Pronuncia
del CNP, assunta in data 17 dicembre 2003, sullo schema
di Decreto Legislativo concernete la definizione delle norme
generali
relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’
istruzione, ai
sensi della Legge 28 marzo 2003, n. 53
C - COMITATO
ORIZZONTALE SCUOLA MEDIA
Premessa
Pur non essendo previsto
dallo schema di decreto legislativo inviato alle Commissioni parlamentari e
alla Conferenza unificata Stato - Regioni un parere del CNPI sul decreto suddetto,
il COSME ritiene di dover fare al riguardo alcune considerazioni, in quanto esplicitamente (e più volte) le Indicazioni
nazionali fanno riferimento a quanto in essocontenuto,
per l'avvio nella scuola secondaria di 1° grado della riforma di ordinamento a partire
dall'anno scolastico 2004/2005.
Il COSME ritiene
necessario, a tal proposito, puntualizzare che il documento finale che sarà
approvato dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione non sostituisce il
parere obbligatorio proceduralmente previsto sulle
Indicazioni nazionali per i piani di studio
personalizzati, allegate al decreto.
I piani di studio,
infatti, devono essere definiti - ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. 275/99 - solo
dopo avere sentito il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione.
Si deve tenere, altresì,
presente che un parere su questi c.d. “ Primi piani di studio”, attivati come
norma transitoria e non previsti dalla legge n. 53 del 2003, è ammissibile e
può essere reso solo dopo che sarà stata approvata e sarà divenuta operante la
norma che li legittima, nella fattispecie rappresentata dal decreto
legislativo.
Si deve, inoltre,
tenere presente che non è possibile, nel merito, un parere se non si conoscono
con certezza le quantità orarie da utilizzare per la realizzazione
dei piani di studio e, nel caso della scuola secondaria di primo grado, anche
da quali insegnanti e con quali titoli (classi di concorso) saranno realizzati.
In premessa si fa notare
inoltre che l'impianto del decreto legislativo ha una coerenza solo parziale
con la legge delega al punto che ne dilata l'intervento ad aspetti non
contenuti nella delega stessa e ad altri che dovrebbero trovare applicazione
per via regolamentare.
Pur ribadendo
piena condivisione circa l'esigenza di una riforma complessiva del sistema di
istruzione e formazione, anche alla luce di quanto previsto dalle legge costituzionale
3/2001, il COSME fa notare che il percorso intrapreso non ha coinvolto la
scuola, e principalmente i soggetti che dovranno attuare la riforma; è sotto
gli occhi di tutti, ad esempio, che mancano dati oggettivi e pubblici sulla
sperimentazione
realizzata nell'anno scolastico 2002/2003 in 251 scuole fra
statali e paritarie e che sulla stessa sperimentazione e sulle Indicazioni
nazionali si registrano prese di posizione con elementi di forte criticità da
parte di insegnanti, di esperti, delle associazioni professionali
degli insegnanti e dei dirigenti scolastici, delle
organizzazioni sindacali etc.
Un aspetto, quest'ultimo, non trascurabile se si considera che,
attraverso questi documenti, - peraltro elaborati da Commissioni di studio non
costituite ufficialmente, e senza alcuna pubblicizzazione
- si introducono modifiche sostanziali nell'impianto
culturale (pedagogico e didattico) e organizzativo, oltre che strutturale, della
scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione.
Non si condivide la scelta
del Ministero di mettere a disposizione della scuola documenti
transitori ("fino al prescritto regolamento di cui all'art. 8 del DPR
275/1999") che, proprio per il loro carattere transitorio, potrebbero essere
generatori, a giudizio del COSME, di confusione e di disorientamento culturale,
con ripercussioni negative sulla qualità organizzativa e didattica del lavoro
scolastico.
