I - LA
CRISI DELLA CIVILTA' MODERNA
La
civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della
libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento
altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si
è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti
della vita sociale che non lo rispettino:
1. Si è
affermato l'eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati
indipendenti. Ogni popolo, individuato nelle sue caratteristiche
etniche geografiche linguistiche e storiche, doveva trovare
nell'organismo statale, creato per proprio conto secondo la sua
particolare concezione della vita politica, lo strumento per
soddisfare nel modo migliore ai suoi bisogni, indipendentemente da
ogni intervento estraneo.
L'ideologia
dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso;
ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta
solidarietà contro l'oppressione degli stranieri dominatori; ha
eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli
uomini e delle merci; ha fatto estendere, dentro il territorio di
ciascun nuovo stato, alle popolazioni più arretrate, le istituzioni e
gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però in sé
i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha
visto ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo
scatenarsi delle guerre mondiali.
La
nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della
convivenza degli uomini, che, pervenuti, grazie ad un lungo processo,
ad una maggiore uniformità di costumi e di aspirazioni, trovano nel
loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva
entro il quadro di tutta la società umana. E' invece divenuta
un'entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria
esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del
danno che gli altri possono risentirne. La sovranità assoluta degli
stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e
considera suo "spazio vitale" territori sempre più vasti che gli
permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di
esistenza senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non
potrebbe acquietarsi che nell'egemonia dello stato più forte su tutti
gli altri asserviti.
In
conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è
trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le
facoltà per rendere massima l'efficenza bellica. Anche nei periodi di
pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili
guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai, in
molti paesi, su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile
il funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la scienza,
la produzione, l'organismo amministrativo sono principalmente diretti
ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come
fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri
con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini
vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e
dell'odio per gli stranieri; le libertà individuali si riducono a
nulla dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente
chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizione
costringono ad abbandonare la famiglia, l'impiego, gli averi ed a
sacrificare la vita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce
veramente il valore, ed in poche giornate distruggono i risultati di
decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo. Gli
stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più
coerente la unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di
accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati gli
organismi più adatti all'odierno ambiente internazionale. Basta che
una nazione faccia un passo più avanti verso un più accentuato
totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni, trascinate
nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere.
2. Si è
affermato l'uguale diritto per i cittadini alla formazione della
volontà dello stato. Questa doveva così risultare la sintesi delle
mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le categorie
sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha permesso
di correggere, o almeno di attenuare, molte delle più stridenti
ingiustizie ereditarie dai regimi passati. Ma la libertà di stampa e
di associazione e la progressiva estensione del suffragio rendevano
sempre più difficile la difesa dei vecchi privilegi mantenendo il
sistema rappresentativo. I nullatenenti a poco a poco imparavano a
servirsi di questi istrumenti per dare l'assalto ai diritti acquisiti
dalle classi abbienti; le imposte speciali sui redditi non guadagnati
e sulle successioni, le aliquote progressive sulle maggiori fortune,
le esenzioni dei redditi minimi, e dei beni di prima necessità, la
gratuità della scuola pubblica, l'aumento delle spese di assistenza e
di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle
fabbriche, minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate
cittadelle.
Anche i
ceti privilegiati che avevano consentito all'uguaglianza dei diritti
politici non potevano ammettere che le classi diseredate se ne
valessero per cercare di realizzare quell'uguaglianza di fatto che
avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva libertà.
Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne
troppo forte, fu naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed
appoggiassero le instaurazioni delle dittature che toglievano le armi
legali di mano ai loro avversari. D'altra parte la formazione di
giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti
sotto un'unica direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e
complessi che premevano sul governo per ottenere la politica più
rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo
stato stesso in tante baronie economiche in acerba lotta tra loro. Gli
ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi
gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettività,
perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la
convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà
popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi
che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.
