Intervista a Pietro Valpreda

dal libro "La notte della Repubblica" di Sergio Zavoli


Zavoli: Signor Valpreda, dove si è fermata a suo avviso la verità?  

Valpreda: Subito dopo la strage, appena arrivarono i giudici mandati dal potere, da Roma, che carpirono l'istruttoria al giudice naturale di Milano, un giudice di Magistratura democratica che, allora, sembrava volesse fare non solo un'indagine con i crismi della legalità, come è stato fatto in seguito, ma anche appurare la verità che fu rapinata, invece, dopo ventiquattro ore. Credo che da allora la verità sia sparita totalmente, anche se poi con controinchieste, mezze ammissioni, eccetera, qualcosa emerse…non in forma attiva, ma in forma negativa… non del genere "ha fatto", ma "non mi ricordo", "non ho potuto fare". Però, si, qualcosa è rimasto.

Z: Il nostro è uno Stato di diritto, con una democrazia forte, in cui si ha la più alta percentuale di votanti nel mondo, e che al terrorismo ha dato risposte non ideologiche: è disposto oggi a riconoscerlo?

V: Secondo le mie esperienze mi sembra che siamo usciti abbastanza fuori dalla Costituzione. Non voglio parlare di altre persone che, inquisite, sono state anni in carcere, forse più duro del mio, e che poi, passato gli anni dell'emergenza, sono risultate innocenti. C'era un clima pesante, allora, e non mi sembra fosse il clima dei dettami costituzionali.

Z: Il altri paesi pur democratici - la Germania occidentale, per esempio - si sono scelte a volte forme inconfessabili di repressione, mentre da noi emergenza e garantismo hanno cercato una difficile conciliazione. A suo giudizio, il sistema delle garanzie, in generale, è stato rispettato nel nostro Paese?

V: No.

Z: Questa giustizia che le è stata resa le basta o la vuole piena, senza alcuna riserva?

V: Ma senta, io ho trovato abbastanza forza in me per reagire, e forse ho avuto anche una situazione oggettiva che mi ha permesso di rifarmi una vita. Per il resto, non credo di dover chiedere di più… Non credo neanche che lo Stato possa e voglia dare di più. Altri hanno detto: sarà fatta giustizia, sarà fatta luce. Non so, questo mi pare misticismo… Credere in un dio statale che non esiste… Perché dovrei pregare davanti a un altare in cui non credo? C'è una verità dello Stato. Io ho avuto la mia, che mi ha promesso di sopravvivere. Proseguo con la mia.

Z: C'è un tempo della verità che viene per le persone, cioè dentro di noi, al di là di ciò che accade fuori. In genere è il dolore, la sofferenza a risistemare, negli anni, cose, pensieri, sentimenti e giudizi. Quella strage ha avuto strascichi gravi, persino delittuosi (penso all'uccisione del commissario Calabresi). Di fronte alla colpevolizzazione di Calabresi, concitata, emotiva, senza appello, qual era il suo stato d'animo, allora? Come reagì alla notizia di quell'evento e come lo giudica, oggi?

V: Quando fu ammazzato il commissario Calabresi mi trovano ancora in carcere, attraversavo un periodo abbastanza critico. Il commissario fu ucciso poco tempo dopo che fu sospeso il mio primo processo a Roma e non vedevo una via d'uscita. Se dicessi che allora mi è dispiaciuto della morte del commissario Calabresi sarei un ipocrita. Adesso, forse, riuscirò a scindere il Calabresi uomo che conoscevo dal Calabresi politico, portato avanti come emblema di morte da Lotta continua, dai compagni e anche dal sottoscritto. Calabresi era sicuramente un individuo preparato e intelligente. Credo che uno dei motivi per cui è arrivato dove è arrivato, cioè ad essere assassinato, sia stata l'ambizione. Sì, Calabresi era un ambizioso… nel senso che anche nei nostri interrogatori non voleva mostrarsi un commissario sprovveduto, ma diceva: "Guarda, io ho letto Bakunin, perciò non mi dire questo, ho letto Malatesta" e così via. Aveva una certa preparazione, insomma. E' certo che Calabresi non era nella stanza quando morì Pinelli. C'erano quattro poliziotti e un carabiniere, si sanno i nomi e i cognomi. Un altro dato è certo: Calabresi conosceva me e conosceva ancora meglio Pinelli, che era quello che andava in questura a chiedere i permessi per le affissioni dei manifesti e per le manifestazioni. Lo conosceva benissimo e sapeva benissimo che Pinelli era innocente… ne sono convinto. Perché a un sospetto di strage, fermato in un gruppo anarchico, non si dice:"Noi andiamo in macchina, tu seguici con il motorino." Quella era una strage. Quando mai si è visto che la polizia, anche a uno sospettato di avere accoltellato la moglie, dica:"Siamo stretti, noi andiamo in macchina, tu seguici in bicicletta"? Qui si prende in giro l'intelligenza delle persone. La morte di Calabresi credo che alla sinistra abbia fatto più male che bene. Mentre con Calabresi vivo potevano forse emergere alcune responsabilità, Calabresi morto diventava una pietra tombale.

