1. Per l’innalzamento dei
livelli di scolarizzazione e la regolamentazione della fruizione del
diritto/dovere di istruzione e formazione
In un Paese avanzato come il nostro è assolutamente necessario e prioritario
che i giovani acquisiscano elevati livelli di preparazione sia sotto il profilo
culturale e della cittadinanza attiva che sotto quello delle competenze
professionali.
Le statistiche rilevano che, tra i Paesi dell‘Unione europea, il nostro
presenta notevoli ritardi nella istruzione. Citiamo due soli dati:
- mentre in Europa il tasso di abbandono precoce degli studi raggiunge il 19%,
in Italia si innalza al 29%;
- mentre il 66% della popolazione europea di età compresa tra i 25 e i 59 anni
è in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, tale valore in
Italia si abbassa al 46%.
Il Consiglio europeo di Lisbona del 2000 ha indicato ai Paesi dell’Unione la
necessità di adottare entro il 2010 opportune iniziative per abbattere al 9% il
tasso di abbandono e per elevare all’80% il numero dei diplomati.
In tale scenario è necessario che nel nostro Paese la fruizione del
diritto/dovere “all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o,
comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di
età”, di cui all’articolo 2, comma 1, punto c, della Legge delega 53/03, venga
urgentemente regolamentato in quanto, come previsto dal medesimo punto c, “la
fruizione dell’offerta di istruzione e formazione costituisce un dovere
legislativamente sanzionato”.
A tale proposito urge un apposito decreto legislativo, come recita il punto i
dell’articolo 1, comma 3 della citata legge, al fine di realizzare
concretamente e rapidamente “interventi di orientamento contro la dispersione
scolastica e per assicurare la realizzazione del diritto/dovere di istruzione e
formazione”.
In altri termini, si tratta di adottare con urgenza provvedimenti che siano in
grado di colmare il vuoto che si è creato con l’abrogazione della Legge 9/99
che innalzava l’obbligo di istruzione dai 14 ai 15 anni di età.
Occorre anche riassumere come normativa vigente l’obbligo formativo, istituito
con l’articolo 68 della Legge 144/99 e regolamentato con il DPR 275/2000. Com’è
noto, obiettivo primario dell’obbligo formativo è quello di assicurare a tutti
i giovani un più elevato grado di istruzione e di formazione grazie a
produttive interazioni tra istituti scolastici, formazione professionale e
attività lavorative. Va segnalato, infatti, con preoccupazione che attualmente,
nelle more della regolamentazione del diritto/dovere di istruzione e
formazione, i flussi informativi tra le istituzioni scolastiche, gli uffici
dell’amministrazione scolastica periferica e i servizi dell’impiego appaiono
fortemente rallentati.
2. Il nuovo assetto costituzionale e le ricadute sul sistema di istruzione
Al fine di meglio comprendere ruolo e funzioni delle istituzioni scolastiche
autonome, giova ricordare il riassetto che ha investito l’intero nostro sistema
formativo in seguito alla recente riforma della Costituzione. Il nuovo articolo
117 afferma che (passim):
“lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: m) determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali
sull'istruzione”;
“sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: istruzione, salva
l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e
della formazione professionale”;
“nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà
legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,
riservata alla legislazione dello Stato”;
“spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
Ne consegue che, sotto il profilo costituzionale, l’istruzione del primo ciclo
e l’istruzione del sistema dei licei è di competenza dello Stato e l’istruzione
e la formazione professionale è di competenza delle Regioni. Si tratta di una
affermazione di principio che non comporta il passaggio automatico degli
istituti tecnici e professionali alle Regioni. Il che è materia di legislazione
ordinaria, per la quale si avranno singoli provvedimenti mirati.
Stando a tale scenario, ha poco senso una malintesa ma diffusa preoccupazione
di un passaggio dell’intero sistema dell’istruzione tecnica e professionale
alle “dipendenze” delle Regioni, anche in considerazione del fatto che l’intero
sistema dell’istruzione, per quanto concerne la sua gestione e la
programmazione del servizio, sarà, in virtù della legislazione concorrente e
della prospettiva federale, di competenza regionale.
Ne consegue che il fattore critico non è tanto l’inquadramento di un istituto
nell’ambito statale o regionale, quanto quello di una valorizzazione della sua
autonomia, principio che ha assunto il rango di un riconoscimento
costituzionale. I singoli istituti, quindi, nel pieno della loro autonomia,
dovranno fare riferimento alle norme generali dell’istruzione, agli standard
nazionali, in virtù del fatto che a questi dovranno riferirsi anche quelli
regionali e che è in atto la ricerca a livello europeo di standard in grado di
rendere leggibili, comparabili e trasferibili le competenze certificate nei
singoli Paesi dell’Unione.