Di fatto
poi i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione
delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed
hanno precluso, col controllo poliziesco di tutta la vita dei
cittadini e con la violenta eliminazione dei dissenzienti, ogni
possibilità legale di correzione dello stato di cose vigente. Si è
così assicurata l'esistenza del ceto assolutamente parassitario dei
proprietari terrieri assenteisti, e dei redditieri che contribuiscono
alla produzione sociale solo col tagliare le cedole dei loro titoli,
dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i
consumatori e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori,
dei plutocrati, che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli
uomini politici, per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio
esclusivo vantaggio, sotto l'apparenza del perseguimento dei superiori
interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e
la miseria delle grandi masse, escluse dalle possibilità di godere i
frutti delle moderna cultura. E' salvato, nelle sue linee sostanziali,
un regime economico in cui le risorse materiali e le forze di lavoro,
che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per
lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate
alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado
di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto
di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto,
trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore
sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle
alternative ai proletari resta così ridotto che per vivere sono
costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi
possibilità d'impiego.
Per
tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono
stati trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti da individui
che godevano la fiducia degli associati, in organi di sorveglianza
poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal gruppo
governante e ad esso solo responsabili. Se qualche correzione viene
fatta a un tale regime economico, è sempre solo dettata dalle esigenze
del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni
dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati
totalitari.
3. Contro
il dogmatismo autoritario si è affermato il valore permanente dello
spirito critico. Tutto quello che veniva asserito doveva dare ragione
di sì o scomparire. Alla metodicità di questo spregiudicato
atteggiamento sono dovute le maggiori conquiste della nostra società
in ogni campo.
Ma questa
libertà spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere
gli stati totalitari. Nuovi dogmi da accettare per fede o da accettare
ipocritamente, si stanno accampando in tutte le scienze. Quantunque
nessuno sappia che cosa sia una razza e le più elementari nozioni
storiche ne facciano risultare l'assurdità, si esige dai fisiologi di
credere di mostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta,
solo perché l'imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare
nelle masse l'odio e l'orgoglio. I più evidenti concetti della scienza
economica debbono essere considerati anatema per presentare la
politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri ferravecchi del
mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa
della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio
vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita
corrispondente alla civiltà moderna, è tutto il globo; ma si è creata
la pseudo scienza della geopolitica che vuol dimostrare la consistenza
della teoria degli spazi vitali, per dare veste teorica alla volontà
di sopraffazione dell'imperialismo. La storia viene falsificata nei
suoi dati essenziali, nell'interesse della classe governante. Le
biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non
considerate ortodosse. Le tenebre dell'oscurantismo di nuovo
minacciano di soffocare lo spirito umano.
La stessa
etica sociale della libertà e dell'uguaglianza è scalzata. Gli uomini
non sono più considerati cittadini liberi, che si valgono dello stato
per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello
stato che stabilisce quali debbono essere i loro fini, e come volontà
dello stato viene senz'altro assunta la volontà di coloro che
detengono il potere. Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma
gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle
gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato.
Il regime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.
Questa
reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato in una serie di
paesi, ha infine trovato nella Germania nazista la potenza che si è
ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze. Dopo una meticolosa
preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli delle
rivalità, degli egoismi, della stupidità altrui, trascinando al suo
seguito altri stati vassalli europei - primo fra i quali l'Italia -
alleandosi col Giappone che persegue fini identici in Asia essa si è
lanciata nell'opera di sopraffazione.
La sua
vittoria significherebbe il definitivo consolidamento del
totalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche sarebbero
esasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero condannate per
lungo tempo ad una semplice opposizione negativa. La tradizionale
arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci
un'idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio dopo una
guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche permettersi
una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare
formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per
governare così soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che
guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini
politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle
forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque
camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione
dell'umanità in Spartiati ed Iloti.
Anche una
soluzione di compromesso tra le parti ora in lotta significherebbe un
ulteriore passo innanzi del totalitarismo, poiché tutti i paesi che
fossero sfuggiti alla stretta della Germania sarebbero costretti ad
accettare le sue stesse forme di organizzazione politica, per
prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra.
Ma la
Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno gli stati
minori, con la sua azione ha costretto forze sempre più potenti a
scendere in lizza. La coraggiosa combattività della Gran Bretagna,
anche nel momento più critico in cui era rimasta sola a tener testa al
nemico, ha fatto si che i Tedeschi siano andati a cozzare contro la
strenua resistenza dell'esercito sovietico, ed ha dato tempo
all'America di avviare la mobilitazione delle sue sterminate forze
produttive. E questa lotta contro l'imperialismo tedesco si è
strettamente connessa con quella che il popolo cinese va conducendo
contro l'imperialismo giapponese.
