Tolleranza - Credibilità 0-0
Comitati Insegnanti Precari - 03-03-2007
Posseduta da demoni o popolata da alunni e professori posseduti. E' questa la scuola raccontata da stampa e TV. Al traino, una pletora di tuttologi moralisti, pronti a domandarsi se vada chiusa o esorcizzata.

Nel dubbio, andrebbe sostenuta e rilanciata. Invece la cronaca ci narra di quotidiane gare a suon di molestie sessuali, violenze e pestaggi a cattedre e banchi contrapposti. I soli risultati sono l'ulteriore e generalizzato screditamento dell'insegnante e la contemporanea corsa all'emulazione al ribasso dei comportamenti giovanili. Si obietterà che il diritto di cronaca è inviolabile mentre l'immancabile corollario di linciaggi e giudizi sommari danno voce alla libertà d'opinione e al comune sentire. A quanti, però, viene il sospetto che la scuola, la strada, lo stadio o un qualunque altro contenitore non facciano altro che raccogliere quanto i singoli sono in grado di offrire? Miserie spicciole, frustrazioni e rabbie individuali sono tutte lì in attesa di sommarsi, deflagrare ed amplificarsi nel luogo comune, quello di tutti e, per questo, di nessuno. Certo indigna sapere che dove si gioca ci si ammazza, dove si educa si bulleggia. La cronaca riporta l'accaduto e, per forza di cose, trae bilanci affrettati e giudizi sommari. E poi? Spenti i riflettori sul fatto cruento, appagata ogni morbosa curiosità ed esternate tutte le più bacchettone frasi di circostanza, si torna alla normalità. Quella anomala e irrimediata, s'intende. Reazioni umorali a parte, poche analisi ponderate e serie, nessun rimedio efficace ma troppe strumentalizzazioni di parte.

Quel che resta nell'immaginario collettivo è la supplente che concede prestazioni sessuali ai propri alunni pur di interessarli o l'insegnante di sostegno che reagisce all'irrequietezza di un bambino procurandogli un taglio alla lingua. Fatti deplorabili, certo. Perseguibili, ci mancherebbe. E poi? Al di là del facile giudizio sull'inesperienza e inadeguatezza delle responsabili, come si affronta la questione educativa? Cosa si dice sul disagio individuale degli alunni di oggi, sulla difficoltà di aggregarli a costituire un gruppo classe, a fornire loro spazi confortevoli e strutture idonee, personale motivato, preparato e aggiornato?

Quanto profonda e diffusa sia la difficoltà delle famiglie nel provvedere all'educazione e gestione dei ragazzi è un dato inoppugnabile ma difficilmente verificabile. Non emerge perché non deve trasparire al di fuori delle mura domestiche e perché, a meno di casi tragici, non fa notizia. A scuola, dove non sussiste il vincolo di sangue, quelle difficoltà si sommano per 30 e più, spesso montano come una sorta di panna impazzita.

Buon senso vorrebbe che si limitasse il numero degli alunni così da agevolare la gestione della classe. Invece i ministri dell'istruzione affollano sempre più le classi per ridurle di numero e contrarre la spesa. Già, perché la scuola, a sinistra come a destra, è intesa solo come spesa "da razionalizzare" (leggi ridurre) mai un investimento su cui puntare.

