Lettera aperta al ministro Fioroni
LETTERA APERTA AL MINISTRO FIORONI di ASSOCIAZIONE DOCENTI PRECARI MILANO (www.adpm.it)

Gentile Ministro Fioroni, mi permetto di scriverLe perché dopo aver letto e ascoltato per un anno i Suoi progetti per migliorare la scuola, mi sono accorta che come al solito si tratta solo di belle parole. Le confesso che anni di precariato mi hanno reso scettica, e non nutrivo molte speranze che le cose potessero cambiare davvero: non ne faccio una questione di colore politico, sia chiaro: alla luce dei fatti, credo che nel momento in cui si raggiunge il potere, ci sia un adeguamento e sia più facile lasciarsi sopraffare dalla "finanziaria" e dalla "ragion di stato". Certo, è difficile perseguire le proprie idee, metterle in pratica, crederci al punto da attuarle a qualsiasi costo. Ci vuole coraggio, forza di volontà e soprattutto carattere. Proprio quello che noi cerchiamo di insegnare ai nostri alunni, giorno dopo giorno, cercando soprattutto di dare l'esempio. Pretendere che l'esempio venga dall'alto, forse è pura utopia, ma credere che la Scuola necessiti di reali investimenti, non credo lo sia. E' appena uscito il Decreto per le assunzioni in ruolo, i numeri effettivi, cioè la ripartizione delle 50.000 assunzioni previste, giravano già da giorni, e chi sperava che l'aria fosse cambiata, si è già reso conto che, i numeri appunto, sono assolutamente proporzionali a quelli dello scorso anno. Nessun investimento in più sulle superiori, per esempio, si legge invece, nel nuovo DPEF che "per risparmiare" sarà necessario ridurre l'orario dei licei, per gli Istituti tecnici è appena stato fatto, e rendere elastico l'orario degli insegnanti (come se già non lo fosse abbastanza). Certamente chi vive al di fuori dalla scuola ignora ,che il tempo che la maggior parte degli alunni dedica allo studio, spesso è solo quello contemplato dall'orario scolastico; ignora che insegnare una disciplina in una classe di trenta alunni per tre ore alla settimana, equivale a non avere il tempo materiale per insegnarla come si dovrebbe, non oso immaginare cosa potrebbe significare se le ore dovessero essere solo due; chi vive al di fuori della scuola ignora anche, o finge di ignorare, che gestire per esempio una prima di trenta studenti, porterà irrimediabilmente a perderne un buon numero; come si può ridurre la dispersione, come chiedono a gran voce i nostri politici, se non ci vengono dati i mezzi per farlo? Come si può credere che se nella Graduatoria ad esaurimento, in una classe di concorso ci sono 350 persone, e ne vengono immesse in ruolo 20 all'anno, la graduatoria sarà esaurita in tre anni? E se tra tre anni si passerà ad una nuovo sistema di reclutamento cosa ne sarà dei 300 docenti inseriti in detta graduatoria? Possibile che sia così difficile capire che la formazione richiede investimenti? Possibile che la soluzione di ogni governo al problema scuola sia basata solo sui tagli? Possibile che uno Stato, che si chiami tale, cerchi di risparmiare il risparmiabile, licenziandoci a fine giugno e riassumendoci i primi di settembre, per anni, solo per mantenere sempre il nostro stipendio al livello più basso e per risparmiare sui mesi estivi? Possibile. Si prenda un paio d'ore e scorra le Graduatorie ad Esaurimento, del resto sono una Sua creatura, cerchi il punteggio relativo al servizio dei docenti inseriti, il calcolo è facile, sono 12 punti per anno, e poi verifichi con i dati del Decreto che ha appena fimato, quanti di questi docenti, in servizio da dieci- quindici anni, passeranno in ruolo nei prossimi tre anni. E' sempre convinto di aver risolto il problema del precariato? E mi dica, per favore, cosa deve fare un precario che insegna da più di 15 anni, e che non rientrerà in questo piano di assunzioni, per poter passare di ruolo? Deve forse rassegnarsi a fare il "supplente" a vita? Cambiare lavoro? Sinceramente non vedo altra soluzione.
Una delle Sue frasi che più mi aveva colpita era stata, cito testualmente: "ridarò dignità al corpo insegnante". Ho pensato a questa frase, quando un mese fa, ho ricevuto il compenso per aver esaminato un candidato esterno nell'esame preliminare all'esame di stato, compenso che peraltro non pensavo nemmeno mi spettasse: due pomeriggi a scuola, totale netto 9,95 Euro. Nove e novantacinque, ha letto bene, un compenso davvero dignitoso, per circa otto ore di lavoro. Sto pensando ora alla Sua frase, mentre sto consultando le graduatoria ad esaurimento dal sito dell'USP di Milano, che è stata pubblicata con circa 20 giorni di ritardo, ma questo si può scusare: Milano, si sa, è una città con tanti precari, mentre non si può scusare la mancanza totale di notizie al riguardo; nessuno che si sia curato di informarci sulla data presunta di pubblicazione. Solo ieri, a seguito delle pressioni della stampa, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di precari, il Provveditore ha comunicato che la pubblicazione sarebbe avvenuta oggi, forse polemizzo se ricordo che sono state pubblicate solo nel tardo pomeriggio? E polemizzo ancora se la informo che sono piene di errori e a questo proposito tanto vale citare le dichiarazioni del Dr: Zenga - Corriere della Sera di ieri, 3 luglio 2007- " I ritardi ci sono stati, anche perché il lavoro è stato fatto con cura", a prescindere che fare un lavoro con cura è il minimo che uno si possa aspettare, non oso pensare cosa sarebbe successo se così non fosse stato . Credo che continuerò a pensare alla sua frase, quando consulterò giornalmente il sito dell'USP di Milano per trovare un calendario preventivo delle nomine in ruolo e a tempo determinato, perché so già che quello che troverò sarà solo un invito alla consultazione quotidiana del sito, e che se avrò fortuna le notizie che cerco saranno pubblicate a fine luglio o i primi di agosto. Forse più che di dignità sarebbe meglio parlare di rispetto, mi chiedo come posso insegnare il rispetto ai miei alunni se chi ci governa, per primo, non mostra rispetto nei nostri confronti.