Immense
masse di uomini e di ricchezze sono già schierate contro le potenze
totalitarie. Le forze di queste potenze hanno raggiunto il loro
culmine e non possono oramai che consumarsi progressivamente. Quelle
avverse hanno invece già superato il momento della massima depressione
e sono in ascesa. La guerra degli Nazioni Unite risveglia ogni giorno
di più la volontà di liberazione anche nei paesi che avevano
soggiaciuto alla violenza ed erano come smarriti per il colpo ricevuto,
E persino risveglia tale volontà nei popoli delle potenze dell'Asse, i
quali si accorgono di essere trascinati in una situazione disperata
solo per soddisfare la brama di dominio dei loro padroni.
Il lento
processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavano
modellare passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e
contribuivano così a consolidarlo, è arrestato; si è invece iniziato
il processo contrario. In questa immensa ondata, che lentamente si
solleva, si ritrovano tutte le forze progressiste; e, le parti più
illuminate delle classi lavoratrici che si erano lasciate distogliere,
dal terrore e dalle lusinghe, nella loro aspirazione ad una superiore
forma di vita; gli elementi più consapevoli dei ceti intellettuali,
offesi dalla degradazione cui è sottoposta l'intelligenza;
imprenditori, che sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero
liberarsi dalle bardature burocratiche, e dalle autarchie nazionali,
che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro, infine, che, per un
senso innato di dignità, non sanno piegar la spina dorsale nella
umiliazione della servitù.
A tutte
queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.
II - I
COMPITI DEL DOPO GUERRA - L'UNITA' EUROPEA
La
sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente al
riordinamento dell'Europa secondo il nostro ideale di civiltà.
Nel breve
intenso periodo di crisi generale, in cui gli stati nazionali
giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderanno
ansiose la parola nuova e saranno materia fusa, ardente, suscettibile
di essere colata in forme nuove, capace di accogliere la guida di
uomini seriamente internazionalisti, i ceti che più erano privilegiati
nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la
violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni
internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a ricostruire i
vecchi organismi statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi,
magari d'accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in
questo senso, per riprendere la politica dell'equilibrio delle potenze
nell'apparente immediato interesse del loro impero.
Le forze
conservatrici, cioè i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli
stati nazionali: i quadri superiori delle forze armate, culminanti là,
dove ancora esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismo
monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli
stati; i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie
ecclesiastiche, che solo da una stabile società conservatrice possono
vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito
tutto l'innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che son
anche solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste
forze reazionarie, già fin da oggi, sentono che l'edificio scricchiola
e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le
garanzie che hanno avuto fin'ora e le esporrebbe all'assalto delle
forze progressiste.
Ma essi
hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando, che si batteranno
accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento
sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della
pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere.
Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i
movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel
preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con
cui si dovrà fare i conti.
Il punto
sul quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello
stato nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare più
diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile
a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono
anche sperare di più facilmente confondere le idee degli avversari,
dato che per le masse popolari l'unica esperienza politica finora
acquisita è quella svolgentesi entro l'ambito nazionale, ed è perciò
abbastanza facile convogliare, sia esse che i loro capi più miopi, sul
terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera.
Se
raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero pure questi stati
in apparenza largamente democratici o socialisti, il ritorno del
potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo.
Risorgerebbero le gelosie nazionali e ciascuno stato di nuovo
riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza
delle armi. Loro compito precipuo tornerebbe ad essere, a più o meno
breve scadenza, quello di convertire i loro popoli in eserciti. I
generali tornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare delle
autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le
masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzerebbero in un
nulla di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.
Il
problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi
altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della
divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Il crollo della
maggior parte degli stati del continente sotto il rullo compressore
tedesco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che o tutti
insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme
entreranno, con la caduta di questo in una crisi rivoluzionaria in cui
non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali.
