174517
Marino Bocchi - 24-10-2000
174517 era il numero che l'ebreo Primo Levi aveva inciso sul braccio sinistro (la legge mosaica proibiva il tatuaggio). Molti dei pochi sopravissuti ad Auschwitz lo avevano cancellato, altri se ne vergognavano. Lui no, lo mostrava sollevando la manica della camicia agli alunni delle scuole medie che negli anni '70 e fino all'11 aprile '87, quando si getto' dalla tromba delle scale nella sua casa di Corso Re Umberto a Torino, lo invitavano a raccontare la sua storia.
"Lo mostro malvolentieri a chi me ne fa richiesta per pura curiosita': prontamente e con ira a chi si dichiara incredulo. Spesso i giovani mi chiedono perche' non me lo faccio cancellare, e questo mi stupisce: perche' dovrei? Non siamo molti nel mondo a portare questa testimonianza".
Prontamente e con ira Primo Levi lo avrebbe mostrato all'incredulo professore di Italiano e Storia dell'Istituto Tecnico Turistico Statale Gritti di Mestre che, negazionista o riduzionista, poco importa, insegna che non tutto quello che si scrive sui manuali e' vero, a proposito del nazismo.
I centri sociali di Venezia ne chiedono la rimozione dall'incarico, un'ispezione ministeriale se ne e' occupata a lungo, il Capogruppo AN in Consiglio Regionale Paolo Scaravelli difende il docente in nome della liberta' di insegnamento e contro le "indebite pressioni della piazza di sinistra".
Nei lunghi mesi precedenti il suicidio Primo Levi era depresso e disperato. "C'e' Auschwitz, quindi non puo' esserci Dio", rispose allo scrittore Ferdinando Camon che lo intervistava.
"Dio e' morto", cantano oggi in coro gli allievi dell'incredulo docente del Gritti.
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