Scrive Giulietto Chiesa nell'editoriale di presentazione della nuova rivista
aideM:
"Il virtuale che questo sistema informativo produce ... è un mutamento qualitativo dei processi mentali. ...Le conseguenze deleterie sono macro, solo perché contemporaneamente si manifestano sul piano di ogni singola psicologia individuale. .... A noi pare che queste questioni, nonostante la loro enormità non siano ancora viste e comprese.
Non solo a sinistra, ma in diversi strati intellettuali della società ... del mondo del lavoro, delle organizzazioni sindacali, di tutti i luoghi dove si affronta il problema della formazione delle menti continuano a permanere visioni arretrate, insufficienti, subalterne, che impediscono lo sviluppo di un'azione di controllo sociale e di una legislazione adeguata ai tempi. aideM si propone come la sede di approfondimento e di ricerca delle soluzioni per tutti gli anelli della catena produttivo-ideativa della comunicazione".
Parole chiare che condivido e sottoscrivo, soprattutto nel merito del giudizio circa lo scarto esistente tra l'enormità delle questioni in giuoco (mutamento qualitativo dei processi mentali con ricaduta sulla psicologia individuale) e la fragilità-subalternità di buona parte delle risposte di coloro che nei vari ambiti della catena produttivo-ideativa, cercano in qualche modo di opporsi all'attuale stato di cose. Per quanto mi riguarda in questa catena occupo due anelli, la scuola (insegno storia e filosofia) e l'attività editoriale ( sono autore di manuali e saggi rivolti soprattutto alla scuola).
La subalternità culturale di cui parla Giulietto Chiesa non si manifesta tanto sul piano delle analisi teoriche generali (scritti, opere, pubblici dibattiti...) che indagano il complesso fenomeno della globalizzazione e le sue ricadute sulle dinamiche sociali, sull'informazione, sulla scuola ecc... . Sulla questione della scuola, ad esempio, non mancano le analisi che dimostrano come le riforme di questi anni abbiano creato un modello-scuola che impedisce anziché favorire la maturazione critica dei giovani e quindi la capacità di selezionare il fiume di informazioni e sollecitazioni a cui sono sottoposti. Non mancano, se pure minoritarie, dure prese di posizione contro l'aziendalismo che ha inquinato la scuola alla sorgente. Il problema, però, è che questo universo di analisi, denunce e appelli si esaurisce sul piano teorico generale e non si traduce in un'individuazione pratica delle modalità attraverso cui ciò che si denuncia come fenomeno generale da rimuovere (aziendalizzazione, impoverimento del sapere, ecc...) si trasmette poi nella scuola: non si traduce, cioè, nell'individuazione di quelle pratiche didattiche, organizzative, e pseudoculturali che di fatto minano la possibilità stessa della scuola di dare ai giovani una formazione critica. E' come se la capacità di contrastare lo svuotamento culturale della scuola (lucidamente individuato a livello teorico), svanisse man mano che ci si avvicina al luogo dove si materializza tale svuotamento, con l'effetto di non riuscire a mobilitare energie e attivare opposizioni nella pratica dell'insegnamento. La protesta, quando c'è, tende ad esaurirsi nelle forme esteriori dello sciopero e della manifestazione, senza intaccare, all'interno, le modalità di trasmissione del sapere imposte dal devastante modello della scuola-azienda. Questa incapacità pratica a modificare almeno dove è possibile lo stato di cose esistente, si traduce infine in rassegnazione e lamento. Basti un solo esempio per verificare quanto detto. Sono gli insegnanti ad adottare i libri di testo: questo potere reale di pressione verso le Case Editrici, dovrebbe essere esercitato allo scopo di orientare gli Editori a produrre testi scolastici concepiti per l'homo sapiens e non per l'homo videns. Coralmente si denuncia la superficialità dei giovani, la povertà del loro linguaggio e l'attitudine a "guardare" anziché a leggere, dall'altro, coralmente, si adottano libri sempre più superficiali, poveri e da "guardare", alimentando una produzione libraria che in un circolo vizioso amplifica ciò che viene denunciato come un male a cui porre rimedio. Coralmente si denuncia la scarsa capacità di concentrazione dei giovani, dall'altro si alimentano pratiche didattiche e continue interruzioni dell'insegnamento che rinforzano il male di cui ci si lamenta.