Buon senso vorrebbe, ancora, che i precari non fossero - come di fatto sono - concentrati nelle scuole di frontiera, quelle dalle quale i docenti di ruolo e con un minimo di anzianità di servizio fuggono. In tal modo si sottraggono alle platee scolastiche del disagio gli insegnanti con maggiore esperienza, quelli che saprebbero cosa fare e quando farlo. Invece, proprio lì vengono catapultati i novizi, quelli meno temprati e con poca autorevolezza. In tal modo la precarietà esistenziale degli studenti più disagiati si salda con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti: privando, i primi, dei necessari punti certi di riferimento e, i secondi, della possibilità di calibrare interventi didattici più mirati e di lungo periodo. In un siffatto regime lavorativo, precarie diventano, inevitabilmente, le loro parole, le loro azioni, i rapporti con i loro alunni sempre nuovi e le intenzioni che li accompagnano - se tutto va per il meglio - per otto mesi all'anno. Si vanifica ogni possibilità per l'insegnante di accreditarsi ed allacciare interazioni costruttive, combattere l'indifferenza verso l'autorità - il nuovo virus che sembra aver colpito la nuova generazione - dare continuità e qualità ai percorsi di crescita. In loro traspare la precarietà come unica e sola certezza, quella che il ragazzo percepisce come legame effimero, o peggio, come purgatorio professionale o rifiuto potenziale in attesa di qualcosa di meglio. E così i dilettanti allo sbaraglio della cattedra ingaggiano la loro "corrida quotidiana" con tutte le fragilità, le angosce e le mortificazione che conosciamo. Al di là dell'affinità fonetica, la qualità è incompatibile con la precarietà. Chi affiderebbe i più bisognosi di cure ai neolaureati appena usciti dall'università, dotati solo del sapere manualistico?

Per non parlare delle riforme. Sempre giocate al ribasso, per risparmiare risorse, per tagliare classi (14.500 solo quest'anno, nonostante 28.000 alunni in più) e cattedre, per ridurre tempi e prospettive. Riforme vendute con etichette patinate ed accattivanti dietro le quali c'è poco o nulla. Così, in rapida progressione: i rimandi e gli esami di riparazione sono stati rimpiazzati con la promozione per tutti, col 6 nero o quello rosso; il business delle lezioni private col mercimonio dei corsi di recupero e degli sportelli didattici; il rispetto del programma con la libertà di fare di tutto e niente; a cui corrisponde il travaso delle risorse dalle attività didattiche ordinarie ai più bizzarri progetti extracurriculari, spesso utili solo al profitto dei dirigenti scolastici e dei loro protetti; e molto altro ancora.

E che dire dell'insegnante?

Una professione, quella docente, sempre più ghettizzata. Un tempo apprezzata e socialmente riconosciuta, oggi marginalizzata e disincentivata ad arte, quando non addirittura linciata. Il docente, nell'oleografia più recente, è un precario, sottopagato e sottostimato, quando non addirittura depravato, incapace, ignorante, demotivato, fannullone e psicopatico. Dagli editoriali dei saccenti tuttologi ai video della rete, dai reportage scandalistici alle congiure genitoriali, ogni occasione è buona per la lapidazione professionale. Così non resta che la fuga dalla scuola. Fuga da quel luogo dove, tra l'ignavia collettiva, non si educa e non si forma ma si intrattiene con ogni amenità, in nome della varietà ed appetibilità dell'offerta formativa. Un luogo nel quale i diritti sono solo dalla parte degli alunni e delle loro famiglie, le responsabilità tutte dall'altra parte. Degli esempi? Diritto è quello di ricevere spiegazioni curriculari, aggiuntive, integrative, individualizzate e di recupero, a prescindere dalla frequenza, dall'attenzione e dall'applicazione dello studente. E non finisce qui. La verifica deve essere programmata e facilitata, corretta con ogni riguardo e valutata con tutta la generosità possibile. E se i risultati non dovessero essere sufficienti, la responsabilità esclusiva è tutta del docente. In quel caso faranno quadrato studenti, genitori e dirigenti scolastici a chiedergli conto del suo - del docente, avete capito bene - insuccesso didattico. A poco gli servirà obiettare che la parte prevalente della classe ha raggiunto gli obiettivi fissati, che in taluni casi i risultati sono stati eccellenti. Nell'epoca del subito a tutti ogni insufficienza è una sua macchia professionale. E visto che questo è oramai percepito dal gruppo come un'arma, non è difficile che la classe si ricompatti nel <>. Già, tanto poi la promozione, volente o nolente, arriva a tutti. Altrimenti la scuola perde alunni, quindi cattedre, fondi, ecc. ecc.. Tutto ciò a riprova che gli studenti non sono più i fruitori di un'istituzione, che riconosce diritti ma richiede doveri, ma dei meri consumatori. Ed in quanto clienti, per definizione, hanno sempre ragione.