ASSOCIAZIONE DOCENTI PRECARI MILANO
Mariateresa Cossolini

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 Gennaro Carotenuto    - 12-07-2007
Raddoppiare gli stipendi agli insegnanti? Bisogna vedere a chi

Pietro Citati, sulle pagine della Repubblica, pone un problema reale: fare l’insegnante non assicura più né status né tranquillità economica. Lo fa con bella penna e, quasi con pudore, lancia quella che ritiene una provocazione: raddoppiare gli stipendi agli insegnanti. Intanto si potrebbero valorizzare i ricercatori espulsi dalle Università.

L’idea di Citati è che mettendo in moto una competizione per appetibili cattedre retribuite 2 o 3.000 euro al mese, emergano dalle nebbie buoni insegnanti che al momento si dedicano a più lucrose carriere. Purtroppo non è così. La competizione per un posto da insegnante, a 1.200 euro nel pubblico e 6-800 euro nel privato (dove pagano con il benefit del famoso “punteggio”, per il quale molti sarebbero disposti a lavorare gratis) non è mai terminata. Il posto a scuola è sempre ambito indipendentemente dallo stipendio. Da qualcuno per vocazione, da altri per comodità. Ma soprattutto per una peculiarità del sistema scolastico italiano. Più che la bravura e la passione (che pure è presente in moltissimi), più di tutto può la pazienza. Tanto prima o poi si entra.

Da oramai un lustro chi scrive insegna didattica della storia contemporanea alla SSIS, la Scuola Superiore per l’Insegnamento Secondario, alla quale accedono i laureati che vogliono conseguire l’abilitazione all’insegnamento. Ce n’è una in ogni regione, è gestita da consorzi di università ed è un’ottima cosa. Al livello costantemente calante dei nostri laureati è offerta l’opportunità di un paio d’anni d’ulteriore preparazione. Dalle SSIS escono eccellenti e pessimi futuri insegnanti. La differenziazione tra i migliori e i peggiori è di uno o due punti nelle future graduatorie: nulla. Tutto è appiattito. Oggi in Italia ci sono facoltà umanistiche che arrivano a dare anche il 70% di 110 e lode ai loro laureati. E’ uno dei frutti dell’autonomia: dovendo soddisfare il cliente, ricompensiamo con la patente di genio –voti altissimi- l’offerta di una laurea squalificata che offre un futuro incerto e mal retribuito. Alcuni laureati continuano ad essere eccellenti, altri, anche con lode, sono meno che mediocri. Chi li screma se l’Università non lo ha fatto? Questo è il dramma.

Da decenni chi “decide” di diventare insegnante è un treno in corsa virtualmente inarrestabile. Si laureerà, affronterà sacrifici inenarrabili, sarà mal pagato, compatito o sbeffeggiato, si dividerà per anni tra tre o quattro scuole disagiate, ma non ci sarà nessuna SSIS, nessuna abilitazione, nessuna selezione, che fermerà la sua corsa verso la cattedra. Arriverà magari a cinquant’anni, ma arriverà perché dalla laurea in avanti, nessuno si permetterà di valutarlo in quanto insegnante e, se d’uopo, lo dirotterà verso un altro mestiere. Molti, diciamo almeno un quarto del corpo insegnante, farà danni a scuola per trenta o quarant’anni e taglierà le gambe a migliaia di allievi.