Nella scuola manca una cosciente resistenza culturale e la convinzione che solo attraverso la trasmissione di solidi contenuti disciplinari, di percorsi di studio di lungo termine sia possibile mantenere in vita un patrimonio di conoscenze e un modello di intelligenza critica non sottomesso ai comandi del lavoro informatizzato-intermittente e alla pratica del consumo. Del resto, i caratteri essenziali della scuola sono stati alterati in profondità e hanno prodotto nei fatti una dequalificazione del lavoro docente con tutte le conseguenze del caso. Purtroppo, nella sostanza, i docenti hanno accettato tutto questo, e collaborano alla propria degradazione culturale. Le forze vive che ancora resistono non "pesano" quanto dovrebbero, perché operano nel totale isolamento. Un punto qualificante del programma di Megachip e ora di aideM dovrebbe essere proprio quello di far emergere questa linea di resistenza culturale nient'affatto subalterna, ma a cui manca voce e un qualche significativo punto di riferimento.
Sarebbe un grave errore sottovalutare la "questione culturale" che attraversa anche la scuola, perché la condizione necessaria anche se non sufficiente, per avere lettori attenti e critici, è che questi si siano formati con il metodo critico di costruzione del sapere, disponendo di contenuti, categorie e linguaggi tali da metterli in grado di esercitare un controllo intelligente sulla gigantesca massa di non-informazione che ci viene propinata. . Questo, a mio parere, è il punto di incontro-collaborazione che connette l'"anello" scuola, agli altri anelli della catena produttivo-ideativa, tenuti insieme dal comune obiettivo di mantenere in vita l'homo sapiens.
"Alfabetizzazione al linguaggio dei media": una nuova materia scolastica?
Le iniziative di sensibilizzazione nella scuola sulle tematiche della comunicazione, i percorsi di educazione critica al linguaggio televisivo, dei media ecc ..., sono sacrosanti, urgenti e necessari. Detto questo, c'è però da aprire una riflessione allo scopo di rendere queste iniziative, in prospettiva, ancora più incisive, e soprattutto tali da non confondersi con la pioggia di analoghe iniziative (su altre questioni) che con grande frequenza coinvolgono gli studenti.
In considerazione dell'analfabetismo imperante circa la lettura dei linguaggi mediatici, da più parti si auspica l'introduzione nella scuola di una disciplina trasversale "
Alfabetizzazione al linguaggio dei media" (vedi
documento di Megachip sulla scuola), o, anche il suo riconoscimento come vera e propria disciplina scolastica. Riflettiamo sulla questione inquadrandola nell'attuale contesto. Fin dai tempi del ministro Berlinguer uno dei grimaldelli attraverso cui è stata scardinata l'istituzione scuola (riducendo drasticamente la possibilità di formare intelligenze critiche) è stato quello di proporre come obiettivo esplicito il superamento delle materie tradizionali, al cui insegnamento viene dedicato sempre meno tempo, e rispetto al quale non si ritiene importante che venga svolto da insegnanti preparati. Se la scuola perde questa sua specifica caratteristica (la formazione critica dei giovani attraverso l'insegnamento di poche specifiche materie e la matura assimilazione dei relativi contenuti disciplinari) si trasforma, come già accade, in un contenitore disponibile ad essere riempito con le più diverse attività. Se a questa disponibilità strutturale aggiungiamo i fenomeni di disgregazione sociale prodotti da una società che riconosce come unico valore il denaro e il consumo, il circolo si chiude, perché la scuola appare come l'unica "agenzia" di socializzazione superstite, e diventa terreno d'incursione di tutto e di tutti: la legalità, nei fatti, è una parola vuota e un intralcio al mondo degli affari, ma si pretende che la scuola dedichi un'ora la settimana all' "Educazione alla legalità"; si producono auto e moto che raggiungono velocità deliranti, muoiono migliaia di giovani a causa della velocità, ma si pretende non che la scuola faccia capire le ragioni per cui tolleriamo questo sterminio quotidiano, ma che dedichi un'ora la settimana all' "Educazione stradale"; l'alimentazione e lo stile di vita dei giovani segue le mode nocive imposte dal consumo? La risposta è pronta: il ministero - la notizia è fresca - intende "introdurre nei programmi scolastici una nuova materia: l'educazione alla salute". Gli imprenditori vogliono far conoscere il mondo dell'impresa (dal loro punto di vista) agli studenti? Nessun problema: "In Toscana, alle medie, tutti a lezione di impresa" recita Italia oggi (8.2.07): "L'iniziativa prevede 15 incontri con gli studenti delle classi terza, quarta e quinta delle superiori, tenuti da esperti e imprenditori toscani su tematiche quali innovazione, ricerca, creatività, fare impresa..." e altre analoghe amenità.