Gli
spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una
riorganizzazione federale dell'Europa. La dura esperienza ha aperto
gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fatto maturare molte
circostanze favorevoli al nostro ideale.
Tutti gli
uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un
equilibrio di stati europei indipendenti con la convivenza della
Germania militarista a parità di condizioni con gli altri paesi, né si
può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che
sia vinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d'Europa
può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo
le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. E' ormai
dimostrata la inutilità, anzi la dannosità di organismi, tipo della
Società delle Nazioni, che pretendano di garantire un diritto
internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue
decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti.
Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale
ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo
dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni
singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri
paesi europei.
Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita
internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione
mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi
situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc.,
che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione,
come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli
staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando
hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti
fra le diverse provincie.
D'altra
parte la fine del senso di sicurezza nella inattaccabilità della Gran
Bretagna, che consigliava agli inglesi la "splendid isolation", la
dissoluzione dell'esercito e della stessa repubblica francese, al
primo serio urto delle forze tedesche - risultato che è da sperare
abbia di molto smorzata la presunzione sciovinista della superiorità
gallica - e specialmente la coscienza della gravità del pericolo corso
di generale asservimento, sono tutte circostanze che favoriranno la
costituzione di un regime federale che ponga fine all'attuale anarchia.
Ed il fatto che l'Inghilterra abbia accettato il principio
dell'indipendenza indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto
col riconoscimento della sconfitta, tutto il suo impero, rendono più
agevole trovare anche una base di accordo per una sistemazione europea
dei problemi coloniali.
A tutto
ciò va infine aggiunta la scomparsa di alcune delle principali
dinastie e la fragilità delle basi di quelle che sostengono le
dinastie superstiti. Va tenuto conto, infatti, che le dinastie,
considerando i diversi paesi come tradizionale appannaggio proprio,
rappresentavano, con i poderosi interessi di cui erano l'appoggio, un
serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti
d'Europa, il quale non possono poggiare che sulla costituzioni
repubblicane di tutti i paesi federati.
E quando,
superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una
visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l'umanità, bisogna
pur riconoscere che la federazione europea è l'unica garanzia
concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano
svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più
lontano avvenire, in cui diventi possibile l'unità politica
dell'intero globo.
La linea
di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade
perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore
democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la
sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come
campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme
del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure
involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la
lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel
vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che
vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato
internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze
popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in
primissima linea come strumento per realizzare l'unità internazionale.
Con la
propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi
accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vanno
certamente formando, occorre fin d'ora gettare le fondamenta di un
movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il
nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice
sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il
quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti
nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale
dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare
eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a
mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia
che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita
politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.
Se ci
sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che
comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, perché
la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera e di
fronte avranno partiti e tendenze già tutti squalificati dalla
disastrosa esperienza dell'ultimo ventennio. Poiché sarà l'ora di
opere nuove, sarà anche l'ora di uomini nuovi, del movimento per
l'Europa libera e unita!
III - I
COMPITI DEL DOPO GUERRA LA RIFORMA DELLA SOCIETA'
Un'Europa
libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà
moderna, di cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di
questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processo storico
contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie
istituzioni conservatrici che ne impedivano l'attuazione, saranno
crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con
coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle
nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l'emancipazione
delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più
umane di vita.
La
bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale
direzione, non può essere però il principio puramente dottrinario
secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di
produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo
in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La
statizzazione generale dell'economia è stata la prima forma utopistica
in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione del
giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo
scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la
popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori
dell'economia, come è avvenuto in Russia.
Il
principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della
collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea
deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono
dominare gli uomini, ma - come avviene per forze naturali - essere da
loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché
le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di
progresso, che scaturiscono dall'interesse individuale, non vanno
spente nella morta gora della pratica "routinière" per trovarsi poi di
fronte all'insolubile problema di resuscitare lo spirito d'iniziativa
con le differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del
genere dello stachenovismo dell'U.R.S.S., col solo risultato di uno
sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed
estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego,
e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che
le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la
collettività.
La
proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa,
caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.