Z: Perdoni, a me non interessava tanto sapere il giudizio, diciamo, politico su quella morte e sull'opportunità o meno di uccidere in base ad alcune logiche, seppure perverse. Io volevo chiederle: lei, in fondo, parlando di Calabresi, la cosa più negativa che ha potuto attribuirgli è l'ambizione. Ma l'ambizione è una colpa da pagare con la vita?

V: No!

Z: Oggi, che giudizio dà dell'uccisione di Calabresi?

V: Come ho detto prima, un giudizio negativo sotto tutti i punti di vista. E là in questura, sicuramente, ci sono nomi e cognomi di persone che anno senz'altro più responsabilità di Calabresi.

Z: Che cosa pensa sia accaduto quella notte negli uffici della questura, dopo che Pinelli fu interrogato da Calabresi?

V: Senta, io ci ho pensato per anni e ci penso ancora sul piano politico, e sul piano umano, perché per me Pinelli era un amico e un compagno. Pinelli trascorse settantadue ore in questura, ben oltre i tempi di un fermo regolamentare. In quei due giorni poté muoversi, telefonare alla moglie, la moglie poté andare a ritirare la sua paga. Ora, quel minimo di libertà che Pinelli aveva in questura non era la libertà che si dà a un individuo sospettato non dico di strage, ma nemmeno di un volgare furto. Difatti, appena c'è un piccolo sospetto, la polizia tiene altri comportamenti. Il fermato viene accompagnato anche per i suoi bisogni personali e la porta rimane aperta. Pinelli, invece, ha potuto, come dicevo prima, telefonare a casa fino alle dieci di sera. Alle dieci di sera comincia questo interrogatorio e Pinelli precipita dal quarto piano della questura. Sembra che ci sia una frattura tra queste settanta ore e le ultime due, che sia successo un qualcosa che esuli da piazza Fontana, un avvenimento diverso, estraneo: qualunque ipotesi è buona. Che Pinelli sia stato assassinato, ne sono pienamente convinto. Io, che lo conoscevo bene, so che non si sarebbe mai suicidato. Aveva due bambine che adorava, la Silvia e la Claudia, aveva una moglie… e poi tutta la sua attività politica, gli amici, eccetera. Quanto è successo lì, in questura, anche a distanza di anni, mi è incomprensibile, davvero…

Z: Vent'anni, dunque, per avere giustizia: non solo lei ma, insieme con lei e con tanti altri, soprattutto i familiari di quelle povere persone morte di stragismo, cioè di un delitto alla cieca che mette insieme della gente sconosciuta e la trasforma in un bersaglio. Si saprà mai la verità, e a quali condizioni' Lei crede ancora nella giustizia?

V: Non necessariamente. Credere nella verità non comporta credere nella giustizia. In questi ultimi tempi abbiamo visto che, forse, credere nella verità è porsi in antitesi con la giustizia. Io, per conto mio, sono convinto che alcune verità non si sapranno più. Credo che, anche aprendo tutti gli archivi dei Servizi segreti, non possano emergere altre verità. Potrebbero emergere delle indicazioni, delle ammissioni, delle non responsabilità, forse. Ma la colpevolezza non credo più che si trovi!

Z: Io non sono in grado di stabilire se questo suo pessimismo abbia fondamento, so però che non andrebbe incoraggiato. Vorrei aprire una piccola finestra, invece, sul futuro. In nome dell'ottimismo: suo figlio. Lei lo ha chiamato Tupa Libero Emiliano. Oggi ha quindici anni, ha pertanto vissuto, in grado di capirle, le ultime fasi delle sue lunghe vicissitudini giudiziarie. Gli ha mai palato della sua storia? E lui le ha mai fatto domande? Come vi siete spiegati?

V: Devo dire che mio figlio non ha mai avuto problemi. Casa mia è sempre stata frequentata dalla nostra cerchia, un gruppo di amici, compagni, persone che non hanno fatto pesare a mio figlio niente. Nel quartiere, uguale. Non veniva additato come "il figlio del mostro". La mia storia lo ha sfiorato, senza nemmeno toccarlo.

Z: Che cosa si augura per suo figlio?

V: Beh, che sia felice. Non gli auguro né soldi, né successo. E, ovviamente, che non passi le esperienze che ha passato suo padre.

 

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