Mi domando e domando: una scuola su cui grandinano iniziative di tutti i tipi (per lo più ipocrite e ideologiche) dove trova il tempo per insegnare attraverso la fatica dello studio le discipline che le sono proprie (storia, matematica, italiano, geografia...)? Al di là delle intenzioni soggettive dei promotori dei tanti progetti, si delinea come effetto pratico una scuola che non è più scuola, ma centro di addestramento al consumo.
Nel quadro attuale delle scuole autonome, si pone poi un ulteriore problema: nell'ipotesi che l' Alfabetizzazione al linguaggio dei media venisse riconosciuta come nuova materia, chi la gestirebbe e chi formerebbe i "formatori"? Sono convinto che nell'epoca del marketing e delle scuole autonome in cerca di finanziamenti (cioè dell'accattonaggio programmato) un boccone così appetitoso attirerebbe subito l'attenzione delle centrali del consumo, nel caso specifico del consumo di notizie e di pubblicità. Insomma, detto in battuta, così come temo che l'educazione all'alimentazione finirebbe per essere gestita dalla Kraft, temo che l'educazione ai linguaggi della pubblicità e dei media sarebbe gestita da Mediaset e non da Megachip!
Per evitare allora di essere risucchiati in un gorgo incontrollabile, proporrei di lavorare ad un progetto più articolato: da un lato mantenere attive nelle scuole le proposte di percorsi critici di lettura dei linguaggi dei media, dall'altro connettere e integrare questi percorsi con quei contenuti disciplinari (storici, tecnici, filosofici...) che possono fungere da base culturale per inquadrare il fenomeno della comunicazione (e la galassia di questioni connesse) in contesti più ampi. Ne uscirebbero rinforzati la scuola - che assolverebbe la sua specifica missione - , le iniziative in oggetto perché maggiormente valorizzate, e infine, i giovani che scoprirebbero, ad esempio, che un dialogo di Platone può essere un formidabile strumento di lettura critica della realtà, che si intreccia con un corso di aggiornamento sulla comunicazione e la pubblicità.
Esperienze e proposte in tal senso non mancano e sarebbe auspicabile aprire una collaborazione operativa che entrasse nel merito delle questioni sollevate.
Fabio Bentivoglio
Fabio Bentivoglio è nato a Cremona il 24.2.1951. Ha studiato a Pisa dove si è laureato in filosofia nel 1975. Vive in questa città dove insegna storia e filosofia presso il Liceo scientifico "Ulisse Dini". Ha pubblicato con Massimo Bontempelli un manuale di filosofia per i Licei Il senso dell'essere nelle culture occidentali , 3 voll.,Trevisini, Milano, 1992 e un saggio sul pensiero dialettico antico Percorsi di verità della dialettica antica , Spes, Milazzo, 1996. Le radici della memoria (con Cristiana Vettori), corso di storia antica e medioevale per il biennio dei Licei, 2 voll., Sansoni, Firenze 1998. Con la CRT ha pubblicato: Giustizia, conoscenza e felicità , un percorso di lettura della Repubblica di Platone, destinato a insegnanti e studenti. Il disagio dell'inciviltà. Un insegnante nella scuola dell'autonomia , 2000. Aristotele. Metafisica. Scienza, Natura e destino dell'uomo ,2002.