Appare dunque auspicabile che tutte le Regioni fissino in maniera
inequivocabile alcuni indicatori per la modulazione dei percorsi regionali di
formazione che afferiscano a:
- una progressiva specializzazione dei percorsi con mantenimento di una forte
area educativa nei primi due anni. In tal modo, non solo si garantisce
l’erogazione di un insieme di strumenti culturali di base evoluti, ma si rende
anche più forte e formativamente produttiva la dinamica dei passaggi tra i due
sistemi di istruzione e dell’alternanza formazione-lavoro;
- il mantenimento, in tutto l’arco della formazione professionale, della
tensione verso esiti formativi flessibili riferibili a figure professionali ad
alta velocità di riconvertibilità ed a lento tasso di usura. Occorre pertanto
puntare sul conseguimento di una cultura scientifico-tecnologica più che sulla
acquisizione di una professionalizzazione spinta.
3. Il secondo ciclo e la risorsa dei percorsi integrati
Il secondo ciclo, strutturato in due percorsi paralleli, il sistema dei licei e
il sistema dell’istruzione e della formazione professionale, come previsto dal
citato articolo 117 della Costituzione e, conseguentemente, dalla Legge delega
53/03, deve perseguire finalità unitarie e obiettivi formativi in cui siano
fortemente integrate conoscenze e capacità teoriche con competenze
preprofessionalizzanti e/o professionali.
La stessa Legge delega 53/03 si esprime in questo senso quando afferma che “il
secondo ciclo, finalizzato alla crescita educativa, culturale e professionale
dei giovani attraverso il sapere, il fare e l’agire, e la riflessione critica
su di essi, è finalizzato a sviluppare l’autonoma capacità di giudizio e
l’esercizio della responsabilità personale e sociale”(articolo 2, comma 1,
punto g).
Perché tali finalità possano concretamente realizzarsi per tutti i giovani, è
necessario non esporre gli alunni licenziati dalla scuola secondaria di primo
grado ad una scelta precoce per il loro sviluppo culturale e professionale, ma
permettere loro una scelta più matura. Pertanto, al termine del primo ciclo
devono essere garantiti percorsi biennali da realizzarsi con soluzioni
curricolari che integrino le diverse offerte proposte dall’uno e dall’altro
sistema del secondo ciclo, in modo da permettere ai giovani un consolidamento
delle conoscenze e competenze di base acquisite, l’acquisizione di nuove ed un
più ragionato e compiuto orientamento per la prosecuzione degli studi.
La scansione di un primo biennio è già sancita dalla Legge delega 53/03 per il
percorso nel sistema dei licei con la formula del 2 + 2 + 1. Per
l’articolazione del percorso di istruzione e formazione professionale
regionale, si fa riferimento a talune significative proposte nate dall’Accordo
quadro sottoscritto nel giugno 2003 dal MIUR, dal MLPS, dalle Regioni et al.,
proposte che, tradotte nei protocolli di intesa tra MIUR, MLPS e le singole
Regioni, prefigurano percorsi triennali inizialmente caratterizzati da forti
commistioni curricolari con l’intero sistema dell’istruzione attualmente di
competenza dello Stato, quindi anche con lo stesso sistema dei licei.
A tale proposito, si può citare – a mo’ di esempio – quanto si afferma nel
protocollo di intesa della Regione Toscana dove, all’articolo 2, comma 1, punto
b, si prospettano “interventi di formazione professionale integrativi dei corsi
di istruzione liceale e tecnica” realizzati “nel biennio iniziale con moduli di
formazione professionale che integrano i corsi dell’istruzione liceale o
tecnica, finalizzati ad obiettivi di arricchimento didattico e di
orientamento”. Nel protocollo della Regione Campania, all’articolo 3, si
afferma che i percorsi integrati devono assicurare in primo luogo
“l’arricchimento culturale dei giovani attraverso il consolidamento delle abilità
di base e la consapevolezza dei fondamenti scientifici” del sapere, nonché
attività di riorientamento al fine di poter accentuare “la specifica valenza
professionale del terzo anno, indirizzato alla qualifica, caratterizzato da
un’impostazione flessibile, modulare e da un consistente periodo di stage”.
La dispersione e l’abbandono non possano abbattersi offrendo a giovani
considerati poco “capaci” e poco “meritevoli” percorsi brevi e finalizzati
soltanto a lavori esecutivi di basso profilo, in forza di una presunta offerta
formativa personalizzata. E’ vero, invece, che solo una offerta formativa forte
può aiutarli a superare situazioni di difficoltà – imputabili per altro a
ragioni di carattere socio-culturale – di cui la Repubblica si deve far carico,
come testualmente recita l’articolo 3 della Costituzione: “E’ compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando
di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana…”).