Una riprova è il malcostume dei ricorsi al TAR. Non c'è scrutinio finale che non sia condizionato dal timore di essere ribaltato dal genitore pronto ad appellarsi contro i risultati scolastici. Oggi, scuola e famiglie sono impegnate, da un lato, ad evitare di essere impallinati dal giudizio amministrativo e, dall'altro, a scovare il cavillo utile per scroccare una promozione immeritata, come malintesa e miserabile dimostrazione di affetto del genitore verso il figlio - per definizione - ingiustamente penalizzato.

Chissà quanti di quei genitori hanno fatto fino in fondo la loro parte, dapprima, soppesando le reali possibilità dei propri figli per orientarli verso percorsi sostenibili ed agendo poi sui loro deficit motivazionali e comportamentali. Quante altre volte, invece, il ragazzo è stato abbandonato ai media - televisione in primis - per essere educato, prima della scuola, all'effimero, al violento, all'insulso, al triviale? Quando la famiglia era un nucleo abitato e stabile e prima dell'avvento della televisione spazzatura o commerciale, la scuola era altro, sì o no? Le molestie e le violenze sarebbero così ricorrenti se la TV non riversasse programmi porno per tutta la notte nelle stanze degli adolescenti teleprovvisti? Quei programmi, in aggiunta a quelli con tette e sederi a profusione, ostentati con fare sguaiatamente ammiccante dai canali commerciali, spronano all'emulazione, ma anche a considerare l'altro come cosa, niente di più che un oggetto da usare e di cui abusare, da soli o in gruppo e, se non basta, da mostrare al mondo come preda catturata e posseduta. Quanti PC e quanti telefonini in dotazione degli adolescenti hanno opportuni filtri per inibire la connessione a siti "a rischio" e alla ricezione di materiale inadatto?

Al giovane che aggredisce i genitori ed ottiene quello che vuole, insegue un poliziotto e irride o infierisce su un'insegnante occorre contrapporre un argine fatto di "sani principi", applicati con coerenza e fermezza da autentici maestri, autorevoli comunque ed autoritari quando serve. Occorre il rispetto dei ruoli di ciascuno e l'osservanza di regole certe e condivise, alle quali facciano seguito, solo quando meritate, gratificazioni in forma commisurata e, in caso contrario, provvedimenti coerenti e conseguenti. Ripristinare la responsabilità del singolo, ribadendo che l'associazione in gruppo non è mai una attenuante ma l'aggravante che accresce la responsabilità di ognuno in maniera proporzionale all'aumento potenziale del danno arrecabile.

In sintesi, la formazione, la sicurezza e la competitività passano attraverso l'azione educativa delle agenzie preposte. La scuola per suo conto dovrà avvalersi di operatori preparati, motivati e perennemente aggiornati, ma anche sostenuti, apprezzati ed incentivati a svolgere un ruolo irrinunciabile e delicato come pochi. Bisogna che la scuola si riappropri di tutte le proprie funzioni, responsabilità e diritti, non ultimo quello di provvedere alla selezione. Non per discriminare o scartare ma per evitare il crearsi di false aspettative e aiutare ciascuno a ricercare lo spazio più adeguato alle proprie potenzialità ed inclinazioni. Perché, non si demotivino i capaci ma si spronino e recuperino per davvero gli svogliati, i disagiati e gli svantaggiati.

E che dire della formazione degli insegnanti?

