Pino Pinelli
Giuseppe Aragno - 16-06-2007
Dallo Speciale Il tempo e la storia



Testimoni


Un'orgia di memoria. Ultimo arrivato con la marea sormontante dei ricordi tirati per la giacca e prescritti per legge, ora c'è il nove maggio, il giorno dedicato alle "vittime del terrorismo". Seduti in Parlamento per forza d'una legge di stampo fascista, l'hanno scelto con voto unanime e certo non lo sanno: il giorno è quello giusto.
Nel paese dei ricordi, però, nessuno l'ha ricordato: il nove maggio non è solo via Fani. C'è un altro nove maggio: quello del 1897 coi funerali di Romeo Frezzi, vittima di un terrorismo di cui non si parla, benché accompagni, scuro e sanguinoso, la vicenda d'un paese che ha mille ricordi eppure è smemorato: il terrorismo di Stato, con le bombe e le stragi. Portella della Ginestra, Piazza Fontana, Brescia, l'Italicus, la stazione di Bologna. Un terrorismo senza terroristi.
Romeo Frezzi fu muratore innocente in un giorno in cui serviva un colpevole a ogni costo, anarchico ovviamente, come oggi, quando serve, è meglio musulmano e integralista. La questura era regia; Marcello Guida, direttore fascista di Ventotene e Santo Stefano, riciclato nella repubblica nata dalla Resistenza, non era ancora comparso all'orizzonte e non c'era nemmeno il commissario Calabresi. La questura era regia, ma la storia è più o meno la stessa: l'innocente interrogato muore di molte morti e non c'è un assassino: si è suicidato battendo ripetutamente la testa contro il muro, giura il questore; ha avuto un malore, afferma il commissario; s'è lanciato da una finestra schiacciato dalle responsabilità, sostengono in coro i questurini. Il magistrato non si chiama D'Ambrosio, non è senatore indipendente candidato nelle liste dei DS, ma il "malore attivo" è vecchia tradizione e giustifica tutto. L'autopsia rivelerà che la morte di Frezzi non può essere dovuta a un suicidio. Pare - chi sarà mai stato? - che il decesso sia da attribuirsi a un feroce pestaggio: il medico trova fratture al cranio, la colonna vertebrale staccata addirittura dalle costole all'altezza della spalla destra e lesioni alla milza e al pericardio.
Un paese civile, che si sceglie un giorno per ricordare le "vittime del terrorismo", il nove maggio non dà la parola solo ai parenti di Moro e Calabresi. Di Frezzi non so se vivano parenti, ma Pinelli - come non pensare a lui se si parla di Frezzi? - Pinelli aveva moglie, due figlie e mille compagni: nessuno è andato a cercarli, nessuno tra quanti si sono accampati nell'aula sorda e grigia tramutata in bivacco, ha ritenuto di dover ricordare. Facciamolo noi, per quello che possiamo.

