ALFABETIZZAZIONE EMOZIONALE: UN PERCORSO
L'analfabetismo
emozionale e relazionale rappresenta sicuramente una forte dose di rischio e
pericolo per la società. L'esclusione o la marginalizzazione nei programmi
scolastici di spazi da destinare alla formazione emozionale, è un indicatore
negativo che può spiegare, tra l'altro, l’impotenza delle istituzioni
scolastiche di fronte all'aumento delle difficoltà e del disagio, oltre
all'insorgenza di alcuni disturbi fra gli adolescenti e i bambini (Mariani,
2001).
Il disagio giovanile rilevabile in ambito scolastico, utilizzando una definizione abbastanza diffusa, è
inquadrato come uno stato
emotivo, che non si
ricollega significativamente a disturbi di tipo psicopatologico, linguistici o
di ritardo cognitivo. Le sue manifestazioni comprendono “un insieme di
comportamenti disfunzionali (scarsa partecipazione, disattenzione,
comportamenti prevalenti di rifiuto e di disturbo, cattivo rapporto con i
compagni, ma anche assoluta carenza di spirito critico), che non permettono al
soggetto di vivere adeguatamente le attività di classe e di apprendere con
successo, utilizzando il massimo delle proprie capacità cognitive, affettive e
relazionali". (Mancini e Gabrielli, 1998). Inoltre, la
sofferenza psicologica, come evidenziato dalle ricerche in questo settore, può
comportare stress, ricollegabile alle prestazioni scolastiche, comportamenti di
angoscia e insicurezza, problemi di comunicazione, sintomi di tensione e
assunzione di sostanze psico-attive (Baraldi e Turchi, 1990).
Questi
comportamenti disfunzionali sono facilmente rintracciabili nella popolazione in
età scolastica, distinguendosi come carenze riconducibili all’intelligenza
emotiva.
Altri
comportamenti, gravi e rischiosi, sono ascrivibili ai problemi emozionali. Se
prestiamo uno sguardo rapido alle statistiche degli ultimi anni degli Stati
Uniti - il paese che più di ogni altro rivela le tendenze mondiali - si può
rilevare che il numero degli omicidi e degli altri atti di violenza compiuti da
adolescenti emotivamente disturbati sono aumentati.
Nel periodo
dal 1970 al 1990, le statistiche mostrano che il tasso di suicidi fra gli
adolescenti è quasi triplicato. Nel 2000, si è riscontrato una media di dieci
suicidi al giorno. Fra gli adolescenti di età compresa fra i 14 e i 19 anni, il
suicidio rappresenta la terza causa di morte, dopo gli incidenti e gli omicidi
(Kindlon e Thompson, 1999).
La causa più
comune di infermità è la malattia mentale, sintomi più o meno gravi di
depressione colpiscono fino a un terzo degli adolescenti. Negli ultimi
trent’anni è triplicata la percentuale delle malattie veneree contratte dagli
adolescenti, così come è triplicato l’abuso di alcol e droghe, mentre si è
innalzata vertiginosamente la frequenza dei disturbi del comportamento
alimentare.
Il quadro
inquietante che le statistiche tracciano, spinge la riflessione ad estendere
l’analisi ai numerosi problemi quotidiani che rendono vulnerabile la condizione
giovanile. Diverse ricerche riguardanti campioni nazionali di ragazzi
americani, di età compresa tra i 7 e i 16 anni, hanno accertato un
peggioramento della loro condizione di vita attuale rispetto a quella esistente
nelle generazioni precedenti.
In
particolare, le maggiori difficoltà incontrate dai ragazzi interessano
comportamenti di:
- chiusura in se stessi o problemi sociali (ad esempio, la preferenza a restare
soli, a non comunicare, rimuginare in silenzio, essere privi di energia,
sentirsi infelici, dipendere eccessivamente dagli altri);
- ansia e depressione (essere soli; nutrire molte paure e preoccupazioni; avere il
bisogno di essere perfetti; non sentirsi amati; sentirsi nervosi o tristi e
depressi);
- difficoltà nell'attenzione e nella
riflessione (incapacità
di prestare attenzione o di restare seduti tranquilli; fantasticare ad occhi
aperti; agire senza riflettere; essere troppo nervosi per concentrarsi; avere
risultati scolastici scadenti; incapacità di distogliere la mente da un
pensiero fisso);
- devianza o aggressività: frequentare compagnie a rischio; mentire e imbrogliare;
litigare spesso; trattare gli altri con cattiveria; pretendere attenzione;
distruggere gli oggetti altrui; disobbedire a casa e a scuola; essere testardi
e di umore mutevole; parlare troppo; prendere in giro gli altri in maniera
eccessiva; avere un temperamento collerico (Achenbach, Howell,1989).
