Dal Programma dell’Unione 2006-2011
il capitolo dedicato
alla scuola
Investire
nella scuola
Apprendere lungo tutto il corso della
vita è un diritto inalienabile
di ciascuno. Per questo
è necessaria una scuola inclusiva,
di qualità, che non
lascia indietro nessuno. In una società
dell’informazione e del
pluralismo culturale quale è la nostra,
la scuola deve essere
il perno del sistema formativo, dando spazio
alle differenti
metodologie dell’apprendimento, dando fiducia
alle diverse capacità e
modalità di crescita delle persone.
Il futuro dell’Italia parte da qui: la
società e le famiglie
devono investire nella
scuola, che sarà chiamata ad una maggiore
responsabilità. Combatteremo così
l’impoverimento culturale,
l’analfabetismo di
ritorno, il fallimento formativo, la dispersione
scolastica.
Investire sui giovani è la scelta
della nuova Italia.
È infatti
nella scuola che si forma la cittadinanza. Qui tutti
crescono insieme, qui si
costruisce
le fondamenta di
un’etica pubblica laica e condivisa, rispettosa
delle scelte, delle fedi,
delle convinzioni di ognuna e
ognuno. La scuola è una garanzia per
la democrazia. È indispensabile
rifondarne il ruolo pubblico,
valorizzare la professionalità
e l’autorevolezza
degli insegnanti.
La scuola è una macchina complessa che
ha bisogno di un progetto
condiviso e di lungo periodo
per dispiegare l'efficacia della
sua azione educativa. Un
tale modello di scuola non può che
essere costruito intorno
agli studenti di ogni età, alle loro
potenzialità, alle loro domande.
Solo così si potrà riattivare
la comunicazione tra
adulti e nuove generazioni.
La scuola può essere per gli studenti
anche luogo di integrazione,
dove vengono valorizzate
le differenze e rifiutate le
discriminazioni e i pregiudizi. In
questo senso, noi crediamo
indispensabile anche potenziare la
qualità dell'integrazione
scolastica delle persone con disabilità, garantendo personale
specializzato e adeguati servizi
territoriali, al fine
di rimuovere ogni
barriera architettonica, percettiva e culturale
al pieno esercizio del
diritto allo studio degli studenti
con disabilità.
Vogliamo segnare una netta
discontinuità con quanto fatto dal
centrodestra in questi cinque
anni: apriremo una nuova grande
stagione di alfabetizzazione. Solo attraverso l’istruzione
possiamo realizzare
pienamente l’equità, l’inclusione sociale,
la modernizzazione del
Paese.
Con gli atti dei primi mesi di
governo, in radicale discontinuità
con gli indirizzi e le
scelte di centro-destra, abrogheremo
la legislazione vigente
in contrasto con il nostro programma.
Dovremo promuovere l’istruzione
scientifica e tecnica, mettere
in comunicazione la
scuola e il mondo, l’istruzione e il lavoro,
innalzare ed estendere il
livello d’istruzione del Paese per
essere competitivi in
Europa e nel mondo.
Per rilanciare la scuola sfrutteremo
la sua forza principale,
quella dell’autonomia. La progettualità e l’innovazione che
vengono dal territorio sono
risorse preziose, cui dovremo dare
spazio, accogliendo il
dibattito culturale e le sperimentazioni
coraggiose.
Vogliamo investire sui giovani
migranti, sulle loro intelligenze
e su un incontro di
culture che parte dai giovani. Una scuola che
includa, integri ed
accompagni in tutti i livelli dell'istruzione
le ragazze e i ragazzi
stranieri e che garantisca l’apprendimento
della lingua italiana
curando che non si perdano le lingue e culture
originarie è un investimento
strategico sull’immigrazione.
Porremo il dialogo interculturale ed
interreligioso come obiettivo
fondamentale del sistema
dell’istruzione.
Un ruolo centrale avranno
gli insegnanti, la cui professione
riveste un ruolo strategico
per il Paese. Vogliamo rendere l’insegnamento
una scelta appetibile
per i migliori talenti, uomini
e donne, così che la
qualità della scuola possa beneficiare
della loro formazione e
qualificazione.
Infine vogliamo far crescere la
dimensione europea della scuola
italiana, perché il futuro
dell’Italia è in Europa. Formeremo in
questo modo le nuove
generazioni alla cittadinanza europea e
mondiale, ricorrendo alla
comparazione internazionale, agli
scambi d’insegnanti e di
studenti, per rendere l’Italia un Paese
leader nell’innovazione
educativa.
Tale insieme di misure richiederà un
serio investimento nell’istruzione.
Dovremo sviluppare politiche
integrate, ed elaborare
un piano finanziario,
in rapporto al Pil, per obiettivi
strutturali: edilizia
scolastica, diritto allo studio, qualificazione
degli insegnanti, progetti
dell’autonomia, ampliamento
del tempo scuola,
organico funzionale e stabilità dei docenti.
Le
risorse dell’autonomia scolastica
L’autonomia non è
solo un insieme di norme, ma esprime un sistema
di valori ed una
cultura. Valori di questa cultura sono la
difesa dei diritti, il
principio di responsabilità, il primato
della legalità, la
ripartizione e i limiti dei poteri.
L’autonomia è riconosciuta dalla
Costituzione, e trova nella
legge 59/97 le indicazioni
relative alle sue finalità, agli
ambiti decisionali e ai
vincoli.
I suoi connotati essenziali
(didattica, organizzativa, amministrativa,
di ricerca e sviluppo)
sono chiari, ma bisogna evitare
da una parte che gli
apparati amministrativi o altri livelli
istituzionali neghino tale
autonomia, dall’altra che essa si
risolva nel localismo e
nell’autoreferenzialità.