La SSIS è un osservatorio privilegiato perché si incarica anche di dare l’abilitazione –attraverso un percorso molto agevolato- ai precari storici. Sono quelli che vanno avanti tra una supplenza e l’altra da decenni e che non hanno mai preso l’abilitazione. Tra loro ci sono delle perle d’insegnanti, ma soprattutto ci sono persone impreparate, senza stimoli e senz’altra voglia che risolvere il loro problema occupazionale. Un giorno sono entrate in una scuola, hanno attaccato il loro cappotto alla parete e hanno cominciato ad insegnare. Nessuno ha chiesto né chiederà loro chi sono e da dove vengono, e andranno avanti così fino alla pensione. L’aneddotica sarebbe lunga e drammaticamente gustosa. Si boccia ben poco alla SSIS come in ogni ordine e grado del sistema educativo italiano. Ma, mesi fa, un cinquantenne -da vent’anni precariamente in cattedra a scuola- lo bocciai. Insegnava italiano e storia da una vita, ma non aveva la più pallida idea di cosa fosse la spedizione dei Mille. Finalmente capii come mai i nostri diplomati arrivano all’Università senza sapere chi ha vinto la seconda guerra mondiale. Il tipo protestò a lungo e sfacciatamente: la mia bocciatura gli faceva perdere tempo. La volta dopo si barcamenò un po’ meglio e passò l’esame con un voto insolitamente basso: chi ero io per fermare un laureato cinquantenne che insegnava da vent’anni?

La giusta provocazione di Citati è dunque mal indirizzata. Il solo fatto di essere stati per vent’anni precari nella scuola non rende buoni insegnanti né dà diritto a una cattedra. E’ drammatico, ma è così. Alcuni dei diplomati SSIS di maggio scorso meriterebbero una cattedra molto di più di colleghi che si barcamenano nella scuola da una vita. Sono bravi, hanno i titoli, hanno entusiasmo, ci servono. Meriterebbero anche un buon stipendio, ma prima di arrivare a quello non c’è alcun meccanismo che possa farli passare avanti ai loro colleghi scarsi. E così, pur essendo disponibili degli ottimi insegnanti gli adolescenti italiani sono obbligati ad avere insegnanti peggiori.

La priorità della scuola è dunque scovare quel quarto di insegnanti impreparati e trovare il modo di non farli più nuocere. Perché nuocciono, e molto. Piuttosto prepensioniamo i più vecchi, cambiamo di funzione quelli di mezza età, verifichiamo seriamente l’idoneità degli altri, e cacciamo gli inidonei. E’ vitale per il paese aumentare la qualità media di chi ha a che fare con i ragazzi. Non è una riforma a costo zero e aprirebbe inenarrabili contenziosi sindacali. Ma ciò basterebbe a ripristinare la dignità e lo status di chi nella scuola resta a buon diritto. E sarebbe un passo decisivo per arrestare il declino non ineluttabile della preparazione dei giovani diplomati e laureati italiani del XXI secolo.

Rinsaldare la sinergia tra scuola e università potrebbe risolvere una parte del problema. Ogni anno il sistema universitario espelle migliaia di eccellenti ricercatori intorno ai 40 anni. Sono tra i migliori laureati che il nostro sistema educativo produce, hanno dato il meglio di loro per 10-15 anni, ma per loro non c’è posto nei quadri accademici. Al contrario che nella scuola, all'Università non si entra prima o poi. A un certo punto si è fuori e basta, con la necessità di reinvertarsi una vita fuori tempo massimo. Eppure, stabilendo dei percorsi comunicanti tra ricerca e scuola, tra dottorati, post-dottorati e SSIS, potrebbero essere proprio loro, i meritevoli immeritatamente espulsi dall'Università, a ridare competitività alla nostra scuola. Già i dottorandi potrebbero dedicare un 10% del tempo allo studio della didattica della loro disciplina. Ne faranno tesoro sia come docenti universitari sia eventualmente nella scuola. Al bivio, le SSIS potrebbero offrire loro un percorso apposito all'abilitazione. Infine il loro percorso universitario dovrebbe essere valutato in maniera privegiata: spesso corrisponde a curricula di eccellenza e come tale anche la scuola dovrebbe valutarlo.

Sarebbe la maniera migliore per il sistema scolastico pubblico per valorizzare competenze altrimenti sprecate. Queste, forse frustrate dalla mancata carriera universitaria, ma sicuramente con un bagaglio di esperienze invidiabile, se potessero in maniera lineare riciclarsi nella scuola saprebbero senza dubbio avvicinare gli studenti alla passione per la ricerca, mettendo in moto un ulteriore circolo virtuoso. E in questo caso, come per decine di migliaia di insegnanti che alla scuola dedicano la vita, sì che il premio stipendiale di Citati potrebbe essere utile.

Gennaro Carotenuto,
ricercatore universitario in Storia contemporanea; da anni insegna didattica della Storia contemporanea presso la SSIS dell’Università di Macerata.

 Maestra depressa    - 12-07-2007
COMMENTO ...DEL COMMENTO

E chi ci mettiamo a valutare gli insegnanti?
Forse chi nella scuola non vive...o meglio ancora i "cortesi" genitori di alcuni "pargoli ben educati"...o addirittura gli stessi "pargoli"?