Redazione - 29-09-2007 |
Non possiamo che convenire con le osservazioni di Francesco alle quali ci permettiamo di segnalare un sito che dice NO argomentando nel merito e sul metodo. |
Attac Italia - 29-09-2007 |
23 luglio: una pessima data per i lavoratori! mai fidarsi di accordi e protocolli balneari Sono diverse le macroscopiche criticità contenute nel “Protocollo su previdenza, lavoro e competitività” del 23 luglio 2007. Si va dall’attacco al contratto nazionale di lavoro mediante la detassazione e la decontribuzione della parte del salario che nel contratto di secondo livello (aziendale o di zona) è in tutto e per tutto una variabile dipendente della produttività e del profitto. Si passa alla soppressione della contribuzione aggiuntiva sul lavoro straordinario, che ne risulta incentivato. Si arriva alla sostanziale conferma - con qualche foglia di fico (peraltro indecorosa) - della liberalizzazione dei contratti a termine, fonte tra le principali e più devastanti della precarizzazione del lavoro. Ma senza voler fare un’analisi puntuale di un testo - che più che fissare cose, dichiara volontà e intenzioni onweb-, pur nelle diverse criticità che affiorano qua e là, quel che caratterizza il protocollo è una dichiarata “bonomia”, l’espresso desiderio di coniugare equità sociale con crescita economica in un quadro di sostenibilità. Ovvero, fissati i vincoli di bilancio e le necessità determinate dalla competitività sui mercati - evidentemente ineludibili - si dichiara di voler provare a ridistribuire in maniera più equa tra lavoratori, disoccupati, precari e pensionati quello che questi stessi hanno (n.b.: quello e niente altro. Per esempio si arriva a far finanziare il 50% dell’aumento delle pensioni minime dai collaboratori a progetto con l’aumento dell’1% dei contributi a loro carico!). Peccato che, nella sua “bonomia”, da questa equa redistribuzione siano escluse le rendite e i profitti. Ovvero proprio chi ha usufruito e goduto negli ultimi 15 anni della “un po’ meno equa” redistribuzione della ricchezza prodotta. Nella sostanza il Protocollo fa salvi gli interessi forti e dice alla platea di coloro che devono vivere del loro lavoro che, utilizzando “meglio” le risorse loro “spettanti”, sarà possibile un miglioramento complessivo sia in termini di reddito che di condizioni di vita e di lavoro. Ma, almeno questo, è vero? In realtà non è logico aspettarselo. Per quanto contenuti ed al di sotto delle medie internazionali ed europee, sono previsti e prevedibili nel breve e medio periodo nel nostro paese aumenti di produttività e, in misura minore, di produzione. Questo significa - anche se sembra che tutti se lo dimentichino - che a breve e medio termine avremo una riduzione del tempo (e del costo) necessario per unità di prodotto, riduzione non compensata da un equivalente aumento della produzione. Dal punto di vista del lavoro salariato questo significa una diminuzione quantitativa della sua necessità (serviranno meno lavoratori per produrre gli stock di prodotti e servizi richiesti), ovvero avremo l’aumento della disoccupazione o il depauperamento di quote di lavoro “stabile” in forme di lavoro intermittente e precario. Una politica che volesse coniugare effettivamente equità e crescita economica non potrebbe prescindere da questo snodo essenziale. E le leve per poter intervenire su di esso sono essenzialmente: la redistribuzione del lavoro necessario e socialmente utile attraverso la riduzione del tempo di lavoro (e il protocollo incentiva l’esatto opposto, incentivando il lavoro straordinario) a parità di salario. Con la partecipazione ai relativi costi di tutti, ovvero anche di chi gode di rendite e profitti (altro che annunci di riduzione di tasse!); la redistribuzione di una quota di aumento della produttività sul reddito di tutti (e non certo il legare quote di salario al profitto di ogni singola azienda). la destinazione di una quota di aumento di produttiva per la creazione di occupazione aggiuntiva. Di questo o di qualcosa di analogo non c’è traccia nelle trentuno pagine del Protocollo, che mai mette in discussione i paradigmi ed i dogmi del liberismo più integralista. In fin dei conti, in nome delle compatibilità di bilancio e della competitività sui mercati, il Protocollo si guarda bene dal sottrarre i futuri incrementi di produttività al profitto e si prefigge di governare una nuova stagione di stenti e precarietà con l’ausilio delle concertanti parti sociali. ... Tutto questo ricorda qualcosa ... Cambia il decennio, ma il 23 luglio resta una pessima data per i lavoratori. Severo Lutrario (Attac Italia) |
Francesco Mele - 29-09-2007 |
Siccome (a partire da me) mi sembra ci sia poca iinformazione sulle ragioni del NO, ho provato a fare una ricerca in rete e oltre ad altri contributi su foruminsegnanti.it (Rete 28 Aprile, Coordinamento RSU, COBAS) ho trovato sul sito della Rete 28 Aprile una nota con le ragioni del NO molto dettagliate, a questo indirizzo: Penso che sia opportuno cominciare a diffondere tali documenti. |
Giuseppe Aragno - 29-09-2007 |
Semplicemente, con chiarezza e senza lasciare spazio ad ambiguità: il “Protocollo” è l’ennesima dimostrazione dell'impossibilità di contare su un cambiamento di rotta della nostra classe dirigente accomunata da interessi inconfessabili e allineata di fronte alle logiche del mercato. Questo in soldoni. Poi, certo, si può andare nel dettaglio per scoprire quanto pesino la malizia e l’esperienza di sindacalisti passati alla politica nell’elaborazione di un'intesa che è destinata a peggiorare le condizioni di vita delle classi meno abbienti. Sotto tiro sono strumenti essenziali di tutela dei lavoratori come il contratto nazionale. Si fa spazio al lavoro straordinario, si elude – se non si acuisce – la questione della precarietà nel lavoro, che vuol dire impedire ai giovani di avere speranze nel futuro. Un progetto molto più criminale e fascista di quanto non sia quello sull’ordine pubblico che vien fuori dalle stanze di quel galantuomo di Amato. Ciò che si legge chiaramente tra le righe dell’accordo è una concezione della società e della vita: chi sta male, si rassegni a star peggio, perché non possiamo tirar fuori un quattrino per aiutare chi ne ha bisogno: prima della qualità della vita dei lavoratori ci sono i conti del ragioniere. Non altro. E’ un protocollo che risponde perfettamente ad un disegno politico: la rendita non si tocca, le spese militari sono sacre, il sistema pensionistico deve costare sempre di più ai lavoratori e va smantellato a favore del privato. Al fondo del “protocollo” un pilastro: nessuna modifica alla divisione della ricchezza. Questo non altro. Governo di classe dicevamo un tempo. Governo classista dovremmo dire oggi. Sostenuto in una logica suicida dai presunti alternativi. E’ incredibile: persino da Caruso e Luxuria, |