Per questo servono le giuste
condizioni culturali e materiali, e
devono essere garantiti gli
organici funzionali e le risorse
indispensabili all’esercizio
dell’autonomia.
Serve anche l’impegno da parte dello
Stato, degli Enti locali e
delle Autonomie
scolastiche a mettere al centro la persona che
apprende, rispettando le
prerogative e la pari dignità di ciascun
livello istituzionale.
Respingendo la destrutturazione del
sistema nazionale di istruzione
prevista dalla “devolution” bisogna individuare le materie
riservate allo Stato e quelle
di competenza delle Regioni,
preservando le autonomie locali
e delle singole scuole.
Compito dello Stato è garantire il
carattere unitario del sistema
nazionale pubblico di
istruzione ed istituire un servizio di
valutazione qualificato ed
indipendente, in grado di intervenire
per ridurre le
disuguaglianze.
Alle Regioni spetta invece di gestire
– valorizzando il ruolo
delle Autonomie Locali -
lo sviluppo e la distribuzione territoriale
dell’insieme dell’offerta
formativa. Nell’esercizio dell’autonomia
le istituzioni
scolastiche, anche in rete tra loro e
d’intesa con le Regione
e gli Enti Locali, possono sperimentare
forme di arricchimento dei
percorsi scolastici avvalendosi
delle risorse e delle
opportunità formative presenti sul territorio.
Le relazioni tra le Istituzioni
scolastiche autonome, le
Autonomie locali e le realtà sociali
economiche e culturali del
territorio non possono essere
risolte in modo burocratico, ma
devono promuovere la
partecipazione democratica.
Proponiamo per questo – a livello
provinciale e/o subprovinciale
- l’istituzione di Conferenze
territoriali apposite. Questa
soluzione consentirebbe un
esercizio democratico ed efficace
delle competenze dei
Comuni, delle Province e delle Regioni, in
particolare per quanto concerne
i piani di organizzazione della
rete scolastica, gli
interventi integrati di orientamento scolastico
e professionale, le
azioni a sostegno della continuità e
della prevenzione della
dispersione scolastica.
Per aiutare questo progetto dobbiamo
favorire la costituzione
di reti di scuole e il
riconoscimento da parte di Regioni ed
Enti Locali di forme di rappresentanza
delle scuole autonome.
Queste dovranno peraltro fare costante
riferimento agli obiettivi
di apprendimento e agli
ordinamenti azionali, oltre che ai
bisogni formativi
concretamente rilevati e le esigenze degli
studenti e delle loro
famiglie.
La progettazione e la realizzazione
dell’offerta formativa si
attuano pertanto attraverso
l’integrazione del curricolo obbli-
gatorio nazionale con una
quota flessibile dell’orario del
15-20 per cento affidata alla esclusiva competenza della scuola
Riteniamo poi che le scuole autonome
debbano adottare procedure
e strumenti di
verifica e valutazione del raggiungimento degli
obiettivi.
Le Conferenze di scuola possono
rappresentare occasioni importanti
per acquisire elementi
utili a definire l’offerta formativa,
motivando le scelte effettuate
e il conseguente accoglimento
o non accoglimento
delle stesse. Nella stessa occasione si
può poi rendere conto
delle attività svolte e dei risultati
ottenuti. Tali Conferenze permettono
un rapporto efficace con
le realtà territoriali
e consentono di affrontare la riorganizzazione
degli organi collegiali
interni rispettando l’autonomia
e la responsabilità
della scuola.
Dobbiamo poi distinguere chiaramente
le funzioni di indirizzo
(il Consiglio di
Scuola), le competenze tecnico professionali e
le responsabilità
organizzative e gestionali, valorizzando il
ruolo del Collegio dei
Docenti nell’elaborazione del Piano di
Offerta Formativa.
Dobbiamo inoltre garantire a tutti i docenti la libertà di insegnamento
prevista dall’art. 33 della
Costituzione. Solo tramite
tale libertà si promuove
infatti la piena formazione della personalità
degli alunni. Dovremo inoltre
garantire l’autonomia
professionale nello svolgimento
dell’attività didattica, scientifica
e di ricerca. È necessario, pertanto,
che a livello
regionale e nazionale siano
costituti organi di rappresentanza
e garanzia
dell’autonomia della libertà di insegnamento.
Consideriamo quindi prioritario in
tema di autonomia scolastica:
- determinare le condizioni culturali
e materiali affinché l’autonomia
dei singoli istituti
scolastici possa pienamente realizzarsi,
definendo gli organici
funzionali per tutti gli ordini
e i gradi di scuola e
le risorse finanziarie necessarie;
- stabilire con chiarezza, in un
quadro di sussidiarietà e cooperazione,
i rapporti tra Stato,
Regioni e Scuole autonome, stabilendo
le rispettive funzioni
e competenze alla luce della
Costituzione vigente. Lo Stato
garantisce i livelli essenziali,
mentre le Regioni hanno un
compito di programmazione e gestione.
Le Scuole autonome gestiscono infine
l’offerta formativa;
- definire nuovi organi collegiali d’istituto per un miglior rapporto
tra responsabilità,
collegialità, valorizzazione delle
professionalità;
- promuovere Conferenze di scuola e/o
territoriali per sviluppare
l’autonomia;
- definire gli obiettivi formativi
validi per tutto il territorio
nazionale e i livelli
essenziali delle prestazioni relativi
all’istruzione e alla
formazione professionale;
- istituire un servizio nazionale di
valutazione qualificato e
indipendente;
- favorire la nascita di reti di
scuole e di forme di rappresentanza
delle scuole autonome ai
vari livelli territoriali.
