Le colpe e i rimedi
Vittorio Delmoro - 08-05-2007
Caro Roberto, Isa e tanti compagni... perduti.

Non so più se sia possibile parlare di scuola senza parlare di politica e dunque non entrerò nel merito delle questioni poste da Roberto nel suo intervento sull'autonomia scolastica del 25 aprile: le prenderò in toto per vere, avendo letto molte delle sue analisi spiegate con dovizia da ormai diverso tempo, nella speranza (sua) di attrarre nel dibattito qualcuno di quelli che contano, dibattito invece rifuggito come la peste sia da Alba Sasso che da Tiriticco, che hanno oramai etichettato Roberto come un provocatore cui non vale la pena di rispondere.

Credo sia anche per questo che Roberto non fa più oramai analisi oggettive e vira invece verso l'invettiva, prendendosela un po' con tutti e rivendicando la primogenitura delle sue previsioni : una specie di saggio che non ha perduto l'astio nell'acquisire il distacco portato dall'età e dalla pensione.

C'è una cosa che mi sorprende nell'intervento di Roberto: la sua insistenza sulle cariche, le poltrone, i distacchi e quant'altro che starebbero alla base delle scelte sindacali e politiche sulla scuola della sinistra; in questo molto simile all'ironico quadretto dipinto da Pietro Citati sulla Repubblica di domenica 6 maggio, che però ha il populismo di appioppare il vizietto a tutta intera la classe politica; un po' come il meritorio reportage di Icona su RAI 3 di qualche mese fa. Un astio, quello di Roberto, che fa temere che proprio a lui un destino cinico e baro abbia negato una di quelle prebende che in così tanti e così immeritatamente hanno invece avuto.

Siccome io sono sempre stato e sempre sarò solo un semplice maestro di scuola elementare, senza incarichi sindacali (eccetto l'RSU) e ho pure rimandato la pensione (pur avendone acquisito il diritto) per il timore di riavere troppo presto a che fare col Berlusconi, non potrò essere tacciato di alcuna delle nefandezze sparse a piene mani da Roberto per quello che sto per scrivere.

Anch'io, come Isa, come tanti di noi, come credo gran parte del popolo della scuola, ho votato per l'attuale centrosinistra, per uno dei partiti dell'Unione, nella speranza del cambiamento, anche, se non soprattutto, nel mondo della scuola. A distanza di un anno vedo alcuni elementi di questo cambiamento già attuati, alcuni solamente promessi, molti denegati dai fatti. Sono deluso? Certo! In primo luogo dalle scelte fatte in finanziaria: i tagli.

Nutro però ancora delle speranze, perché da Roberto non vedo emergere alcuna proposta percorribile.

Dal voto dello scorso aprile mi aspettavo una vittoria di almeno 4,5 punti percentuali, tanti ciò da poter governare il cambiamento senza particolari problemi; invece il voto ci ha riconsegnato un paese diviso esattamente a metà, nel quale dunque non ci sono (ripeto: NON CI SONO) i numeri per una politica di sinistra, per una politica scolastica come quella che vorremmo.

Per dirla tutta, non ci sarebbero stati neppure se il distacco dal centrodestra fosse stato maggiore, per il semplice fatto che una bella fetta di centrosinistra non condivide la nostra idea di scuola pubblica. E allora, Roberto?

Nella variegata gamma dell'offerta partitica ci sarà pure un partito che incarna la nostra idea di scuola, se non proprio quella di società o di futuro; penso a Rifondazione, ai Comunisti Italiani, ai Verdi, al Correntone DS; oppure, in ambito sindacale, ai Cobas, o alla Gilda (visto che Grazia Perrone sembra condividere le tesi di Renzetti). Basta dunque votare per costoro, iscriversi al sindacato, cominciare a fare campagne elettorali o sindacali dietro una qualche sigla e combattere con i vicini o con gli avversari come da anni (troppi) si sta facendo.

Tutto questo non certo per conquistare gli altri alla propria causa, fino a diventare maggioranza e avere dunque la forza (i numeri) per finalmente attuare le scelte che abbiamo sempre desiderato; macché, solo per pura testimonianza, per appartenenza, per il piacere di ritrovarsi fra persone, seppure poche, che la pensano come noi.

Da che ho memoria non c'è mai stato in Italia un governo che abbia fatto quello che io desideravo nella mia visione del mondo; qualche scelta l'ho condivisa, la stragrande maggioranza no. Allora che fare? Attendere altri 50 anni? Buttarmi a capofitto in un partitino, in un sindacatino (i diminutivi sono riferiti ai numeri) nella speranza che diventino oni? Fondare io, assieme a Roberto, a Isa, ad altre teste calde il partito, o il sindacato, che davvero incarni le aspettative dei tanti che a nostro avviso non aspettano altro?

Ecco il punto! Anche ammesso che la legge sull'autonomia scolastica del precedente governo di centrosinistra, insieme al 3+2 dell'università, alla riforma dei cicli berlingueriani, alla linea anglosassone che si vuole far seguire e a tutte le riforme degli ultimi anni, di cui quella morattiana non è che il prosieguo estremizzato, siano tutte sbagliate, quale sarebbe l'alternativa? E soprattutto : con quali strumenti portarla avanti? E ancora : su quali forze contare?