Malgrado
tutto, questi comportamenti se sono giudicati isolatamente possono non destare
eccessiva preoccupazione, invece, valutati globalmente rappresentano un
indicatore del mutamento in corso. “E’ un nuovo tipo di tossicità che si
infiltra e avvelena l'esperienza stessa dell'infanzia e dell'adolescenza,
rivelando impressionanti lacune di competenza emozionale" (Goleman,
1995).
Nel mondo
giovanile, le molteplici difficoltà indicate derivano dalla vita di relazione e
rappresentano un fattore di rischio che può costituirsi, tra l’altro, come
motivo di depressione (Braconnier, 1998). Quest’ultima, oltre a essere
una condizione generale di tristezza, è caratterizzata da apatia, abbattimento,
autocommiserazione paralizzante e senso di disperazione schiacciante.
Generalmente,
gli adolescenti che vivono episodi depressivi hanno scarsa propensione a
definire i propri stati d'animo, e provano difficoltà a comunicare la tristezza
manifestando, invece, con più frequenza rabbia e ostilità, inquietudine, nervosismo
e irritazione, malumore, ecc. (Marcelli, 1994).
Diventa perciò problematico garantire da parte di genitori o insegnanti l'aiuto necessario, tanto più che spesso molti ragazzi pensano di dover lottare da soli contro la propria sofferenza.
L'analisi dei
motivi sottesi alla depressione e al disagio nei giovani, fa rilevare carenze
in alcune aree di competenza emozionale, principalmente nelle abilità
relazionali e nel modo inadeguato di reagire alle sconfitte che induce al
pessimismo e alla disperazione.
Alcuni studi
epidemiologici, i cui criteri prendono in considerazione i sintomi definiti nel
DSM-IV, hanno rimarcato che per i soggetti fra i 10 e i 13 anni la percentuale
di incidenza della depressione nel corso di un anno è intorno all'8 - 9%. Nel periodo
puberale, la percentuale addirittura raddoppia, fino ad arrivare al 16% per le
ragazze fra i 14 e i 16; è da osservare che per i ragazzi il valore resta
immutato (Lewinsohn, 1993).
L'esigenza di
agire preventivamente nei casi di giovanissimi che mostrano per lungo tempo, e
non occasionalmente, comportamenti di disperazione incontenibile, irritabilità,
chiusura e malinconia profonda, si fonda sull'evidenza che tali difficoltà
persistenti avvertite nella fase evolutiva possono diventare più critiche e
devastanti in età adulta (Lanzi, 1994). Secondo alcuni studi condotti
sul decorso della depressione nei giovani, un bambino che soffre di depressione
di grado lieve, ha maggiori probabilità da adolescente e da adulto di soffrire
di depressione grave. Inoltre, è prevedibile che questi ragazzi che si mostrano
tristi siano quelli più isolati a scuola, rifiutati nel gioco, i meno simpatici
e i più a disagio nei rapporti con i pari. Al vuoto che si crea nella loro
esperienza interpersonale, si aggiunge sovente un rendimento scolastico
disastroso causato dalla scarsa attenzione e dalle difficoltà di
memorizzazione, esito degli stati d'animo depressivi
Studi recenti
sui comportamenti dei giovanissimi, hanno evidenziato che chi tende ad una
visione pessimistica della vita, è altamente suscettibile alla depressione.
Quei bambini che sviluppano un modo di pensare pessimistico, attribuiscono poi
i fallimenti scolastici a qualche grave incapacità di ordine personale (Susan
Nolen-Hoeksema, 1992).