Il
diritto di imparare per tutta la vita
Ogni persona ha diritto all’istruzione
e all’apprendimento per
tutta la vita: in questo
modo si elevano i saperi e le competenze
individuali e sociali. Il sapere
e la conoscenza sono del resto,
al tempo stesso,
investimento strategico per lo sviluppo di un
Paese, come ricorda la strategia di
Lisbona.
La situazione italiana è però paradossale: abbiamo, rispetto agli
altri Paesi europei, il
più basso livello di istruzione, una
dispersione scolastica intorno
al 30%, carenze nelle discipline
matematiche e scientifiche, il
minor numero di laureati e di
ricercatori, il minor livello di
investimenti dedicati
ai sistemi formativi,
ulteriormente ridotti in questi anni dal
centrodestra.
La conoscenza è
fattore essenziale per la crescita civile e sociale.
Crediamo che si debba investire in
conoscenza diffusa, in qualità
ed efficacia dei
percorsi formativi, cominciando dalle scuole
per l'infanzia fino ai
livelli più alti, dai percorsi formativi
tecnici ai centri di
eccellenza.
Coerentemente con la strategia europea
ci proponiamo perciò alcuni
precisi obiettivi da
raggiungere nel corso della legislatura.
Su queste basi si costruirà
l’innalzamento culturale e dei livelli
di istruzione per il
Paese:
- portare tutti
i ragazzi al conseguimento di un titolo di studio
superiore: ad un diploma
superiore e/o ad una qualifica professionale
(almeno triennale); più
precisamente, entro la legislatura,
gran parte della
popolazione ventiduenne deve conseguire
un diploma. Tali obiettivi
necessitano un forte impegno per
realizzare una scuola che
includa;
- attuare una decisa lotta contro la
dispersione scolastica e
formativa, con l’obiettivo di
rientrare nella media del 10%.
Questo richiederà un forte
collegamento tra autonomie scolastiche,
Enti locali, associazionismo e
volontariato; si propone
l'istituzione di un
Osservatorio nazionale sulla dispersione
scolastica e sul lavoro
minorile;
- valorizzare ed incentivare
i percorsi di studio in discipline
matematiche, scientifiche,
tecnologiche: il totale dei laureati
in tali discipline
dovrà aumentare nettamente entro la legislatura,
diminuendo nel contempo gli
squilibri di genere legati
alla segregazione
formativa delle ragazze;
- raddoppiare l
livello di partecipazione degli adulti a percorsi
di apprendimento
permanente, nella prospettiva di raggiungere
il 12,5% previsto dalla
UE.
Per quanto riguarda i sistemi
dell’istruzione, della formazione
professionale, dell’Università, i
nostri obiettivi sono:
- 0-6 anni: potenziare l’offerta
educativa, progettandola in
un’ottica di continuità.
Vogliamo inoltre incrementare fortemente
l'offerta quantitativa
e l’utenza degli asili nido entro la
fine della legislatura, e
generalizzare la scuola d’infanzia
abolendo la norma sugli
anticipi per le iscrizioni alla scuola
dell’infanzia ed
elementare;
- primo ciclo: mantenere
l’articolazione in scuola elementare e
media, di durata di otto
anni, potenziando gli elementi di continuità
didattica e di percorso,
diffondendo gli istituti comprensivi.
Deve essere garantito più tempo scuola
e vanno eliminate le
riduzioni dell’orario di tutti
apportate dalla Moratti.
Puntiamo alla valorizzazione del tempo
pieno e del tempo prolungato,
ripristinandone la normativa
nazionale, da valorizzare
come modelli didattici,
con il riconoscimento della pari valenza
educativa di tutte le attività
previste;
- secondo ciclo: elevare l’obbligo di istruzione gratuita fino a
16 anni (primo biennio della scuola
superiore). Tale biennio
sarà da un lato interrelato
con la scuola media ed avrà dall’altro
valenza orientativa rispetto
ai percorsi successivi. Un
biennio strutturato in modo
da contemperare le esigenze del completamento
della formazione culturale
di base, del potenziamento
delle capacità di scelta e
della propedeuticità ai percorsi successivi,
impostato su metodologie
didattiche rispettose delle
diverse forme di
intelligenza e dei diversi stili di apprendimento
. In questo modo si supera la
canalizzazione precoce prevista
dalla legge Moratti . Il secondo ciclo di istruzione,
in
ogni caso quinquennale,
si conclude con un esame di Stato, con
commissioni a prevalente
composizione esterna;
- scuola e formazione professionale:
l’obbligo formativo, dai 16
ai 18 anni, si realizza
nei sistemi dell’istruzione, della formazione
professionale, nell’apprendistato
con un monte ore di
formazione incrementato
coerentemente con gli standard e gli
obiettivi formativi. La
formazione professionale si configura
come sistema distinto da
quello dell’istruzione, con il quale
crea relazioni e progetti
integrati . Dobbiamo favorire i passaggi
da un percorso
all’altro, attraverso un sistema nazionale
di qualifiche
professionali, dispositivi condivisi di certificazione
e di riconoscimento
dei crediti. Prima dei 18 anni è inoltre
escluso qualsiasi rapporto
di lavoro che non abbia una prevalente,
certificabile (e sanzionabile in
caso di inadempienza)
valenza formativa:
- scuola e lavoro: innalzare l’età
minima per l’accesso al lavoro
dai 15 ai 16 anni;
- alta formazione professionale:
permettere l’accesso dall’istruzione,
dalla formazione
professionale e dall’apprendistato,
valorizzando la filiera
tecnico-scientifica e professionale;
- formazione permanente e lotta alla dipersione scolastica:
varare una legge per
alfabetizzare e rialfabetizzare, riconquistare
ai livelli d’istruzione
dell’obbligo e di istruzione-
formazione anche oltre
l’obbligo; promuovere opportune
politiche di contrasto alla
povertà che sostengano il successo
scolastico e formativo dei
ragazzi e dei giovani, in particolare
nelle regioni e nei
territori in cui la dispersione
superi significativamente
la media UE. Rilanceremo anche i
Centri territoriali per l’educazione
permanente. L’obiettivo
è raddoppiare il
numero degli adulti che partecipano a
percorsi di apprendimento
permanente, raggiungendo la quota
europea del 12,5%. Per
rendere effettivo il diritto
all’istruzione e
all’apprendimento per tutta la vita vogliamo
rilanciare – con un grande
coinvolgimento degli enti locali,
delle scuole, delle
università, degli enti locali, del mondo
della cultura – un
progetto formativo che rappresenti oggi le
“150 ore per la società della
conoscenza”.
