Intervista al famoso premio Nobel per la matematica
Una vita tra intuizioni geniali e anni di malattia mentale
Tra gli ospiti di fama mondiale del Festival della matematica di Roma, domenica 18.3 ci sarà John Nash, premio Nobel dalla storia personale complessa e affascinante raccontata in un film altrettanto famoso. Sarà una delle sue rare uscite pubbliche. Ad intervistarlo uno dei più noti matematici italiani, Piergiorgio Odifreddi, del quale possiamo pubblicare stralci di una delle poche interviste a Nash.
Un
libro di Sylvia Nasar e un
film di Ron Howard, entrambi intitolati "A beautiful mind" e di grande successo, hanno raccontato la strana storia di John Nash, il genio che ha legato il suo nome a una serie di risultati ottenuti nel giro di una decina d'anni: un paio di loro gli sono valsi il premio Nobel per l'Economia nel 1994.
È una tragica ironia del destino che un uomo che ha vissuto venticinque anni da squilibrato, soffrendo di schizofrenia paranoide e credendosi l'Imperatore dell'Antartide e il Messia, sia passato alla storia per aver introdotto la nozione di equilibrio oggi universalmente usata nella Teoria dei giochi. Così, parlando a ruota libera con questa "mente meravigliosa", abbiamo ripercorso alcune tappe della sua singolare vicenda scientifica e umana.
Lei è religioso?
"Ho cambiato varie volte idea, quand'ero mentalmente disturbato. Si rischia di uscire di testa pensando troppo alla religione, soprattutto se si fa scienza e si cerca di tenere fede e ragione in compartimenti separati. Un'osservazione elementare, però, è che le varie religioni sono logicamente incompatibili fra loro: non possono dunque essere tutte vere".
La stessa cosa vale per la politica, di cui lei ha scritto che è un inutile spreco di energia intellettuale.
"Mi riferivo soltanto alla mia esperienza personale, influenzata dalla malattia mentale: ho cominciato a guarire quando ho rifiutato alcune delle mie illusioni in questo campo. La politica non è certo uno spreco di energie per i politici di professione!".
Le ha parlato dei suoi incontri con von Neumann, ma qui a Princeton ha anche conosciuto anche Einstein.
"Quando sono andato da lui, un suo assistente -John Kemeny- gli stette sempre vicino e in silenzio, come una guardia del corpo. Probabilmente, Einstein incontrava un sacco di matti e aveva bisogno di un minimo di protezione".
E di cosa era andato a parlargli?
"Lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali delle galassie lontane, di solito, si interpreta come un effetto dell'espansione dell'universo. A me era venuta l'idea che si potesse invece interpretare come una perdita di energia gravitazionale della luce, più o meno come una barca che si muove nell'acqua perde energia producendo onde".
E Einstein come la prese?
"La cosa non gli piacque troppo, e mi disse: 'giovanotto, credo che le farebbe bene studiare un po' di più. Non so se la mia fosse una buona idea, ma certamente in seguito anche altri l'hanno avuta e ci hanno scritto su".
Dopo la laurea lei ha lavorato per la Rand Corporation, che era un covo di reazionari.
"Sì, per tre estati. Era sponsorizzata dall'Aviazione e costituiva uno dei modi indiretti attraverso il quale il governo finanziava la ricerca: invece di dare i soldi direttamente agli scienziati, li dava ai militari che poi li davano agli scienziati".
Non è un po' sospetto che la ricerca venga fatta con i finanziamenti militari?
"Non è solo sospetto, ma anche paradossale".
I suoi interessi matematici sembrano essere stati molto estesi, e anche un po' incompatibili, nel senso che l'intuizione logica e quella geometrica sono molto diverse. Come è riuscito a conciliarli?
"In fondo, io sono un analista. Il problema dell'immersione era sostanzialmente analitico. In seguito mi sono interessato di equazioni differenziali alle derivate parziali".
Trovando il grande teorema che lei e De Giorgi avete dimostrato indipendentemente.
"Sì, lui è stato il mio rivale. A proposito, ecco un bell'esempio di un matematico religioso! Anzi, un esempio estremo di religiosità, quasi da monaco".
E il fatto che anche lui avesse ottenuto lo stesso risultato le costò la medaglia Fields.
"Non solo a me, anche a lui".
Ma lei sembra esserci stato più vicino, nel 1958. Ci fu addirittura uno spareggio con Thom, no?
"Mah, così si dice. Nel 1962 sarebbe stato più ovvio, ma io ero già disturbato mentalmente. Così la diedero a Hormander: uno svedese, in un congresso in Svezia ...".