Si fa notare, a riguardo,
che la legge delega non solo non prevede la possibilità
di attivare una fase transitoria illimitata alla quale dovrebbero far seguito,
a regime, i regolamenti emanati ai sensi dell'art. 8 del DPR 275/99 ma che i
programmi, ovvero le Indicazioni curricolari,
discendono esclusivamente da detto articolo. Le Indicazioni nazionali non
hanno, dunque, alcun fondamento normativo, non essendo stato emanato il
regolamento previsto dall'art. 8 del DPR 275/99 in materia di curricoli.
Osservazioni generali
di merito
Nel merito, si osserva che
gli estensori del documento in esame non si muovono in continuità con la storia
e la cultura della scuola media. Si condivide il riconoscimento di un percorso
triennale per la fascia d'età 11 - 14 anni, ma si nutrono forti perplessità sull’articolazione
del triennio (2+1), affatto coerente con l’idea di continuità del “primo
ciclo”, che appartiene alla tradizione di lavoro della scuola di base. In particolare, si fa notare che la scelta di un
monoennio, che corrisponde all’attuale terza media,
anche per le proposte culturali contenute nelle Indicazioni nazionali,
determina di fatto una canalizzazione precoce con
l’anticipazione di contenuti oggi propri del biennio della secondaria superiore
e annulla lo sforzo compiuto in questi anni, quello di non ritenere conclusa la
formazione culturale di base con la scuola media. A tal proposito, vogliamo
ricordare che la legge 1859/62 istitutiva della scuola
media unica fu emanata "in attuazione dell'articolo 34 della
Costituzione" e che essa “concorre a promuovere la formazione dell'uomo e
del cittadino secondo i principi della Costituzione e favorisce l'orientamento
dei giovani ai fini della scelta successiva", una scelta, a parere del
COSME, ancora oggi decisiva per far crescere la cultura della scuola italiana,
che purtroppo non ci sembra riconfermata nei documenti in esame.
Poco coerente appare,
altresì, al COSME l'impianto culturale delle Indicazioni nazionali, soprattutto
se paragonato con le scelte compiute dagli estensori dei Programmi del '79. Il loro
aggiornamento culturale, reso necessario dall’evoluzione della ricerca in campo
disciplinare e didattico, va assicurato riconoscendo nei fatti la tradizione di
lavoro della scuola media impegnata come istituzione a garantire, attraverso
l'istruzione obbligatoria, l'uguaglianza dei cittadini (art. 3, 33, 34 della
Costituzione). Nelle Indicazioni nazionali si è proceduto, invece, a una frammentazione eccessiva - particolarmente evidente nell'organizzazione
delle singole discipline -, frammentazione lontana dall'operare condiviso degli
insegnanti, consolidatosi negli anni nella concretezza dell'agire didattico ed
educativo delle singole istituzioni scolastiche. Sono ignorate le recenti
esperienze delle scuole (documentate nel monitoraggio che ha seguito
l’introduzione dell’autonomia), dalle quali emerge una ricerca diffusa sul
versante didattico e organizzativo, anche attraverso iniziative di rete, a
norma di quanto previsto dal DPR 275/99 agli art. 3,
4, 5, 6, 7. In questo quadro non si comprende la ragione che ha indotto ad una ri-scrittura di quella parte dei Programmi del ’79 in cui erano definite le premesse, le finalità, gli
obiettivi generali del processo educativo. Il testo, di difficile lettura, non
chiarisce i livelli essenziali di prestazione a cui tutte le scuole secondarie
di 1° grado del Sistema nazionale sono tenute e non essendovi chiarezza di
caratteri e fini, si generano incongruenze, ambiguità e sovrapposizioni.
Ci riferiamo ad esempio al
modo in cui è presentato il tema "filosofico" del confronto del
preadolescente con il problema del modello e più in
generale a tutte le questioni sollevate nella descrizione dei tratti educativi
della scuola secondaria di primo grado. In questo ambito,
vogliamo segnalare che, proprio per le caratteristiche dei preadolescenti,
sarebbe più opportuno non parlare di modello al singolare, ma compiere scelte
culturali a vantaggio della problematizzazione,
affidando alla scuola e agli insegnanti il compito di promuovere, attraverso
l’utilizzo di più modelli, atteggiamenti di analisi critica e di pensiero libero,
di riflessione.
