Il diavoletto sessantottino
Giuseppe Aragno - 20-10-2007
Premiare il merito: è la ricetta per la scuola nuova. Ci giurano in tanti che pare la sappiano lunga e dev'essere vero. Premiamo il merito e faremo cultura. Il diavoletto critico e sessantottino che mi porto dentro è pronto ad obiettare: "in che consiste il merito? Se rispondo col filosofo del Rinascimento - "conoscere tutto di una cosa sola e qualche cosa di tutto" - dico una verità pericolosa. Il massimo del merito, rispetto al massimo della specializzazione, potrebbe dare al più quei moderni specialisti che sanno tutto di qualcosa e nulla di tutto il resto. Se premio il merito, in questo caso, faccio spazio a una dottrina che, più cresce e si perfeziona, più si allontana dalla cultura. Un merito arido, che si chiude nell'ambito ristretto di una professionalità che non ha necessariamente contatti con gli uomini e la loro umanità.
In questo caso - dirò con Salvemini - lo specialista uccide l'uomo. Eppure ha meritato. Né, d'altro canto - insiste il diavoletto pernicioso della vecchia contestazione - maggiori garanzie potrebbe darci la teoria di un merito che premi chi alla suprema specializzazione, al "tutto di una scienza", aggiunga la conoscenza di un "qualcosa di tutto": trovatemi un uomo che, nella concretezza della vita, possa davvero vantare questo merito. "Qualcosa di tutto" non sta nelle forza di un uomo, così come "tutto di qualcosa" è un evidente inganno. Premiamo il merito, quindi, ma in relazione a quali obiettivi e secondo quali parametri?
Per carità, nessuna affermazione nichilista. Il professore sessantottino che mi porto dentro non ha mai sostenuto che la cultura sia una irrealizzabile utopia o che la stragrande maggioranza degli uomini che si dicono colti siano un'accozzaglia di vendifumo e imbonitori. Più modestamente, più realisticamente, crede con Salvemini che "gli analfabeti almeno non pretendono di saperla lunga" e s'immagina un mondo che riconosca la propria ignoranza - "io questo solo so, di non sapere nulla" - e percorra socraticamente la via della maieutica, ripetendo con Brecht: "sia lode al dubbio".
Io non conosco tutta la storia e so di non saperla: E' gia qualcosa, direbbe Salvemini, mancato sessantottino, perché dalla consapevolezza dei miei limiti nasce il bisogno di conoscere e capire. Questo merito promuoverà una scuola che voglia produrre cittadini e cultura. Merito che sente e riconosce il bisogno di sapere, merito che, secondo le capacità, affronta la fatica tormentosa di conoscere per capire e di capire per criticare. Merito che non dimentica - è un antico paradosso - che la cultura vera è ciò che resta nella nostra testa quando non ricordiamo più quello che abbiamo imparato.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Mario Borrelli    - 21-10-2007
Poche parole, ma chiare, che non si limitano a criticare o distruggere una concezione del merito applicato alla scuola, me ne propongono una visone alternative e ben definita. Concordo pienamente e mi pare sia giunto il momento di smentire quanti vanno raccontando peste e corna dei cosiddetti "sessantottini", che nella scuola, come nella società, hanno portato certamante l'ultima ventata di rinnovamento.


 Patrizia Rapanà    - 22-10-2007
La sua è davvero bella domanda: in che consiste il merito? Sarebbe bello se una risposta ce la dessero i tifosi della meritocrazia. Non credo però che accadrà: le belle domande hanno il merito di imbarazzare i sostenitori del merito. Sono d'accordo: la cultura vera è paradossalmente quello che ci rimane in testa quando non ricordiamo più ciò che abbiamo imparato. Se la cultura è questo, è facile spiegarsi il silenzio dei fanatici del merito.

 Oliver    - 23-10-2007
Il merito è l'unica possibilità che viene data ad una persona di potersi affermare al di la del nepotismo. Chi è bravo riesce ad avviarsi verso mete ambiziose che richiedono capacità.