Alcuni programmi educativi per i giovani, mirati ad insegnare capacità
emozionali e relazionali basilari (ad esempio, come migliorare i rapporti con i
genitori, instaurare amicizie, aiutare un compagno in difficoltà, intraprendere
attività ritenute piacevoli), sono in grado di abbassare il rischio di
depressione, anche della metà. In tali programmi, si sperimenta concretamente
la possibilità di gestire particolari sentimenti e di affrontare i modi di
pensare pessimistici che si associano ai comportamenti depressivi (Stark,
2000).
Tutti gli studi presentati negli ultimi anni convergono nell’indicare quali sono le gravi difficoltà prodotte dalle lacune che si riscontrano nelle competenze sociali o emozionali dei giovani: chiusura in se stessi, dipendenza dagli altri o da sostanze psico-attive, ansia e depressione, squilibri alimentari, difficoltà nell’attenzione e nella riflessione, aggressività e fenomeni di prevaricazione, ecc. Le misure correttive e preventive sono rappresentate principalmente da interventi formativi che pongono l’apprendimento di abilità emozionali come obiettivo primario, assicurando numerosi vantaggi educativi (ad es. minore frequenza di scontri e disturbi in classe, maggiore interesse e spirito di collaborazione, migliori risultati scolastici).
I numerosi
progetti che da alcuni anni si stanno realizzando nelle scuole con l’intento di
costituire una “vaccinazione
psicologica” contro il
disagio, trovano riscontro nelle concezioni di Daniel Goleman (1996,
1998, 2002) che ha formulato, nell'ambito delle neuroscienze, una nuova teoria della mente emozionale definendo come il repertorio
comportamentale dell'uomo sia in buona parte determinato dalle emozioni.
Nella
letteratura psicologica, il termine emozione è
usato per definire un evento multisistemico che interessa il piano
dell’elaborazione cognitiva e dei resoconti verbali dell’esperienza soggettiva,
il piano dei comportamenti motori e quello delle risposte fisiologiche (D’Urso e Trentin, 1998). Le dimensioni emozionali
principali individuate e riconosciute come universali (Ekman, 1984),
anche se non c’è concordanza tra studiosi, sono rappresentate da collera, tristezza, paura, gioia, amore,
sorpresa, disgusto, vergogna.
Invece, intelligenza emotiva, il concetto impiegato da Goleman,
si riferisce alla “capacità
di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi
stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente,
quanto nelle relazioni sociali”. Sono abilità complementari ma differenti dall’intelligenza,
ossia da quelle capacità meramente cognitive rilevate dal Quoziente
Intellettivo, che rappresenta l'indice generale delle abilità cognitive
possedute dal soggetto.
E’ solo con
l’affermarsi di una visione poliedrica delle capacità umane, maggiormente
scientifica (Gardner, 1993), che è stato attribuito un peso sempre più
decisivo al mondo emozionale, alle motivazioni, all’empatia, alle capacità di
autocontrollo e di adattamento (Greenspan, 1997).
Il lavoro di Goleman
ha riguardato l’adattamento di precedenti modelli e ricerche della psicologia
scientifica (Gardner, 1983; Salovey e Mayer, 1990),
ricavandone una versione utilissima per comprendere il modo in cui le risorse
emotive si rivelano determinanti nella vita scolastica e professionale. Egli
afferma che “l'attitudine emozionale è una meta-abilità, in quanto determina
quanto bene riusciamo a servirci delle nostre altre capacità - ivi incluse
quelle puramente intellettuali", e che "oggi la ricerca
individua con precisione senza precedenti le qualità e le capacità umane che
fanno di un individuo un elemento capace di eccellere”.
Le competenze emotive fondamentali, sia personali (determinano il modo in cui controlliamo noi stessi), sia sociali (determinano il modo in cui amministriamo le relazioni con gli altri), comprendono cinque elementi:
1. Consapevolezza di sé (conoscere in ogni istante i propri stati interiori per gestire
meglio scelte e decisioni personali).
2. Autocontrollo (regolare le proprie emozioni per fronteggiare ogni
situazione).
3. Motivazione
(tendenze emotive per guidare se stessi al raggiungimento di obiettivi).
4. Empatia (percepire i sentimenti degli altri, essere in grado di
adottare la loro prospettiva).
5. Abilità sociali
(gestire bene le emozioni nelle relazioni e saper leggere accuratamente le
situazioni sociali per avere massima efficacia. Queste abilità comprendono:
comunicazione, leadership, gestione del conflitto, collaborazione e
cooperazione).