Da alcuni anni è affidata a scuole, cosiddette di specializzazione, nate in seno all'università e costituite con il malcelato proposito di finanziare gli atenei, lucrando sulle aspettative occupazionali dei giovani aspiranti insegnanti. Alla scarsa selezione in entrata e in uscita da questi percorsi abilitativi s'aggiunge anche la supponenza dei formatori che, nei fatti, non hanno alcuna familiarità con la scuola militante e si limitano ad "arabescare" nell'aria astratte teorie di pedagogia e didattica. Finché non sarà la scuola, nelle sue migliori e più esperte componenti, a preparare gli insegnanti di domani noi avremo "docenti di batteria", "plastificate" creature da laboratorio. Soggetti che, loro malgrado, stentano a relazionarsi con l'alunno ed il gruppo classe e non sanno come affrontare le variegate situazioni didattiche quotidiane.

Per rilanciare la scuola bisognerebbe investire, investire, investire. Farlo una prima volta rilanciando la qualità, la meritocrazia e la competitività sulla scorta di regole coerenti e chiare. Una seconda volta garantendo la continuità didattica con la stabilizzazione del personale docente che, in assenza di provvedimenti tempestivi, si prevede sia costituito dal prossimo anno per il 25% da personale precario. Una terza volta facendo quadrato con famiglie ed istituzioni perché si realizzi uno sforzo comune finalizzato alla crescita personale, civile e culturale dei giovani. Invece i segnali che arrivano da Roma sono avvilenti. Il ministro è ostaggio di un vacuo narcisismo personale prima ancora che politico. Il ministero dell'istruzione è a sovranità limitata, subalterno com'è a quello dell'economia anche quando deve stabilire la copertura dei posti liberati o vacanti realizzando uno straordinario risparmio sulla spesa corrente. Gli organi preposti manifestano un disarmante deficit di idee e grinta. I sindacati tutelano solo le misere rendite di posizione, rivelandosi miopi e insensibili garanti di un governo compare più che amico. I suoi primi dieci mesi li ha passati a smontare col "cacciavite" parte della sciagurata riforma Moratti e a fare poco altro ancora. Sulla carta ha varato un programma triennale per l'immissione in ruolo di 150.000 precari, così da portare ad esaurimento le graduatorie e debellare la vergogna della precarietà nella scuola. In concreto, non ha provveduto - per troppi mesi - a reperire i fondi occorrenti alla retribuzione dei supplenti e, con la circolare ministeriale n.19/07, ha fatto sparire 14.500 cattedre in attuazione della legge finanziaria, consentendo l'ulteriore immissione di 20.000 nuovi abilitati nelle graduatorie. In compenso non ha fatto l'unica cosa che ci si aspettava: la definizione dei contingenti di immissione in ruolo per l'anno 2007/2008. In assenza, la scuola prossima ventura avrà per i 55.000 certezze in meno (pari ai pensionamenti 2007) ed oltre 200.000 precarietà di troppo.

Non riuscendo per inerzia a governare il futuro si sfoggia decisionismo in cronaca.

Troppo facile, infatti, sostenere la "tolleranza zero" restando ad una distanza siderale dalla prima linea scolastica quotidiana, partecipando alle manifestazioni addomesticate e selezionate, nelle scuole in o nel cortile del Quirinale. Sarebbe altrettanto facile replicare "credibilità zero" ma abbiamo troppo rispetto nell'istituzione scuola per partecipare a questo gioco al massacro.


Serenella ALEDDA
Teresa CARBONI
Francesco CASALE
Maristella CURRELI
Maria Rita GADALETA
Elena LA GIOIA
Gianluca LOVREGLIO
Gianfranco PIGNATELLI
Dolores SARIGO ed altri del C.I.P., Comitati Insegnanti Precari



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 Giuseppe Aragno    - 04-03-2007
Un articolo serio, che offre non pochi spunti di riflessione. Sacrosanto uno dei principi affemati: per rilanciare la scuola bisognerebbe investire, investire e ancora investire. Prima che sulla qualità, la meritocrazia, la competitività, la continuità didattica, la stabilizzazione del personale docente e sul "quadrato" fatto con famiglie ed istituzioni, investirei però per garantire una adeguata retribuzione del personale: non si fa una buona scuola se la gente che ci lavora è moritificata e sottopagata.