Questa
direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una
vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del
burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione
tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei
ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla
tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto
di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori. Volendo
indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa
direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni
punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al
presupposto oramai indispensabile dell'unità europea, mettiamo in
rilievo i seguenti punti:
a. non si
possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un'attività
necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la
massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese
che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo,
ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi,
ordinazioni di favore, ecc. (l'esempio più notevole di questo tipo di
industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese
che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai
occupati, o per l'importanza del settore che dominano, possono
ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più
vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari,
industrie degli armamenti). E' questo il campo in cui si dovrà
procedere senz'altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza
alcun riguardo per i diritti acquisiti;
b. le
caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e
il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di
pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante una
crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti
parassitari e per dare ai lavoratori gl'istrumenti di produzione di
cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro
raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una
riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti
enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale
che estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non statizzati,
con le gestioni cooperative, l'azionariato operaio, ecc.;
c. i
giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al
minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la
vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità
effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più
idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di
studi per l'avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività
liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla
domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi
pressappoco eguali, per tutte le categorie professionali, qualunque
possano essere le divergenze tra le rimunerazioni nell'interno di
ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali;
d. la
potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi
di prima necessità con la tecnica moderna, permette ormai di
assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il
vitto, l'alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per
conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che
riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi
non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli
stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie
di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o
non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo
stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto
dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori;
e. la
liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando
le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere
nella politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano
semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici
specialmente del grande capitale. I lavoratori debbono tornare a
essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le
condizioni a cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà
dare i mezzi giuridici per garantire l'osservanza dei patti conclusivi;
ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente
combattute, una volta che saranno realizzate quelle trasformazioni
sociali.
Questi
sono i cambiamenti necessari per creare, intorno al nuovo ordine, un
larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento e per
dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà,
impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi le
libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto e non
solo formale per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una
indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un efficace
e continuo controllo sulla classe governante.
Sugli
istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarci, poiché, non
potendosi prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare,
non faremmo che ripetere quello che tutti già sanno sulla necessità di
organi rappresentativi per la formazione delle leggi,
dell'indipendenza della magistratura - che prenderà il posto
dell'attuale - per l'applicazione imparziale delle leggi emanate,
della libertà di stampa e di associazione, per illuminare l'opinione
pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare
effettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni è
necessario precisare meglio le idee, per la loro particolare
importanza in questo momento nel nostro paese, sui rapporti dello
stato con la chiesa e sul carattere della rappresentanza politica:
a. la
Chiesa cattolica continua inflessibilmente a considerarsi unica
società perfetta, a cui lo stato dovrebbe sottomettersi, fornendole le
armi temporali per imporre il rispetto della sua ortodossia. Si
presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari, di cui
cerca approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire
il suo patrimonio, per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola
e sull'ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in Italia il
Vaticano ha concluso l'alleanza col fascismo andrà senz'altro abolito,
per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare
in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile.
Tutte le credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma
lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere
la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico;
b) la
baracca di cartapesta che il fascismo ha costruito con l'ordinamento
corporativo cadrà in frantumi, insieme alle altre parti dello stato
totalitario. C'è chi ritiene che da questi rottami si potrà domani
trarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non lo
crediamo. Nello stato totalitario le Camere corporative sono la beffa,
che corona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se anche però le
Camere corporative fossero la sincera espressione delle diverse
categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse
categorie professionali non potrebbero mai essere qualificati per
trattare questioni di politica generale, e nelle questioni più
propriamente economiche diverrebbero organi di sopraffazione delle
categorie sindacalmente più potenti. Ai sindacati spetteranno ampie
funzioni di collaborazione con gli organi statali, incaricati di
risolvere i problemi che più direttamente li riguardano, ma è
senz'altro da escludere che ad essi vada affidata alcuna funzione
legislativa, poiché risulterebbe un'anarchia feudale nella vita
economica, concludentesi in un rinnovato dispotismo politico. Molti
che si sono lasciati prendere ingenuamente dal mito del corporativismo
potranno e dovranno essere attratti all'opera di rinnovamento, ma
occorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la soluzione da
loro confusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita
concreta che nella forma assunta degli stati totalitari, per
irreggimentare i lavoratori sotto funzionari che ne controllano ogni
mossa nell'interesse della classe governante.