Perché siamo al governo, no? Se non proprio noi, i partiti che abbiamo votato, no? Se non proprio tutti i partiti, quelli a noi più vicini, no? Possiamo forse dire che un 10% di italiani sono dalla nostra parte, no? Il che fa almeno un 20% dell'Unione, no? A che serve?

Forse che i nostri rappresentanti di Rifondazione, dei Comunisti Italiani, dei Verdi, l'Alba Sasso, il Mussi sono riusciti a spostare qualcosa delle decisioni sulla Finanziaria? E riescono ora a fare qualcosa sui tagli, sui soldi ai supplenti, sul contratto?

Se siamo a questo punto è perché questi nostri rappresentanti stanno rinnegando le loro promesse elettorali?

Se siamo a questo punto è perché questi nostri rappresentanti ci hanno fregato e ora che si sono presi la poltrona se ne infischiano di noi?

Se siamo a questo punto è perché questi nostri rappresentanti non sanno nulla di scuola, avendola oramai abbandonata da anni?

Be', io credo proprio di no e credo dunque che le motivazioni per le quali, secondo Roberto, costoro si comportano così siano del tutto campate in aria.

Se Berlinguer, Maragliano, Vertecchi, De Mauro, Bassanini, Panini, Alba Sasso, CIDI, Legambiente, e ora Mussi, Bastico, Fioroni e FLC (per citare i responsabili di Renzetti) hanno voluto e fatto l'autonomia e altre cose simili è perché ci credevano, credevano (e credono) che questo sia bene per la scuola italiana, non certo per distruggerla e portarla alla rovina.

E il bello è che anche molti insegnanti ci hanno creduto e ci credono e non certo per seguire lo strano fenomeno dei progetti da fare per mettersi in evidenza e aspirare allo staff, quanto per il bene dei loro alunni e della scuola.

Ecco il punto (a un livello più basso) : gli avversari di Roberto, Isa e... compagni sono anche i colleghi, molti, probabilmente la maggioranza.

E' per questo che considero sterili le tirate di Roberto, umanizzate da Isa, in un sito come Fuoriregistro o in altri simili; le loro battaglie andrebbero fatte in altri luoghi : le scuole prima di tutto, a cominciare dalla propria; perché se la linea non passa neppure nella propria scuola, se non raggiunge la maggioranza addirittura là dove si è conosciuti e magari stimati...

Poi i luoghi virtuali e non dove si affollano gli avversari, a cominciare da quelli politici, del centrodestra e del centro del centrosinistra; non in luoghi e siti chiaramente di sinistra, dove appare non solo sterile ma anche troppo semplicistico prendersela con quelli che sostanzialmente stanno dalla stessa parte.

La battaglia è persa - scrive Cagliostro - e non vale dunque la pena continuare ad arrovellarsi: ha vinto la CGILscuola.

Fosse vero, trarrei un sospiro di sollievo; anche perché i supplenti avrebbero i loro soldi e sarebbero stati assunti in ruolo, noi tutti avremmo il nostro contratto, la riforma Moratti sarebbe stata già abrogata e magari si starebbe riponendo mano anche alla revisione della famigerata autonomia.

Purtroppo non è così, la CGIL scuola non ha vinto nulla, se non l'adesione del 30% dei lavoratori della scuola e le battaglie continuano tutte e ce ne sarà sempre una da combattere, anche quando (chissà mai) al governo siederà la sinistra sinistra.

Infatti, per concludere, la politica, anche quella scolastica, è frutto di una continua mediazione tra la forza che esprimi tu e quella che esprimono gli altri; in questo momento la nostra non è tanta.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Emanuela Cerutti    - 10-05-2007
Sai come si è difeso Sarkozy, nel corso del grand débat, dalla collera della sua avversaria di fronte all'ipocrisia di parole cui non seguono fatti? Accusandola di lasciarsi andare all'emotività.
Banalizzando il suo rifiuto dell'ingiustizia e riducendolo a indegna crisi di nervi. Allontanando il discorso dal piano delle idee e facendolo scivolare lungo la scorciatoia delle facili personalizzazioni.
Ci ripensavo leggendo il tuo pezzo, e riflettendo su quell'antica storia di travi e pagliuzze, per la quale si inveisce sull'altrui invettiva.
Non so bene come mai "siamo a questo punto", ma alle tue domande risponderei sì: sì, molte promesse elettorali sono state disattese; sì, di scuola avrebbe potuto occuparsi chi ne sapeva qualcosa in più; sì, il potere è una grande attrazione, che si tratti di partito, di sindacato, di dirigenza, di ente o di associazione.
Ma forse "a questo punto" ci siamo anche perchè siamo davvero poco capaci di ascolto, e troppo di difesa del "proprio", con armi non sempre lecite, in un dibattito democratico.
A te però non preoccupa la liceità, ti interroghi piuttosto sull'efficacia: a nulla porta parlare di queste cose in una comunità virtuale, occorre agire laddove si è, laddove le cose possono cambiare.
Eppure abbiamo imparato che per agire localmente occorre pensare globalmente; che non ci sono luoghi più o meno importanti di altri per l'esercizio di una cittadinanza responsabile; e che è nel confronto sulle idee che si sviluppano convinzioni e coerenze.
Anche a costo di sforare la rete protettiva della netiquette - di cui neppure un adulto può fare a meno - purchè si arrivi a costruire un quadro per lo meno chiaro di ciò che ci accade. E se non saremo capaci di arrivarci, ce ne staremo zitti.