Ed occorre anche considerare che, in società tecnologicamente sempre più
avanzate, non vi sono più mansioni e competenze che non richiedano anche e
soprattutto il concorso attivo di conoscenze e capacità di elevato livello.
4. La risorsa dei passaggi e dell’alternanza
I passaggi da un percorso ad un altro del medesimo sistema e/o tra un sistema e
l’altro e l’alternanza formazione/lavoro costituiscono – così come anche
configurato nella Legge delega 53/03 – una esigenza prioritaria ed
irrinunciabile dell’intero secondo ciclo; si tratta di risorse formative
avanzate, che devono essere garantite con le opportune soluzioni didattiche e
organizzative, quali previste dalla strategia della progettazione modulare.
Tale strategia, già sperimentata per l’attuazione delle “passerelle” di cui
all’innalzamento dell’obbligo di istruzione (Legge 9/99 e relativo regolamento
attuativo, il DPR 257/2000), risulta pressoché irrinunciabile nel momento in
cui si attivano percorsi integrati fondati sui passaggi e sulla alternanza che,
per loro natura, richiedono un alto tasso di flessibilità e di opzioni
formative.
Va anche sottolineato che, secondo dati OCSE, percorsi in alternanza sono
attivi in molti Paesi europei, quali l’Austria, la Germania, la Repubblica
ceca, la Svizzera e permettono il conseguimento di qualifiche di notevole
spessore tecnico, culturale e professionale. Si tratta di esperienze che
dimostrano come e perché processi formativi che impegnino congiuntamente la
“mano” e la “mente” diano risultati di tutto rilievo. In talune situazioni
straniere i percorsi in alternanza riguardano una elevata percentuale del
percorso formativo; nel nostro Paese la percentuale si aggira sul 3%.
Costruire percorsi in alternanza non è sempre facile, non solo sotto il profilo
organizzativo (la disponibilità delle aziende, la formazione di tutor
aziendali, la progettazione delle attività secondo certi ritmi e certi tempi,
il rispetto delle regole per la sicurezza, ecc.), ma anche sotto il profilo
formativo (la progettazione di moduli in concorso con esperti aziendali, il
controllo della qualità dell’istruzione, ecc.). Vi è anche il problema della
definizione delle unità formative capitalizzabili e della relativa
certificazione.
Va comunque sottolineato con forza che l’alternanza non investe solo le imprese
in quanto tali, ma anche i servizi e le altre attività terziarie (dalla banca
alla casa editrice, dall’ospedale al museo, dal supermercato alla trasmittente
televisiva, ecc.), in quanto gli studenti di ambedue i sistemi di istruzione debbo
esserne coinvolti.
5. La certificazione delle competenze e la questione degli standard
Particolare attenzione deve essere data alle modalità dell’accertamento e della
certificazione delle competenze, che prefigurano anche diverse modalità di
valutazione rispetto a quella della votazione decimale. Si tratta di un
discorso che discende dalla definizione di standard formativi di cui un primo
documento tecnico elaborato in ordine all’articolo 4 del citato Accordo quadro
di giugno offre un concreto primo esempio.
A questo proposito è opportuno ricordare la relazione che corre tra attività
didattiche e le risorse necessarie per realizzarle, quindi tra standard
formativi e standard di funzionamento. E’ una questione che deve essere
affrontata con urgenza, anche per porre in essere quanto stabilito da una serie
di norme che riteniamo opportuno ricordare: la Legge 59/97, al comma 7
dell’articolo 21; il DPR/275/99 all’articolo 8; la Legge costituzionale 3/03 e
la sua prima legge applicativa, la 131/03; la Legge 30/03, che riordina il
mercato del lavoro, ed il suo primo decreto applicativo, il d. lgs. 276/03; e
la stessa Legge delega 53/03 agli articoli 1 e 3. In quest’ultimo caso, occorre
sottolineare che le implicazioni didattiche che discendono dalla legge ed allegati
alla bozza del primo decreto attuativo della riforma non possono essere
affidate ad Indicazioni, a Raccomandazioni, a Profili di uscita, privi di alcun
fondamento giuridico in quanto necessitano di una decretazione regolamentare.
Dal discorso sugli standard emergono due considerazioni di fondo:
- che esiste un profondo legame tra obiettivi formativi e le risorse impegnante
per attivare percorsi formativi di tutto rilievo;
- che in una società ad alto sviluppo non si può prescindere, nella progettazione
dei percorsi formativi, dalle ricadute che questi hanno sulla definizione dei
profili professionali e sulla occupazione.