I programmi
di alfabetizzazione emozionale, o di efficacia nelle relazioni interpersonali,
attuati nelle scuole, hanno come obiettivo principale quello di consentire
un'adeguata gestione dei sentimenti e lo sviluppo di specifiche capacità, in
modo tale che i processi cognitivi e di apprendimento, sia individuali che di
gruppo si realizzino naturalmente, senza interferenze e con maggiore successo (Gordon,
2001).
Gli obiettivi
preminenti riguardano perciò l'acquisizione e il consolidamento delle
competenze emotive relative alle cinque aree/dimensioni, comprendenti 25
tipologie di abilità distinte.
Fornire una
prestazione di buon livello non può in ogni caso comportare che si predomini in
tutte queste competenze, ma piuttosto che si possiedano punti di forza in
alcune di esse sufficienti a raggiungere la soglia critica necessaria per il
successo scolastico/professionale e la realizzazione personale.
L’intelligenza
emotiva, a differenza del QI, può essere potenziata in ogni fase della vita.
Tende ad aumentare in proporzione alla consapevolezza degli stati d’animo, al
contenimento delle emozioni che provocano sofferenza, al maggiore affinamento
dell'ascolto e della sensibilizzazione empatica. E’ la conferma che anche le
reazioni emotive più radicate hanno la possibilità di essere rimodellate.
La maturità
stessa, è ridefinita come il lungo processo esperienziale attraverso il quale
si diventa più intelligenti circa il nostro mondo emozionale e quello coinvolto
nella estesa rete delle relazioni sociali.
Dunque, come
portare l’intelligenza nelle nostre emozioni? Di recente, un intervento
formativo di alfabetizzazione emozionale, è stato realizzato con successo presso
l’Istituto Tecnico Commerciale per Geometri e per il Turismo ‘G.B.Carducci, G.
Galilei’ di Fermo (AP), coinvolgendo gli studenti del biennio della sezione
Geometri. Il progetto, coordinato dalla prof. Beatrice Ercoli e
attuato dall’esperto dott. Renato Vignati, ha valenza biennale ed
è parte integrante del Piano dell’Offerta Formativa.
Complessivamente, gli incontri hanno ottenuto un buon livello di coinvolgimento di studenti sulle tematiche della educazione alle emozioni. L’interesse ottimale registrato trova spiegazione nella centralità delle tematiche affrontate che investono in modo significativo la realtà adolescenziale e giovanile, esplorata secondo un’ottica di prevenzione del disagio e di promozione della salute psicofisica.
Numerosi
studiosi sostengono che aiutare i giovani ad affrontare il periodo della crisi
adolescenziale, relativamente ai numerosi fattori di rischio, può consistere
essenzialmente nel sostenerli ad affrontare e risolvere positivamente i compiti
di sviluppo, conquistando la propria autonomia all’interno di un dinamismo di
crescita (Palmonari, 1993). Pertanto, la finalità principale perseguita negli incontri è stata di facilitare nei giovani la conoscenza e
l’impiego dell’Intelligenza Emotiva, e delle corrispondenti competenze, per il
superamento delle difficoltà personali e interpersonali. La ricerca di strategie efficaci
volte alla risoluzione dei molteplici problemi scolastici, familiari, amicali e
gruppali che possono accentuare lo stato di disagio, ha spesso impegnato gli
scambi comunicativi e la riflessione del gruppo-classe.
La
metodologia dal carattere esperienziale seguita negli incontri e realizzata con
l’ausilio di opportuno materiale didattico, ha reso possibile all’interno del
gruppo-classe l’organizzazione di uno spazio dialogico,
finalizzato a valorizzare il benessere emozionale e a regolare efficacemente le
emozioni intense. Il supporto fornito, corredato dalle conoscenze sulla
comunicazione e sulle principali dinamiche relazionali, ha contribuito a
sviluppare maggiore consapevolezza di sé e autocontrollo, insieme agli altri
elementi che fanno parte dell’intelligenza emotiva.
In
particolare, alcune attività svolte nell’ambito del corso hanno riguardato:
Rispetto ai
risultati ottenuti, l’analisi dei questionari valutativi del corso insieme ad
altri riscontri obiettivi, porta a ritenere completamente valido l’intervento
eseguito e pienamente rispondente agli obiettivi educativi stabiliti
inizialmente.