Pino Pinelli, nasce a Milano, due anni prima di Gerardo D'Ambrosio, nel 1928, quando il fascismo disonora l'Italia e Marcello Guida, muove i suoi primi passi nella polizia del regime, preparandosi a dirigere galere e colonie di confino. Trascorre la prima parte della sua vita nella zona popolare di Porta Ticinese e, finite le scuole elementari, smette di studiare. Soldi non ce ne sono e si arrangia come può: prima garzone, poi magazziniere. A Marcello Guida i mezzi invece non mancano; studia e fa carriera senza pensarci troppo: l'antifascismo merita la galera. Se mai ne avrete voglia e siete a Roma per caso, passate per l'Archivio di Stato, chiedete qualche fascicolo dei confinati politici e lo trovate lì, tra i carcerieri degli antifascisti. "Servitore dello Stato", garante dell'ordine fascista e secondino di Sandro Pertini. Questa è la storia: le strade di Guida, Pinelli D'Ambrosio e del commissario Calabresi sembrano lontanissime, ma poi si incontreranno e, a leggere bene le carte dell'archivio, la spiegazione in fondo poi la trovi.
Pinelli è uno a cui piace leggere e si sa: se un anarchico legge molto, è un tipo pericoloso. Sarà per questo, perché legge ed è pericoloso, che nel 1944, appena sedicenne, Pinelli partecipa alla Resistenza come staffetta della Brigata "Franco", un gruppo di partigiani anarchici, che lo avvicinano al pensiero libertario. Il giovane non lo sa, non può saperlo, ma durante il regime, tra i nemici giurati dei suoi compagni di lotta, c'è stato Marcello Guida, l'alto funzionario di Pubblica Sicurezza che l'aspetta a Milano.
Quando la Resistenza finisce e Mussolini paga per tutti, Marcello Guida rimane al suo posto di tutore dell'ordine e "servitore dello Stato". Altro ordine, s'intende, altre garanzie, la legalità è ora repubblicana, ma anarchici e partigiani sono pericolosi come e più di prima e lo Stato perciò si difende: nel passaggio di consegne, le sezioni politiche non sono praticamente cambiate. Nel 1954, mentre l'ex partigiano Pinelli entra nelle ferrovie come manovratore, l'ex fascista Guida prosegue la sua brillante carriera in polizia. Per suo conto, Gerardo D'Ambrosio si avvia ad entrare in quella Magistratura che ha conservato nei suoi ranghi tutti i giudici del regime di Mussolini. A Roma, intanto, tra la media borghesia dell'Italia uscita dl fascismo, Luigi Calabresi compie gli studi che lo condurranno in polizia. L'uno e l'altro, giudice e commissario, finiranno a Milano a fianco di Marcello Guida, ex campione dell'ordine fascista e ormai questore nella repubblica democratica.
Trovato un lavoro, Pino si sposa. La moglie, Licia Rognini, l'ha conosciuta ad un corso serale di esperanto. Gli anarchici ce l'hanno nel sangue il sogno di una lingua comune - vivono di pericolose utopie, pensa Marcello Guida - e sono internazionalisti per ragioni cromosomiche. Presto verranno due figlie, Silvia e Claudia e, nei primi anni '60, una militanza che si fa sempre più matura. A Milano Pino è l'anima di "Gioventù Libertaria", un gruppo di giovani anarchici che nel 1962 ha un momento di pericolosa notorietà quando uno dei soci partecipa al rapimento del vice-console spagnolo a Milano per strappare alla pena di morte un anarchico che lotta nella Spagna franchista. Nel 1965, in viale Murillo, Pinelli diventa l'anima del gruppo raccolto attorno al circolo "Sacco e Vanzetti", che nel dicembre del 1966 riesce ad organizzare un incontro della gioventù libertaria europea. Il Circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa", situato in piazzale Lugano, tra gli operai della Bovisa, nasce il primo maggio del 1968. Si chiama così perché è a quattro passi dalla breve sopraelevata sui binari che vanno a Porta Garibaldi, la stazione dove Pinelli lavora. Sono i giorni del maggio francese e l'onda lunga della contestazione scuote il paese. Guida e Calabresi, che alla squadra politica si occupa degli extraparlamentari di sinistra, lo tengono d'occhio da tempo e nel suo fascicolo si accumulano rapporti sempre più allarmati: Pinelli non si risparmia. Apre e chiude la sede, tiene in piedi - la passione per la lettura gli rimane nel sangue - una sorta di biblioteca che presta libri e organizza conferenze serali che allarmano Guida e Calabresi. D'Ambrosio è lì, giudice istruttore, ma Guida e Calabresi non hanno in mano nulla che possa interessare la Procura. Certo, Pinelli che è ferroviere e in treno viaggia senza pagare, incontra compagni libertari in mezza Italia. Noti sovversivi, riferiscono ovviamente i rapporti di polizia. Ma le leggi della Repubblica - mastica amaro Guida - sono garantiste: non si può sbatterlo dentro solo perché incontra Luciano Farinelli ad Ancona, Alfonso Failla a Marina di Carrara, Aurelio Chessa a Pistoia, Umberto Marzocchi a Savona; o perchè ospita al "Ponte della Ghisolfa" una sezione del CUB dei lavoratori dei trasporti milanesi. Calabresi però gli sta addosso: a Milano gli anarchici si agitano, trovano consensi tra gli studenti medi e nelle fabbriche all'apertura dei cancelli, non è raro incontrare operai anarchici che fanno volantinaggio. C'è poco da fare: con le leggi ordinarie la protesta cresce, l'autunno si preannunzia caldo e i sovversivi fanno il bello ed il cattivo tempo. Tornano a circolare libri "pericolosi" e vecchi giornali che trovano nuovi lettori. Gli anarchici milanesi sono così numerosi che a via Scaldasole, nel quartiere Ticinese in cui Pinelli è cresciuto, apre i battenti un secondo circolo. Pinelli dà fastidio. Il 25 aprile del 1969, quando due misteriosi attentati colpiscono la Fiera e la Stazione centrale, la polizia brancola nel buio. Chi mette le bombe? Calabresi non ha dubbi: occorre cercare tra i libertari. Guida, naturalmente, concorda. Non ci sono prove, non esistono indizi, e a destra non si cerca. Qualche anarchico finisce dentro e, mentre gli attentati si ripetono e nel mirino entrano anche i treni, si apre una campagna di criminalizzazione che leva un polverone e impedisce di ragionare freddamente su quello che sta accadendo.
Pinelli è nell'occhio del ciclone. Legge, è aggiornato e conosce la storia, perciò è pericoloso. Ricordando la "Croce nera", l'organizzazione anarchica che negli anni '20 ha operato in Russia per offrire solidarietà agli anarchici detenuti, il suo gruppo, "Bandiera nera", ha dato vita ad un'organizzazione che soccorre i compagni incarcerati e pubblica un bollettino di controinformazione. In questura è di casa: ci va per le rituali richieste di autorizzazione, lo convocano per le indagini di routine e il commissario Luigi Calabresi lo conosce così bene che il 12 dicembre del 1969, dopo l'attentato di piazza Fontana, va a cercarlo personalmente in via Scaldasole e lo invita a seguirlo in questura. Pinelli, non se ne preoccupa e non batte ciglio; balza in sella al suo motorino e segue il commissario senza fare storie: avanti la pantera della polizia, dietro l'ex partigiano, atteso in questura. Il piccolo corteo è l'immagine concreta della storia che è andata a rovescio: la legalità repubblicana in mano a chi tutelava l'ordine fascista. A condurre l'interrogatorio non è, come sarebbe stato logico e naturale, il partigiano. No. Interroga l'ex fascista e i morti di Piazza Fontana non hanno alcuna speranza di trovare giustizia.
Cosa accada in questura quando Pinelli ci mette piede è impossibile dire. Certezze però ce ne sono. La legge ha i suoi tempi e le sue regole e un "fermo di polizia" può durare fino a quarantott'ore: quanto basta per formulare un'accusa e ottenere così dal giudice istruttore un mandato d'arresto o per restituire senza colpo ferire la libertà al cittadino fermato. La notte del 16 dicembre 1969, ben oltre i limiti di legge, l'anarchico invece è ancora lì e, come accadde a Frezzi, anche la sua fine si avvolge nel mistero. Si è ucciso, sosterrà poi Marcello Guida, fatalmente schiacciato dall'evidenza di prove che - si scoprirà ben presto - nessuno ha mai trovato. Calabresi, il commissario, non saprà che dire: non c'era, affermerà, s'era allontanato. E nessuno spiegherà mai perché, contro la legge, Pinelli fosse tenuto prigioniero. Gerardo D'Ambrosio, allora giudice istruttore, oggi senatore nel Parlamento che ha scelto di ricordare le "vittime del terrorismo", mandò tutti assolti: un "malore attivo" aveva colto d'un tratto Pinelli. Un malore - sostenne il giudice - gli aveva consigliato di fare un salto dalla finestra del quarto piano per sfracellarsi al suolo nel cortile di una questura per la quale la Repubblica nata dalla Resistenza probabilmente non era ancora venuta alla luce.