Lavorare
con i protagonisti della scuola
Ridare valore alla
scuola significa soprattutto ricostruire
un’idea d’appartenenza
da parte di chi la vive giorno per giorno.
In questo senso serve
una politica di cambiamento, che promuova
il protagonismo e la
partecipazione dei soggetti.
Per
generazioni. Ragazze
e ragazzi esprimono nei confronti della
società tutta, e dunque
anche della scuola, domande a cui non è
facile trovar risposte
adeguate: cresce la fatica dell’insegnamento,
e, da parte dei
giovani, anche per questi motivi, aumenta
la disaffezione allo
studio, che incide a sua volta sulla
dispersione scolastica.
Del resto non c’è
processo di riforma del sistema educativo se
non c’è coinvolgimento
degli insegnanti che ne condividano progetto
e percorsi. Sono
quindi necessarie politiche di valorizzazione
della professionalità di
chi opera nella scuola, per
restituire loro la dignità e il
senso di una professione strategica
per il Paese.
Lo stato di forte
disagio in cui versa il mondo della Scuola
deriva anche dal
disconoscimento e dalla sottovalutazione della
funzione e dell’autorevolezza
sociale degli insegnanti. Non
sono possibili riforme
senza che i destinatari ne siano anche
protagonisti; non si fanno buone
riforme nonostante gli insegnanti:
l’innovazione si
costruisce con gli insegnanti, in particolare
con quelli tra loro che
per l’innovazione si sono sempre
spesi.
Bisogna
riconquistarne la fiducia degli insegnanti, riconsegnare
loro le risorse e un
ruolo centrale per la realizzazione dell’innovazione.
Occorre attivare
politiche per valorizzare il
loro lavoro, il loro
ruolo, la loro formazione scientifica nelle
diverse declinazioni
disciplinari, la loro funzione di intellettuali
e di protagonisti di
scelte chiave per la qualità del
futuro del Paese. In una
scuola concepita come comunità professionale,
educativa, di apprendimento e
di ricerca, e dove ogni
soggetto partecipa ad un
progetto condiviso, la famiglia non è
una controparte né tantomeno un semplice utente del servizio.
Essa è invece un
partner, con cui stringere un patto formativo.
I genitori sono
importanti, per i bisogni che esprimono e per i
problemi che manifestano.
Gli enti locali,
infine, incentivando lo sviluppo delle reti di
scuole e del sistema
educativo territoriale, hanno un ruolo
decisivo nel costruire una
scuola realmente aperta al territorio
e più partecipata, una
scuola che combatte la dispersione
scolastica contribuendo ad
individuare il disagio e le esigenze
dei soggetti in
formazione.
Per rispondere alle esigenze degli studenti
voltare pagina
rispetto alle politiche
attuate in questi cinque anni, rilanciando
la scuola
dell’inclusione, combattendo la dispersione
scolastica ed avvicinando le
scuole alle diverse culture dei
giovani. Gli studenti hanno bisogno di
sentirsi protagonisti
del proprio percorso
formativo.
Nella stessa ottica dobbiamo dare una
risposta alle difficoltà
d’integrazione dei
sempre più numerosi studenti immigrati
iscritti alle scuole
italiane. Dobbiamo ritrovare la progettualità
studentesca e la collaborazione
docenti-studenti, ribadendo
il valore dello Statuto
delle studentesse e degli studenti.
Per gli insegnanti, e più in generale
per tutto il personale,
anche con il contributo e
il confronto con le diverse forme di
rappresentanza e sulla base di
accordi con le organizzazioni sindacali
sulle materie
contrattuali, procederemo su tre piani:
- valorizzazione del loro ruolo,
rendendoli protagonisti del
nuovo progetto culturale e
portando le retribuzioni di tutto
il personale al livello
dei Paesi europei;
- lotta ad ogni forma di precarietà,
con l’immediata copertura
di tutti i posti
vacanti, immettendo in ruolo coloro che già
lavorano nella scuola e
agevolando coloro che si sono formati
in questi anni;
- rilancio di un sistema della prima
formazione, del reclutamento,
della formazione in
servizio. Nella prima formazione e
nella formazione in
servizio si deve recuperare il collegamento
università-scuola. Nel reclutamento
serve un sistema
pubblico e trasparente.
Università
ed enti di ricerca:motori dell’innovazione
e della mobilità
sociale
L’Italia ha di fronte
una grande sfida: rimettere la conoscenza,
il sapere al centro
della politica, dell’economia,
della società.