6. Il sistema dei licei
Senza nulla togliere al primato ed all’autonomia dell’istanza educativa, ma
ricercando sempre le implicazioni che questa istanza di volta in volta assume
in relazione allo sviluppo socio-economico e culturale di un Paese, è opportuno
affermare che anche i percorsi formativi nel sistema dei licei necessitano di
una profonda rilettura.
Nella fattispecie, va detto che non ci può limitare a considerare il liceo –
classico per antonomasia – come una occasione formativa privilegiata, in quanto
non c’è attività di studio e di ricerca, oggi, che possa considerarsi come pura
e gratuita astrazione. La classicità, intesa nel processo formativo come
attento recupero delle nostre comuni origini civili e valoriali, è comune a
qualunque ciclo di istruzione. E d’altra parte va detto che la pedagogia del
fare e le risorse tecnologiche sempre più sofisticate sono in grado di dare
nuovi sensi e significati agli studi classici.
Pertanto, l’intero sistema dei licei non può essere sottratto al complessivo
sistema di riforma che interessa l’intero secondo ciclo. La conferma nella
Legge delega 53/03 della validità di un sistema liceale non deve significare un
puro e semplice recupero dei contenuti formativi attualmente in esso esistenti,
ma l’occasione per una loro profonda risistemazione. I saperi e le competenze
che i contenuti dei licei sollecitano vanno coniugati ed interrelati in una
prospettiva pluridisciplinare quale è stata suggerita dalla recente riforma
degli esami di Stato (Legge 425/97). Certamente, non si tratta di ricucire una
sorta di rinnovata enciclopedia di conoscenze, ma di proporre un approccio
euristico capace di innestare nei percorsi formativi quella concezione
laboratoriale del Sapere che attualmente nei licei è in larga parte assente. Di
converso, occorre garantire nel sistema della istruzione e formazione
professionale spazi di agibilità per saperi formali e sistemicamente
strutturati.
7. Per una omogeneità dei percorsi nei contenuti e nei tempi
I passaggi e l’alternanza devono costituire un fattore primario di promozione
formativa, culturale e sociale e costituire la chiave di volta unificante
dell’intero secondo ciclo. L’alternanza formazione-lavoro deve costituire una
opportunità formativa di alto profilo, organizzata e garantita in modo da
rispondere alle effettive necessità di orientamento e di riorientamento dei
giovani.
Perché i passaggi e l’alternanza vengano organizzati come una delle risorse più
significative e pregnanti della attività formativa e didattica, occorre che le
autorità politiche nazionali incrementino l’autonomia delle istituzioni
scolastiche mediante:
- una sollecita definizione delle norme generali sull’istruzione,
- una sollecita emanazione dei curricoli di cui all’articolo 8 del DPR 275/99,
- una adeguata politica degli affidamenti economici e finanziari alle singole
istituzioni ed al sistema di reti e consorzi,
- una corretta interazione a livello di programmazione delle attività educative
sul territorio di cui al d. lgs. 112/98,
- una politica di formazione continua anche on line del personale educativo,
dirigente e docente,
- una progressiva interazione sistemica con il mondo del lavoro.
Si tratta di provvedimenti e di iniziative che favoriscono la progettazione di
percorsi che, pur perseguendo obiettivi formativi diversificati, propongono
indistintamente a tutti gli studenti finalità educative largamente omogenee.
A tale riguardo sembra necessaria una rivisitazione dello sviluppo dei percorsi
dei due sistemi, così dome formulato dalla Legge delega 53/03. Se si pensa che
il quinto anno del sistema dei licei – stando alla lettura della legge
(articolo 2, comma 1, punto g) – sembra avere un carattere di consolidamento,
approfondimento, orientamento, e che il percorso dell’istruzione e della
formazione professionale può anche concludersi con un corso annuale che ammette
a sostenere l’esame di Stato (lettera h), emerge una sorta di incertezza normativa
e di debolezza formativa per ambedue i percorsi. Sembrerebbe allora opportuno
restituire ai due percorsi piena dignità di una formazione quinquennale come
previsto dagli ordinamenti ancora in vigore.
Va ricordato che in sede di una prima elaborazione della riforma – anche sulla
scorta di quanto disposto dalla Legge 30/2000, ora abrogata – si era proposta
l’uscita dall’intero sistema di istruzione ai 18 anni di età sia per la
coincidenza con il raggiungimento della maggiore età che per un allineamento
con altri Paesi dell’Unione europea.