Le notizie su cui sono ricostruite le vicende di Frezzi e Pinelli sono ricavate da fonti di archivio e dalle seguenti pubblicazioni: AA. VV. Le bombe di Milano, testimonianza di Giampaolo Pansa e altri, Guanda Parma 1970; Crocenera anarchica, Le bombe dei padroni, Edigraf, Catania, 1970; AA: VV:, La strage di Stato. Controinchiesta, Savonà e Savelli, , Roma 1970; Camilla Cederna, Pinelli, Una finestra sulla strage, Feltrinelli, Milano, 1971; Marco Sassano, Pinelli: un suicidio di Stato, Marsilio, Padova 1971; Marco Sassano, La politica della strage, Marsilio, Padova 1972; Marcello Del Bosco, Da Pinelli a Valpreda, Editori Riuniti, Roma 1972; Massimo Felisatti, Un delitto della polizia? Oggi, 2 maggio 1897, Romeo Frezzi si è suicidato nel carcere di San Michele, Bompiani, Milano, 1975; Licia Rognoni Pinelli, Una storia quasi soltanto mia, intervista di Piero. Scaramucci, Mondatori, Milano 1982; Giorgio Boatti, Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta, Feltrinelli, Milano 1993; Ferdinando Cordova, Alle radici del Malpaese: una storia italiana, Bulzoni, Roma, 1994; Adriano Sofri (a cura di) Il malore attivo dell'anarchico Pinelli: la sentenza del 1975 che chiuse l'istruttoria sulla morte del ferroviere Pino Pinelli, che entrò innocente in un ufficio al quarto piano della Questura di Milano, e ne uscì dalla finestra il 15 dicembre 1969, Sellerio, Palermo, 1996; Luciano Lanza, Bombe e segreti. Piazza Fontana 1969, Eleuthera, Milano, 1997; Paolo Finzi, Giuseppe Pinelli, voce curata per il Dizionario biografico degli anarchici italiani, Biblioteca Serantini, Pisa, II, 2004, p. 353-354.

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 Francesco Mele    - 24-06-2007
Grazie Geppino,
dovremo lavorare molto per le "nostre" giornate della memoria.
Farò leggere il tuo articolo a mia figlia e sarà un modo per depositare un pezzo di storia in buone mani.

con affetto

francesco