Pochi laureati e ricercatori, bassi
investimenti in ricerca e
innovazione, scarso impegno
nella formazione continua sono
tutti segni di difficoltà.
Eppure si percepisce tra i cittadini,
soprattutto tra i più giovani,
la voglia di cambiare
rotta, di puntare
decisamente sulla conoscenza come fattore
propulsivo del benessere
personale e dell’equità sociale.
L’Unione vuole assecondare e governare
questi processi legati
alla priorità della
conoscenza, affermandone innanzitutto la
natura di bene comune non
mercificabile, di fondamento stesso
della cittadinanza
democratica. La conoscenza è l’unico sicuro
capitale per il futuro
posseduto dai singoli e dalle
comunità, un capitale che
accresce il suo valore quanto
più è condiviso e
scambiato. Lo sviluppo straordinario
dell’interconnessione e
dell’accessibilità telematica dei
saperi e delle esperienze
di milioni di persone ha accresciuto
la caratteristica della
conoscenza come impresa
collettiva e come paradigma di
una cittadinanza attiva
libera e planetaria.
Inoltre la competitività economica del
Paese richiede un
grande salto in avanti in
tutti i settori della ricerca e
dell’innovazione
tecnologica: eppure noi perdiamo i giovani
migliori, molti dei quali
sono costretti a fuggire all’estero.
L’uso delle tecnologie deve
corrispondere anche alla crescita
di una cultura
tecnologica capace di intercettare
necessità sociali più
avanzate: di governo e di tutela del
territorio, della salute,
dell’ambiente, dei beni culturali.
Università ed enti di ricerca sono
luoghi primari della conoscenza,
dove si crea e si
trasmette il sapere, dove qualità e
quantità sono chiamate a
conciliarsi in una nuova missione
istituzionale e con nuove
responsabilità. La formazione superiore
e la ricerca libera
costituiscono beni pubblici di fondamentale
importanza ed è compito
primario dello Stato sostenerle
e, insieme, favorire
ogni forma di integrazione con le
istituzioni territoriali
pubbliche o private.
Il sistema italiano delle università e
della ricerca – nonostante
alcuni notevoli passi di autoriforma e di impegno per
la qualità in alcuni
atenei ed enti o in alcuni settori
disciplinari e gruppi di ricerca
più aperti al confronto
internazionale e quindi più
competitivi – mostra seri problemi
e non riesce che in
parte a corrispondere alla complessità
delle sfide che la società
gli pone: la mobilità sociale
delle persone, il
rapidissimo cambiamento dei profili professionali,
l’innovazione
scientifica e tecnologica del Paese,
le nuove proiezioni
vocazionali dei giovani. È infatti sottofinanziato,
non ha efficienti
modalità di governo autonomo
per cui l’autocorrezione è molto difforme, ha strumenti di
valutazione ancora gracili, è
lento e talvolta addirittura
chiuso ad accogliere i
giovani di talento. Il merito è una
qualità fortunatamente
diffusa, ma non abbastanza premiata
dal funzionamento
normale delle istituzioni scientifiche ed
accademiche. Anche i meccanismi di
trasferimento dei risultati
della ricerca
nell’innovazione d’impresa sono limitati e
poco dinamici.
Del resto il rischio di declino delle
università è un tema
presente in tutt’Europa, con le conseguenze che ne derivano
sul piano dell’equità
sociale e del confronto con i paesi
extraeuropei più industrializzati
o emergenti nel mondo globalizzato.
Inoltre, per quel che riguarda l’alta
formazione artistica e
musicale, la riforma, avviata
dal centro sinistra, dei
Conservatori e delle Accademie non ha ancora superato la fase
sperimentale, mentre i recenti
interventi governativi hanno
eluso o contraddetto le
potenzialità di collaborazione strutturata
tra questo sistema e
quello universitario.
Cinque anni di governo del centro
destra hanno significato
anche:
- la delegittimazione sistematica
dell’Università presso
l’opinione pubblica,
con la conseguente demotivazione
degli attori del sistema;
- il definanziamento
del sistema università – enti pubblici
di ricerca – ricerca
industriale, peraltro già
sottofinanziati;
- l’accentuazione del particolarismo e
del clientelismo
nell’allocazione delle
risorse;
- un utilizzo intensivo di uno spoil system invasivo
dell’autonomia
scientifica.
L’Unione deve
invertire la rotta, deve aver pronte proposte
precise e concrete per
sostituire immediatamente le norme
sbagliate introdotte
nell’ultimo periodo.
Per rovesciare le dinamiche
di uno scenario negativo, occorre
accelerare la convergenza
europea del sistema italiano delle
università e della ricerca e
insieme recuperare gli squilibri
interni ed esterni
dell’Italia, puntando sulla generalizzazione
delle buone pratiche già
esistenti. Occorre mettere le
università e gli enti di
ricerca in grado di tenere il passo
con una società globalizzata e della conoscenza. In questo
modo essi potranno
diventare la chiave di volta del rilancio
del Paese.
Investire in formazione e ricerca – in
particolare nelle
discipline scientifiche e
tecnologiche – è l’unico modo per
recuperare consistenti
squilibri economici e sociali, talora
secolari. Anche per la nostra
posizione geopolitica e per
affrontare positivamente i
problemi dell’immigrazione,
l’Unione si impegna a
fare delle università italiane un polo
d’attrazione per la
formazione dei giovani e dei ricercatori,
soprattutto nelle discipline
umanistiche, scientifiche e
tecnologiche di maggior
tradizione e prestigio, in particolare
per coloro che
provengono dal bacino del Mediterraneo e da
Paesi emergenti.