Pertanto, sembra opportuno restituire ad un quinto anno di studi una piena
dignità che consentirebbe, inoltre, allo studente di leggere – soprattutto nel
momento della scelta che, ci auguriamo, possa verificarsi ai 16 anni di età –
come autenticamente formativi ambedue i sistemi del secondo ciclo.
8. Ruolo e funzione di docenti e dirigenti
Ala luce delle considerazioni fin qui condotte, appare quanto mai opportuno che
la formazione iniziale e continua degli insegnanti del secondo ciclo venga
realizzata tendendo debito conto delle indicazioni di cui all’articolo 25 del
CCNL 2003: “Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze
disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali
e di ricerca, tra loro correlate e interagenti, che si sviluppano col maturare
dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della
pratica didattica”.
Analoga attenzione dovrà essere data, per quanto riguarda una migliore definizione
delle necessarie competenze, al ruolo, alle funzioni e ai compiti dei dirigenti
scolastici. A questi occorrono congiuntamente una solida preparazione
culturale, una chiara visione della mission della scuola, una competenza
organizzativa e gestionale di ottimo livello, estremamente necessaria per
guidare oggi un istituto autonomo.
I contesti e gli scenari operativi in cui si attivano reti e consorzi di
scuole, per cui necessitano aperture ad altre istituzioni, a realtà
professionali e lavorative complesse ed in costante evoluzione, sollecitano ed
esigono elevate competenze decisionali, per le quali la valutazione del rischio
e la gestione dei conflitti costituiscono fattori caratterizzanti della
professionalità di un dirigente.
Ed ancora, è compito del dirigente, in quanto responsabile dei risultati,
assicurare:
- che le attività formative progettate e condotte dal corpo docente per
rispondere a bisogni ed obiettivi in costante evoluzione siano coerenti con le
norme generali dell’istruzione dettate dallo Stato (articolo 117 della
Costituzione), e
- che le prestazioni fornite dall’istituto siano rispondenti ai livelli
nazionali essenziali (articolo 117 della Costituzione) per soddisfare il
diritto degli studenti ad un apprendimento efficace ed al successo formativo
(articoli 4 ed 1 del DPR 275/99).
9. Dal “punto e a capo” alla valorizzazione della continuità
In questa fase di transizione, complessa più che difficile, l’attuale
amministrazione ha voluto dare un segno per rincorrere – come si suol dire – il
nuovo che avanza, adottando la formula – o lo slogan? – del “punto e a capo”,
quasi a voler dimostrare che l’attività legislativa avviata
dall’amministrazione precedente fosse tutta da rigettare! Ed in effetti, dopo
il primo “congelamento” della Legge 30/2000, si è giunti con la Legge delega
53/03 alla abrogazione di tale legge e della Legge 9/99.
Ma, a nostro avviso, è proprio quando urgono i cambiamenti che non si può fare
a meno di guardare in avanti valorizzando, però, quanto di meglio si è precedentemente
prodotto. Se l’attuale amministrazione avesse scelto questo tipo di percorso,
non si troverebbe oggi – all’inizio del 2004 – a dover fronteggiare una
protesta che monta nel Paese a difesa del Tempo Pieno, del Tempo prolungato,
del Team dei docenti, dell’autonomia che deve caratterizzare le scelte della
scuola in termini di orari e di metodi!
La scuola italiana ha alle spalle almeno tre decenni di sperimentazioni, di
buone pratiche, di elaborazioni teoriche di grande spessore che hanno permesso
al Paese di fare un grande balzo in avanti nella lotta contro l’analfabetismo,
nell’innalzamento del tasso di scolarizzazione ed anche del livello di cultura
degli italiani. E’ vero che tanta strada è ancora da percorrere e che le
ricerche OCSE-PISA sulle conoscenze di base dei quindicenni e IALS-SIALS sui
livelli di literacy della popolazione adulta non sono affatto confortanti! Ma è
anche vero che solo valorizzando quanto di meglio abbiamo faticosamente
prodotto, è possibile migliorare l’identità della nostra scuola e dell’intero
nostro sistema formativo.
E ciò è quanto mai necessario in una stagione in cui la prospettiva federalista
da un lato – per quanto concerne l’intera organizzazione dell’istruzione – e,
dall’altro, la sempre più veloce evoluzione delle conoscenze e delle tecnologie
– per quanto concerne le scelte contenutistiche e metodologico-didattiche –
indicano che la valorizzazione di quanto di meglio si è prodotto può dar luogo
ad una identità rinnovata e ad un nuovo asse culturale per la nostra scuola!
E ciò costituisce un appello, in questa fase di decretazione attuativa, perché
l’esecutivo operi con una ponderata decisionalità!