IV - LA
SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA: VECCHIE E NUOVE CORRENTI
La caduta
dei regimi totalitari significherà per interi popoli l'avvento della "libertà"
sarà scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno amplissime
libertà di parola e di associazione.
Sarà il
trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature
che vanno da un liberalismo molto conservatore, fino al socialismo e
all'anarchia. Credono nella "generazione spontanea" degli avvenimenti
e delle istituzioni, nella bontà assoluta degli impulsi che vengono
dal basso. Non vogliono forzare la mano alla "storia" al "popolo" al "proletariato"
o come altro chiamano il loro dio. Auspicano la fine delle dittature
immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili
diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è
un'assemblea costituente eletta col più esteso suffragio e col più
scrupoloso rispetto degli elettori, la quale decida che costituzione
il popolo debba darsi. Se il popolo è immaturo se ne darà una cattiva,
ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di
convinzione.
I
democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono
adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua
indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un
pressoché superfluo puntino da mettere sulla i. Sono perciò dirigenti
adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un
popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni
fondamentali, che debbono essere ritoccate solo in aspetti
relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le
istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi
democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei
democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei
più recenti esempi.
In tali
situazioni, caduto il vecchio apparato statale, con le sue leggi e la
sua amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianza di
vecchia legalità o sprezzandola, una quantità di assemblee e
rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze
sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da
soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille
campane suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di teste non
riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in
lotta tra loro.
Nel
momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici
si sentono smarrirti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare,
ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia
di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti,
laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare; perdono le
occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di
far funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione
e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; danno ai loro
avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli;
rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà
di rinnovamento, ma le confuse volontà regnanti in tutte le menti, che,
paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo
della reazione. La metodologia politica democratica sarà un peso morto
nella crisi rivoluzionaria.
Man mano
che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima
popolarità di assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione
politica e sociale, si andrebbero immancabilmente ricostituendo le
istituzioni politiche pretotalitarie, e la lotta tornerebbe a
svilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione delle
classi.
Il
principio secondo il quale la lotta di classe è il termine cui van
ridotti tutti i problemi politici, ha costituito la direttiva
fondamentale, specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha giovato
a dare consistenza alla loro politica, finché non erano in questione
le istituzioni fondamentali della società. Ma si converte in uno
strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga la
necessità di trasformare l'intera organizzazione della società. Gli
operai educati classisticamente non sanno allora vedere che le loro
particolari rivendicazioni di classe, o di categoria, senza curarsi di
come connetterle con gli interessi degli altri ceti, oppure aspirano
alla unilaterale dittatura delle loro classe, per realizzare l'utopistica
collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di produzione,
indicata da una propaganda secolare come il rimedio sovrano di tutti i
loro mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun altro
strato fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze
progressive del loro sostegno, e le lasciano cadere in balia della
reazione, che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stesso
movimento proletario.
Delle
varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista e
dell'ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuto la
difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e
per ciò si sono - a differenza degli altri partiti popolari -
trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta quel
che residua del mito russo per organizzare gli operai, ma non prende
leggi da essi, e li utilizza nelle più disparate manovre.
Questo
atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più
efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto più
possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie - col
predicare che la loro "vera" rivoluzione è ancora da venire -
costituiscono nei momento decisivi un elemento settario che
indebolisce il tutto. Inoltre la loro assidua dipendenza allo stato
russo, che li ha ripetutamente adoperati senza scrupoli per il
perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di
perseguire una politica con un minimo di continuità. Hanno sempre
bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un Negrin, per
andare poi fatalmente in rovina dietro i fantocci democratici
adoperati, poiché il potere si consegue e si mantiene non
semplicemente con la furberia, ma con la capacità di rispondere in
modo organico e vitale alle necessità della società moderna. La loro
scarsa consistenza si palesa invece senza possibilità di equivoci
quando, venendo a mancare il camuffamento, fanno regolarmente mostra
di un puro verbalismo estremista.