Occorre orientare le strategie di
riforma verso:
- il miglioramento del nostro modello universitario
non dualista, in cui
l’integrazione tra ricerca
e didattica è la
caratteristica fondante di ogni ateneo
e di ogni carriera
docente;
- la promozione
della qualità in tutti gli atenei, tramite
una valutazione continua
ed efficace, e lo sviluppo dell’eccellenza
nelle migliori esperienze
in atto nel sistema
università - enti di ricerca;
- l’internazionalizzazione
della ricerca in tutti i settori,
attraverso lo sviluppo delle
reti di gruppi di ricerca, la
mobilità degli studiosi e
degli studenti;
- il potenziamento di una cultura
tecnologica aperta alle
grandi problematiche
dell’oggi e l’accelerazione di un’innovazione
tecnico-scientifica integrata con uno
sviluppo
global-locale orientato verso il
miglioramento della qualità
della vita delle persone e
dei territori.
In questa prospettiva strategica si
tratta di operare a più
livelli per raggiungere
alcuni obiettivi prioritari:
- aumentare e qualificare decisamente la spesa per l’università
e per la ricerca, con
regole e modalità che la
rendano un investimento per
la crescita del Paese,
anche adeguando le
infrastrutture di ricerca (strutture
edilizie, strumentazione,
biblioteche, etc.) alle esigenze
della ricerca di base e
tecnologica più avanzata;
- dare spazio ai giovani nell’università
e nella ricerca
perché l’Italia ha bisogno
di giovani che insegnino e
facciano ricerca con
stabilità e libertà invece che
penare in posizioni incerte
e subalterne che finiscono
anche col limitare la loro
originalità di pensiero e
indipendenza di azione;
- valutare e promuovere il talento negli
studi, nella
ricerca, nelle carriere –
superando consuetudini
sociali negative – perché è
il solo modo di favorire
l’equità e la mobilità
sociale e perché un sano equilibrio
tra competizione e
garanzie stimola la qualità
complessiva del sistema;
- promuovere la ricerca “libera”
proposta in autonomia e
guidata dalla curiosità del
ricercatore sia nelle
discipline di base umanistiche
e scientifiche che in
quelle tecnologiche e
applicate, perché è il volano
ultimo dell’innovazione ed
un fattore fondamentale per
la formazione del
capitale umano;
- aumentare, sia nei corsi di laurea che di laurea magistrale,
il numero dei laureati
e delle laureate di qualità
e con buone prospettive
di occupabilità, recuperando
gli squilibri
territoriali e di genere e puntando
a stimolare
decisamente le lauree in discipline scientifico-
tecnologiche anche in relazione
al rilancio o
alla creazione di
distretti tecnologici collegati con
le università e con gli
enti di ricerca;
- aumentare il numero dei dottori e
delle dottoresse di
ricerca per sostenere sia il
ricambio generazionale
nelle università e negli
enti di ricerca, sia lo svi-
luppo della ricerca
privata e delle alte professionalità
in tutti i campi;
- rispondere con adeguata formazione
universitaria e
ricerca alle nuove domande
sociali e alle professionalità
emergenti, in particolare per
gli studi umanistici,
sociali e legati ai beni
culturali;
- ristabilire nella formazione iniziale
degli insegnanti
un forte legame
organico tra la scuola e le università,
integrando anche, nella comune
esperienza, la preparazione
sui contenuti, le
didattiche disciplinari, gli
approcci psico-sociali
e la formazione alla professione;
- sostenere l’innovazione
istituzionale del sistema,
orientando con chiare regole di
governo l’autonomia
responsabile degli atenei e degli
enti di ricerca;
- operare per l’integrazione tra
università ed entidi
ricerca nella prospettiva di
concentrare gli sforzi per
lo sviluppo della
ricerca pubblica e per la presenza
italiana nelle grandi reti di
ricerca internazionali;
- stimolare l’interazione
pubblico/privato attraverso
strutture di ricerca legate
alle imprese e con l’inserimento
di risorse umane
altamente qualificate,
approntando incentivi fiscali e
laboratori comuni tra
università e imprese o
distretti di imprese perché il
migliore trasferimento
tecnologico si nutre soprattutto
di quotidianità nei
rapporti personali.
Per raggiungere questi obiettivi
l’Unione svilupperà diversi
piani d’azione.
Un primo piano d’azione riguarda la
didattica universitaria:
- serve un bilancio critico della
riforma didattica, attraverso
un monitoraggio ed una
valutazione, sulla base di
parametri condivisi, della
didattica universitaria, delle
lauree ai dottorati di
ricerca ed ai master, tenendo anche
conto delle migliori
pratiche didattiche e degli interventi
nel campo
dell’orientamento e del tutorato soprattutto
all’ingresso e al
passaggio degli studenti tra i diversi
livelli di studi universitari;
a partire dai risultati di
tale monitoraggio,
occorrerà responsabilizzare gli atenei
per un processo di autocorrezione nei punti dove emergono
problemi e criticità,
sollecitando uno sforzo continuo da
parte di tutti gli attori
e garantendo gli spazi di autonomia
delle università e delle
diverse aree culturali;
- la laurea di primo livello deve in
ogni caso fornire la
formazione metodologica di base
ma ai laureati deve essere
garantita una buona occupabilità, che può dipendere per
alcuni ambiti culturali da
una maggiore ampiezza metodologica
e per altri
dall’acquisizione di competenze più specifiche
e immediatamente
spendibili nel mercato del lavoro,
pur tenendo presente che
per le competenze professionali
più specialistiche si
deve ricorrere ai titoli di
secondo livello, compresi i
master.