Così lei ha perso la medaglia Fields, ma ha vinto il premio Nobel. Avrebbe preferito il contrario, se avesse potuto scegliere?
"La medaglia Fields sarebbe stata molto prima, avrebbe cambiato il corso della mia vita. Se fossi stato sano nel 1962, avrei potuto prenderla: ero ancora nei limiti d'età. Ma il mio lavoro non fu immediatamente riconosciuto: nemmeno le cose più facilmente comprensibili, come il problema dell'immersione. In seguito, si cominciarono ad applicare i miei metodi in altri campi, ad esempio la stabilità del sistema solare con il teorema di Kolmogorov, Arnold e Moser...".
È vero che a quel tempo ha cercato di risolvere l'Ipotesi di Riemann?
"Questo lo dice il film. La funzione Zeta è certamente affascinante, ma io non ho mai seriamente attaccato il problema, nemmeno quand'ero malato. La teoria quantistica, quella sì. Ma probabilmente era un'illusione, una mancanza di buon senso, anche quando non ero legalmente matto".
Siamo tornati alla legalità.
"Dovrebbe essere chiaro che la malattia mentale è un concetto legale".
Ad esempio, uno dice che fa miracoli e, invece di matto, lo chiamano santo!
"Più che dirlo, bisogna riuscire a farlo dire a qualcun altro: non "io faccio miracoli", ma "lui fa miracoli". Meglio poi se a dirlo è un cardinale o un vescovo, con voce ispirata".
Negli anni '70, in Italia il movimento antipsichiatrico è riuscito a far chiudere i manicomi.
"Tutti?"
Sì, tutti.
"Saranno però rimasti i reparti psichiatrici degli ospedali normali".
Molti malati mentali sono stati effettivamente dimessi.
"Negli Stati Uniti, la medicina psichiatrica è diventata un'industria: molta gente viene internata anche se non è veramente pericolosa. Non dovrebbe invece essere possibile senza il consenso del paziente".
Lei ha sempre cercato di opporsi legalmente ai suoi internamenti.
"La prima volta sono riuscito a farmi dimettere. Le altre volte ho tentato, ma senza grandi risultati. Credo che l'effetto sia stato duplice: può aver impedito certi eccessi di cure, ma aver prolungato la durata della detenzione".
Lei ha detto esplicitamente di aver subìto torture.
"Si possono interpretatare i coma insulinici e gli elettroshock come torture. Ma avvennero appunto in un periodo in cui non avevo un avvocato".
Parlando più in generale, ci sono aspetti patologici nella Matematica?
"Certamente c'è una mistica dei numeri, dalla quale a volte mi sono lasciato anch'io trascinare. Un musulmano mi ha mandato un libro in cui si cerca di mostrare che nel Corano c'è una struttura numerica nascosta, basata sul numero primo 19. Poi c'è il codice della Bibbia, che permette di ritrovare riferimenti a cose già accadute, benché mai profezie di cose che devono ancora accadere: non sarebbe male, trovare una vera profezia!".
Il Socrate di Platone sentiva delle voci, che gli dicevano di non fare certe cose.
"Durante la mia malattia anch'io sentivo delle voci, come quelle che si sentono nei sogni. Agli inizi avevo solo idee allucinatorie, ma dopo due o tre anni sono arrivate queste voci, che reagivano criticamente ai miei pensieri e sono continuate per vari anni. Alla fine, ho capito che erano solo una parte della mia mente: un prodotto del subconscio, o un percorso alternativo della coscienza".
E poi hanno smesso?
"Più che altro le ho soppresse io. Ho deciso che non volevo più sentirle o esserne influenzato".
La rappresentazione delle voci che è stata fatta nel film l'ha soddisfatta?
"Era un modo di rendere visibile e comprensibile queste cose. Sarebbe difficile farlo in maniera scientificamente accurata, perché non si può vedere dentro la mente di qualcuno".
Ma lei, che ha visto dentro alla sua, non potrebbe scriverne?
"Quando sarà il momento giusto per farlo, probabilmente avrò l'Alzheimer e non ricorderò più ciò che dovrei raccontare".
Piergiorgio Odifreddia
Giuseppe Aragno - 20-03-2007
|
Ci sono cose di fronte alle quali ti fermi. Quest'uomo e la sua storia stanno tra il buio di un abisso e la luce di una vetta immacolata. Un uomo incredibilmente vero, con la più grande forza, la più profonda debolezza e la luce intensa del pensiero. Poi, certo, ognuno vede le cose come gli consente la sua esperienza personale. Io ci vedo la fatica di vivere dignitosamente.
|