Spari alle spalle dei piu' giovani
Vincenzo Andraous - 17-03-2007
In questi giorni i legislatori si incontrano per varare un nuovo disegno di legge, il tentativo in atto è quello di riformare la legge Fini-Giovanardi ereditata dal governo precedente.
Da molti mesi rimbombano nelle orecchie autocelebrazioni e autoreferenzialità, pilotate da ideologie cadute in disuso, tarlate dalle storie personali di tanti uomini devastati e a volte "terminati" dalle sostanze.
Si fa strada il messaggio che la droga sia un bene di consumo normale, a tal punto da pensare che assumere stupefacenti sia un passatempo accettabile, tutto all'interno di un'accezione diventata normalità.
Accapigliarsi tra un incompreso uso e abuso ed una ipotetica riduzione del danno, serve solamente a tentare di spostare l'asse di un coordinamento sociale in fibrillazione, dimenticando che a mezzo ci stanno le persone, i vissuti devastati e devastanti di uomini piegati, peggio, scomparsi.
Pezzi di vita immatura ammucchiata addosso a giovanissimi inconsapevoli del cappio al collo, costruito da una diseducazione che è prettamente genitoriale, e poi professorale, a tal punto da divenire cultura della fatica non eccessiva, della responsabilità che è sempre altrui, del male minore, sempre che ciò accada un passo, meglio due, più in là della nostra dimora illusoriamente intoccabile.
Non esistono altisonanti carichi scientifici, titoli, e ruoli ben definiti, che possono allontanare dalla consueta morte che attende alla curva dei rischi estremi, non esiste un Dio altro, altero e severo, che può elargire comandi salvifici, non ci possono essere davvero titubanze, su questo argomento, non sopravvive alcuna speculazione filosofica.
Non è possibile entrare in una scuola e leggere negli sguardi dei ragazzi l'inquietudine della colpa, anestetizzata dallo scampato pericolo, perché stamattina il coma etilico è toccato a un altro.
Non è possibile incontrare quel giovane in una comunità, ridotto a un ammasso di niente, sotto vuoto spinto, e con la pazienza della speranza accoglierlo, accompagnarlo, in un percorso di ricostruzione e di riconciliazione, ciò attraverso l'esperienza dei fallimenti non certamente delle parole dette in fretta per non dire niente.
A una Giustizia giusta non appartiene la sanzione punitiva nei riguardi di una tossicodipendenza che annienta dignità e capacità di amare, aiutare non può significare incarcerare né mutilare ulteriormente la personalità più fragile.
Chi scrive non è maestro né educatore, neppure possiede grandi consigli da donare, o intuizioni geniali per arginare questo sgretolamento sociale, di certo però non riesco a pensare una droga compatibile, o collettivamente tollerabile, forse è necessario più semplicemente non tacere, non avere timori ad andare controtendenza, impattando senza indugio le icone della trasgressione, in forza delle tragedie che ci portiamo addosso, memoria indelebile per smetterla di sparare alle spalle dei più giovani.

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