- sulla valorizzazione
della laurea di primo livello si
gioca in sostanza il
futuro del progetto di espansione dell’istruzione
superiore, che passa anche
dalla necessità di
sciogliere i nodi relativi
all’accesso alle amministrazioni
pubbliche e agli ordini
professionali;
- inoltre
vanno seguiti con attenzione i primi risultati
della laurea specialistica
per migliorare l’articolazione
dei due cicli anche
rinunciando a rigide scansioni temporali
a favore di forme più
flessibili che tengano conto
delle differenze tra i
vari ambiti disciplinari;
- occorre stabilire un numero minimo
di docenti stabili per
ciascun corso di studi
affinché studenti e società abbiano
una garanzia di qualità
dell’apprendimento e dell’organizzazione
didattica, evitando la
proliferazione dei corsi
dovuta alla frammentazione
dell’attività didattica dei
docenti e al ricorso
indiscriminato a personale docente
precario (spesso non
impegnato nella ricerca);
- deve essere rilanciato il dottorato
di ricerca come terzo
ciclo della formazione
superiore, valutandone severamente i
requisiti minimi di qualità ed
incentivando l’impiegabilità
a largo spettro, anche
con incentivi fiscali per i datori
di lavoro, dei dottori
di ricerca (in ruoli qualificati).
Un secondo piano d’azione riguarda il
diritto allo studio:
- una consultazione generale di tutti
gli studenti e le studentesse
delle università, in forme
scientificamente rigorose,
porterà ad una Conferenza
nazionale sulla condizione
studentesca da cui ripartire per
un “patto” con gli studenti,
una nuova cittadinanza
che includa il classico diritto
allo studio ma ne amplii i confini ai diritti di tutti gli
studenti (a tutti i livelli,
a tempo pieno o parziale, in
formazione iniziale o lungo
l’arco della vita) e al loro
rapporto con le università e
le città;
- le borse di studio dovranno essere
garantite a tutti coloro
che ne hanno diritto
(gli idonei delle graduatorie) adeguando
i finanziamenti alle
medie europee, anche impegnando
le fondazioni bancarie
e gli interventi di private in una
prospettiva di sussidiarietà; inoltre il passaggio ad un
sistema nazionale di borse
di studio può rendere uniformi
sul territorio le
prestazioni, ne può anticipare le condizioni
anche anticipatamente
all’iscrizione all’università
(favorendo la mobilità
studentesca);
- devono essere garantiti livelli di
prestazioni essenziali
analoghi in tutto il Paese,
soprattutto per quanto riguarda
i servizi (mense,
alloggi, biblioteche, reti informatiche)
stabilendo un rapporto equo tra
servizi offerti, contribuzione
studentesca e strumenti del
diritto allo studio;
- devono essere incentivate
le scelte di mobilità studentesca
per moltiplicare le
occasioni incontro e di confronto fra
giovani di regioni diverse,
all’interno del nostro Paese,
e di lingue e culture
diverse, nell’ambito dell’Unione
europea e del mondo.
L’università è un bene pubblico, gli
studenti rappresen-
tano molto di più che i
semplici utenti consumatori dei
servizi erogati. Sono infatti i protagonisti della
didattica e, in certa misura,
anche della ricerca.
Giovani ben formati, capaci di
apprendere e di dialogare
con altri giovani
saranno i protagonisti della democrazia
globale che sta già nelle
loro pretese.
Un terzo piano d’azione riguarda il
reclutamento e la carriera
dei docenti e dei
ricercatori, rendendoli coerenti con i
principi dell’autonomia e con
quelli indicati dalla Carta
europea dei ricercatori. Per
rispettare l’agenda di Lisbona e
per colmare la distanza
che ci separa dai Paesi più avanzati,
occorre:
- garantire un costante flusso
d’immissione nelle università
e negli enti di
ricerca di giovani qualificati, varando
immediatamente un piano pluriennale
d’assunzioni a tempo
indeterminato, definendo modalità
di selezione rigorosamente
basate sui meriti
scientifici e tenendo conto della
necessità e urgenza di
incidere profondamente sull’enorme
numero di persone che
lavorano nelle università e negli
enti di ricerca con forme
innumerevoli di precariato;
- trasformare il ruolo degli attuali
ricercatori universitari
in “terza fascia”
docente;
- garantire le necessarie coperture
previdenziali ed assistenziali
ai titolari di
contratti post-dottorato o di
forme diverse di contratti
a tempo determinato presso università
ed enti di ricerca;
- rendere obbligatorio il dottorato di
ricerca per la carriera
universitaria e negli enti di
ricerca, dotandosi di
opportune norme transitorie;
- giungere rapidamente a selezioni
concorsuali con distinzione
tra reclutamento e
promozioni di carriera, che coniughino
l’autonomia di scelta
degli Atenei con le garanzie di
standard internazionali di
merito e di trasparenza dei processi
selettivi, operando anche per
superare le distorsioni
pregiudizievoli che condizionano la
progressione delle
donne nelle carriere
scientifiche;
- definire gli strumenti giuridici
pertinenti per rendere
“naturale” ed eventualmente incentivata la mobilità bidirezionale
tra il personale docente
e ricercatore delle università
e degli enti di
ricerca.