Se la
lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale,
sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati
nazionali hanno infatti già così profondamente pianificato le proprie
rispettive economie che la questione centrale diverrebbe ben presto
quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè quale
classe, dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fronte
delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa tra
classi e categorie economiche. Con le maggiori probabilità i
reazionari sarebbero coloro che ne trarrebbero profitto. Ma anche i
comunisti, nonostante le loro deficenze, potrebbero avere il loro
quarto d'ora, convogliare le masse stanche, deluse, assumere il potere
ed adoperarlo per realizzare, come in Russia, il dispotismo
burocratico su tutta la vita economica, politica e spirituale del
paese.
Una
situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante
significherebbe non uno sviluppo non in senso rivoluzionario, ma già
il fallimento del rinnovamento europeo.
Larghissime masse restano ancora influenzate o influenzabili dalle
vecchie tendenze democratiche e comuniste, perché non scorgono nessuna
prospettiva di metodi e di obiettivi nuovi. Tali tendenze sono però
formazioni politiche del passato; da tutti gli sviluppi storici
recenti nulla hanno appreso, nulla dimenticato; incanalano le forze
progressiste lungo strade che non possono serbare che delusioni e
sconfitte; di fronte alle esigenze più profonde del domani
costituiscono un ostacolo e debbono o radicalmente modificarsi o
sparire.
Un vero
movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che hanno saputo
criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà sapere collaborare
con le forze democratiche, con quelle comuniste, ed in genere con
quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma senza
lasciarsi irretire dalla loro prassi politica.
Il
partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato
nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno
nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri generali e
nelle prime direttive d'azione. Esso non deve rappresentare una
coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente e
negativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice
del disgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per
la sua strada una volta raggiunta quella caduta. Il partito
rivoluzionario deve sapere invece che solo allora comincerà veramente
la sua opera e deve perciò essere costituito di uomini che si trovino
d'accordo sui principali problemi del futuro. Deve penetrare con la
sua propaganda metodica ovunque ci siano degli oppressi dell'attuale
regime, e, prendendo come punto di partenza quello volta volta sentito
come il più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare come
esso si connetta con altri problemi e quale possa esserne la vera
soluzione. Ma dalla schiera sempre crescente dei suoi simpatizzanti
deve attingere e reclutare nell'organizzazione del partito solo coloro
che abbiano fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della
loro vita, che disciplinatamente realizzino giorno per giorno il
lavoro necessario, provvedano oculatamente alla sicurezza, continua ed
efficacia di esso, anche nella situazione di più dura illegalità, e
costituiscano così la solida rete che dia consistenza alla più labile
sfera dei simpatizzanti.
Pur non
trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua
parola, esso deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a
quegli ambienti che sono i più importanti come centri di diffusione di
idee e come centri di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto
verso i due gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e
decisivi in quella di domani, vale a dire la classe operaia e i ceti
intellettuali. La prima è quella che meno si è sottomessa alla ferula
totalitaria, che sarà la più pronta a riorganizzare le proprie file.
Gli intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che si
sentono spiritualmente soffocare e disgustare dal regnante dispotismo.
Man mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento
generale. Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di
queste forze è condannato alla sterilità, poiché, se à movimento di
soli intellettuali, sarà privo di quella forza di massa necessaria per
travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato
rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da sentimenti
democratici, sarà proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sul
terreno della reazione di tutte le altre classi contro gli operai,
cioè verso una restaurazione.
Se
poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di
pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è
necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà
prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e
sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.
Durante
la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere
le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si
formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi
le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di
essere guidate.
Esso
attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una
preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà
popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde
della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo
ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso
questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e
attorno ad esso la nuova democrazia.
Non è da
temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente
sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un
tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando
con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita
libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla
vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso
eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva
comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e
perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di
istituzioni politiche libere.
Oggi è il
momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti
ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da
tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e
suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano,
cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i
motivi dell'attuale crisi della civiltà europea, e che perciò
raccolgono l'eredità di tutti i movimenti di elevazione dell'umanità,
naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come
raggiungerlo.
La via da
percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.
|