E’ da far
presente che la metodica utilizzata per la rilevazione degli effetti prodotti
dal contesto di apprendimento, paradigmatica della Psicologica Umanistica, si
basa sulla disamina delle esperienze, delle osservazioni e consapevolezze degli
stessi partecipanti, rilevate tramite indicatori specifici e convergenti nel
processo di autovalutazione.
L’esame attento dei questionari, compilati da tutti gli studenti al termine del corso, consente quindi di formulare le seguenti valutazioni:
v
il
gradimento effettivo dell’esperienza proposta, attestato tra ‘molto
soddisfatto’ e ‘parzialmente soddisfatto’ (le due voci insieme conseguono circa
il 97% delle risposte); il restante 3% si è dichiarato un po’ deluso, anche per
motivi legati al tempo limitato a disposizione del corso;
v
le
impressioni formulate dai partecipanti contengono riferimenti estremamente
significativi circa i benefici indotti dall’apprendimento di competenze
emozionali sulla qualità della vita, non solo scolastica;
v
l’orientamento prevalente degli interessi,
rispetto alle tematiche affrontate nel corso, è rivolto alla comprensione e
alla gestione delle emozioni fondamentali (45%), e tra queste, la rabbia (14%),
insieme all’ansia, la vergogna, la solitudine e la tristezza;
v
va
considerata anche la propensione alla conoscenza più approfondita dei compagni
della classe (20%), la riflessione sulle relazioni interpersonali (9%) e i
conflitti (7%);
v
il resto delle scelte (5%) riguarda ‘tutto’
l’itinerario seguito. Le scelte confermano come il prestare attenzione alle
esperienze emozionali, specialmente quelle più intense e di difficile gestione
come la rabbia o la vergogna, rappresenti la modalità privilegiata per entrare
nelle questioni specifiche del disagio adolescenziale. Inoltre, gli studenti
mostrano la necessità di disporre di spazi e strumenti di comunicazione per
migliorare la qualità delle interazioni sociali. In tal modo, si diminuisce il
rischio per l’adolescente di assumere determinati comportamenti disfunzionali
che si ritrovano spesso alla base del disagio;
v
il metodo interattivo e dinamico, utilizzato
per la realizzazione delle attività, è stato giudicato sostanzialmente ‘buono’
(58%), con punte di ‘eccellente‘ (22%); lo ha ritenuto parzialmente adeguato il
20%, dato interpretabile con la scarsa abitudine all’introspezione. Gli
studenti, quindi, reputano qualificate e funzionali al lavoro sulle competenze
emozionali le modalità interattive impiegate;
v
i suggerimenti per migliorare il corso
convergono essenzialmente sulla necessità di aumentare il numero degli incontri
e delle ore a disposizione (48%), oltre a richiedere lo sviluppo e
l’approfondimento delle tematiche emozionali presentate (16%); il restante
numero di studenti (36%), indica altri suggerimenti, di difficile
inquadramento. I suggerimenti offerti dalle classi incoraggiano lo sviluppo e
l’approfondimento del percorso emozionale iniziato.
Il migliore
commento dell’esperienza è probabilmente rappresentato dai giudizi espressi
dagli stessi partecipanti; si riportano i passi più significativi:
“ Mi ha fatto capire come possono affrontarsi
a livello emotivo le esperienze della vita”.
“ …sono riuscita ad aprirmi con persone
con cui non parlo moltissimo ”.
“Secondo me questo corso serve molto,
per conoscersi meglio e per rendersi conto delle proprie emozioni”.
“E’ interessante perché mi ha fatto
capire in che modo si può fronteggiare la vita”.
“ E’ molto bello. Ci aiuta a riflettere
sul nostro comportamento e quindi ci permette di correggere eventuali errori”.
“ Sono stata felice di questo corso perché
mi ha fatto scoprire nuove cose e capire alcune incertezze”.
“ Mi ha aiutato molto ad esprimere le
mie esperienze e i miei pensieri, che credo non avrei mai detto in un’altra
occasione”.
“ Ho conosciuto meglio le mie emozioni”.
“ Questo corso mi è stato utile perché
mi ha fatto conoscere meglio i miei compagni di classe”.