Le azioni per lo sviluppo della
cultura scientifica e delle
opportunità d’innovazione
tecnologica dovranno operare per:
- incentivare
le offerte universitarie di lauree di primo
e secondo livello e di
dottorati di ricerca di area
scientifico-tecnologica (anche attraverso
azioni positive
per l’aumento delle
immatricolazioni femminili), operando
anche sul sistema delle
offerte locali d’istruzione
e formazione tecnica
post-secondaria e di alta formazione
professionale;
- promuovere un patto tra le autonomie
(regioni, università,
enti di ricerca), anche
attraverso apposite agenzie regio-
nali coordinate con il
governo nazionale, per iniziative di
trasferimento tecnologico;
- sostenere la ricerca di base sia con
finanziamenti a progetti
su base competitiva che
con finanziamenti ai ricercatori
sulla base della
valutazione della loro attività, evitando
comunque che, per carenza di
fondi o per regole non
ben calibrate, una
malintesa competitività finisca col
distogliere dall’attività di
ricerca o col deprimere le
potenzialità di ricerca dei
singoli e dell’intero Paese;
- far nascere iniziative d’eccellenza
dalla rete dei migliori
gruppi di ricerca e
laboratori universitari e degli enti di
ricerca, anche in sinergia
con strutture private, promuovendo
progetti di lungo respiro con
finanziamenti certi e
stabili, all’interno di una
logica di programmazione che
contempli le priorità
dell’interesse pubblico e le complessive
ricadute sociali della
ricerca;
- promuovere azioni a favore della
ricerca industriale,
sostenendo con provvedimenti
opportuni l’occupazione
di personale ad alta
qualificazione, incentivando progetti
di ricerca congiunti e cofinanziati, prevedendo forme di
deducibilità fiscale delle spese di
ricerca (con garanzia
di affidabili
meccanismi di verifica), incentivando la
nascita di nuove imprese
attraverso strumenti fiscali,
logistici e finanziari.
L’azione d’innovazione istituzionale
deve comprendere:
- la revisione
dei criteri per il riconoscimento dei
nuovi atenei, che va
condizionato alla disponibilità di una
massa critica di corpo
docente a tempo indeterminato,
di stabili risorse
finanziarie, infrastrutturali e di attività
di ricerca, all’interno
di un’armonica programmazione
territoriale;
- il mantenimento del valore legale
del titolo di studio con
opportuni correttivi per
valorizzare le competenze realmente
acquisite dai laureati;
- la revisione
dei criteri e delle metodologie dei finanziamenti
ministeriali alle università (in
particolare del
fondo di finanziamento
ordinario), rendendoli più equi in
relazione agli obiettivi di
riequilibrio territoriale e di
miglioramento degli standard
qualitativi del sistema.
Per realizzare questi
piani d’azione occorre ripensare gli
strumenti attuali delle
politiche universitarie e per la
ricerca e vararne di nuovi.
Prioritariamente occorre:
- un’Agenzia indipendente per la
valutazione della ricerca,
della didattica, delle
funzioni di gestione delle istituzioni
universitarie e di ricerca, dei
docenti universitari
e dei ricercatori
degli enti di ricerca, anche con funzioni
di ripartizione di
incentivi finanziari premiali dei punti
di qualità del sistema
e curando l’inserimento di opportuni
indicatori di genere nel benchmarking delle istituzioni
scientifiche;
- una legge di sistema per l’autonomia
universitaria in
tutti i suoi aspetti;
- il ripensamento degli strumenti per
il diritto allo studio
in un’ottica di equità;
- la realizzazione
dell’Anagrafe delle ricerche;
- un portale nazionale del fabbisogno
di professori e di
ricercatori in cui ogni ateneo e
ogni istituto di ricerca
pubblichi le disponibilità
delle diverse posizioni, con
indicazione dei profili
richiesti e degli impegni didattici
e/o di ricerca
relativi
- un portale nazionale dell'offerta e
della domanda di
dottori di ricerca con i
relativi profili curriculari e
di impiego."
Per il cambiamento delle forme e
procedure di governo sono
necessari:
- la riorganizzazione
dell’attuale Ministero dell'istruzione,
dell’università e della
ricerca, che, almeno per il
comparto universitario e
della ricerca, deve ricoprire funzioni
di programmazione
strategica e di governo a distanza
del sistema, anche
affidando ad agenzie pubbliche indipendenti
le scelte di
finanziamento della ricerca in coerenza
con gli atti di
indirizzo politico ed in analogia con le
migliori esperienze
internazionali;
- l’istituzione di un organismo
unitario rappresentativo dell’università
e degli enti pubblici
di ricerca;
- la revisione,
sulla base di un’ampia consultazione di tutti
i soggetti
interessati, della forma di governo degli atenei
che la renda più
efficiente e più responsabile nel rispetto
dei principi
dell’autonomia e della democrazia collegiale
tipica della comunità
scientifica.
Le revisione dei criteri di
finanziamento dell’università e
degli enti pubblici di
ricerca richiede :
- la previsione di un’adeguata quota
di finanziamento per le
attività di ricerca libera;
- la previsione di una “quota di
garanzia” per i bilanci universitari
e degli enti a
copertura degli incrementi di
spesa decisi a livello
centrale;
- la stabilità nel tempo dei
finanziamenti “ordinari” per le
università e per gli enti di
ricerca per la copertura dei
costi incomprimibili
necessari a presidiare in modo stabile
i settori e le
attività fondative di ciascuna istituzione,
oltre ad una quota
variabile legata alla valutazione.
In sintesi, sul piano degli
investimenti necessari al sistema
università – enti di ricerca –
ricerca industriale, occorre
varare un piano
d’incremento, che comprenda anche le risorse
umane, e che permetta di
raggiungere, entro la fine della
legislatura, l’attuale media
europea, pari al 2% del PIL.
(Conoscere è
crescere pagg. 225-242)