoscibile, ineliminabile, capace di dare all'agire localmente la profondità del pensare globalmente e alla teoria la concretezza dell'azione.

C'è una via d'uscita al disagio, penso, mentre mi avvio in classe: si chiama volontà di non arrendersi, di non rinunciare, di correre rischi per affermare un principio, di affermare un principio per non correre rischi più grandi.

E c'è un antidoto, antico come le montagne: si chiama solidarietà.

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