“ Mi sono divertito”.
“ Abbiamo imparato a parlare di noi ed
esporre le nostre idee su argomenti o comportamenti dei nostri amici”.
“ Mi è molto piaciuto e interessato perché
non capita spesso di parlare dei nostri sentimenti”.
“ E’ stata una novità che mi ha
affascinato e soprattutto ho trovato utile per vivere meglio”.
“ Mi ha suscitato molto interesse perché
mi ha fatto diventare meno timido”.
“ Mi ha insegnato a parlare delle mie
esperienze più segrete”.
“ Molto interessante, aiuta a vivere e a
conoscere gli altri”.
“ Il corso ci ha aiutato a risolvere
problemi all’interno della classe”.
“…ho arricchito le mie conoscenze sui
sentimenti ed ho imparato a spiegarli”.
In base agli elementi riportati e a quanto è stato possibile osservare direttamente nei diversi momenti del corso, si può concludere che i gruppi-classe hanno mostrato un buon grado di motivazione e coinvolgimento. Si sono proposti spesso quali soggetti attivi nella ricerca e nella elaborazione di competenze emozionali e di conoscenze, specialmente nello scambio di vissuti e di esperienze personali.
Il clima
generale di apertura, ha garantito la possibilità di esplorare le emozioni e le
loro implicazioni nel contesto delle delicate problematiche adolescenziali. Tra
le diverse emozioni evocate, è emersa spesso la presenza di rabbia,
riconfermando il legame esistente tra le vicende adolescenziali e la
vulnerabilità alle frustrazioni e alle delusioni, agli impulsi aggressivi, alla
solitudine e al pessimismo. La riflessione si è focalizzata anche su eventi che
comportano rischi sul piano dello sviluppo psicologico, fisico e sociale, come
l’abuso di sostanze (droghe, fumo, alcool). Nei racconti degli studenti, si è
riscontrata la presenza di sofferenza per i modelli e per l’educazione,
emotivamente distruttiva, che la cultura o sottocultura prevalente della
società impone ai giovani.
Sicuramente,
la natura degli argomenti affrontati negli incontri ha suscitato viva curiosità
accanto a reazioni di genere difensivo, maturando bisogni di approfondimento e
di ulteriori occasioni formative. Le resistenze incontrate nelle attività,
imputabili alla diffusa diseducazione emozionale, sono scaturite principalmente
da alcuni soggetti maschili. Dato, quest’ultimo, che evidenzia il diverso
atteggiamento dell’uomo e della donna riguardo le emozioni.
L’esigenza di
progettualità, d'altra parte, trova spiegazione e conferma nelle più recenti
ricerche psicologiche nell’ambito del disagio che sottolineano la necessità di
offrire interventi sistematici di supporto e consulenza ai giovani (Mariani,
2003). Ciò deve avvenire proprio in riferimento alle problematiche della fase “autonoma
e prolungata” dell’adolescenza, caratterizzata dall’attivazione di stati
emozionali intensi, di sofferenza.
Se c’è una
cosa da considerare, è l’importanza di guardare ai giovani con occhi liberi da
ogni pregiudizio culturale, di ascoltarli aprendo la mente e il cuore, perché,
se non si propongono valide alternative, “il giovane rabbioso di oggi è
destinato a diventare l’uomo solitario e ostile di domani”. (D.Kindlon,
M.Thompson, 1999).
E’
indispensabile, infine, riaffermare che “l'alfabetizzazione emozionale può
per certi versi apparire come un esercizio banale, o comunque insufficiente a
impedire le multiformi manifestazioni del malessere giovanile, ma l'obiettivo
finale di formare nell'ambito scolastico esseri umani, in un clima di libertà e
dignità, costituisce un traguardo fondamentale per il nostro futuro e per
quello della scuola” (Vignati, 2000).
Il
diffondersi di esperienze formative centrate sulla crescita emozionale, credo
autorizzi la speranza in un futuro nel quale la scuola assumerà il compito
educativo prevalente di promuovere qualità e attitudini come l’autocontrollo e
la sicurezza di sé, l’esprimere i sentimenti, l’arte di ascoltare e di
risolvere i conflitti, di cooperare, e tutte le altre abilità della vita
emotiva.
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