Il processo di costruzione
della conoscenza in questa delicata fase dell’età evolutiva è "plurale"
e va accompagnato dagli adulti con cautela, avendo cura di evitare che esso sia
ancorato ad un unico modello.
Né convince la scelta di
mantenere ferme solo alcune affermazioni di principio già presenti nei
Programmi del '79 (scuola che colloca nel mondo, scuola orientativa) e
di cassarne altre (scuola della formazione dell'uomo e del cittadino, scuola
secondaria nell'ambito dell'istruzione obbligatoria) esplicitamente
riferite al testo costituzionale, sostituendole con affermazioni solo
apparentemente più vicine ai problemi di questa fascia
d'età e alle richieste della società o di una parte di essa (scuola dell'educazione
integrale della persona, dell'identità, della motivazione e del significato,
della prevenzione dei disagi e del recupero degli svantaggi, della relazione
educativa).
A parere del COSME è
proprio l'orizzonte costituzionale in cui si muovevano le formulazioni
precedenti che assicurava la necessaria, dovuta
attenzione ai problemi identitari e di motivazione
dei preadolescenti, ovvero tutte quelle azioni educative e didattiche che
possono consentire di "rimuovere gli ostacoli…" sul terreno
della dispersione, del disagio, dello svantaggio. garantendo
il successo scolastico per tutti. Principi fondanti della scuola media, così
come si è venuta costruendo a partire dalla sua istituzione nel ’62, incentrati
sulla continuità educativa, sulla programmazione collegiale, sull’estensione
del tempo scuola, sul documento di valutazione personale in cui conoscenze e
competenze sono riconoscibili in un percorso individualizzato (la scuola di
tutti e di ciascuno) rischiano di essere cancellati, soppiantati da una
logica piegata al mercato attraverso la riduzione del tempo scuola collettivo e
l’apertura alla domanda individuale delle famiglie
.
Non convince, inoltre, la
scelta di separare così nettamente (esaltando il valore simbolico della
rottura) la primarietà dalla secondarietà,
poiché tale scelta non tiene in alcun conto l'esperienza maturata, pur fra
mille difficoltà, sul terreno della continuità educativa fra scuola
dell'infanzia, elementare e media, che negli istituti comprensivi è diventata
sfida culturale sul terreno innovativo del curricolo verticale e
dell'organizzazione del lavoro.
E, proprio a proposito
degli istituti comprensivi (il 43% delle istituzioni scolastiche presenti
nel Paese), si sottolinea che nel testo in esame (e
quindi nella bozza di decreto legislativo) non vi è alcuna riflessione al
riguardo, mentre, a parere del COSME essi rappresentano i luoghi in cui
concretamente si sperimentano nuovi modelli organizzativi e nuove proposte
didattiche, nel segno della continuità educativa.
A proposito del Portfolio, si esprimono forti perplessità sul fatto
che esso sia presentato nelle Indicazioni nazionali come uno strumento di
valutazione e, contemporaneamente, di orientamento.
L'esperienza più che decennale del documento/scheda di valutazione ha
evidenziato la necessità di tenere distinte le funzioni che
attengono alla misurazione – valutazione da quelle più propriamente pedagogiche
e di documentazione dei percorsi.
Misurare, valutare
prestazioni e/o competenze è, sul piano didattico,
operazione assai diversa dal riconoscere e dal valorizzare stili cognitivi e
stili di apprendimento, anche per le implicazioni connesse con le strategie
didattiche messe in atto in autonomia dai singoli docenti e dal consiglio di
classe.
La valutazione dei
processi di insegnamento-apprendimento comporta un
delicato lavoro di osservazione e descrizione (anche narrativa) dei percorsi
formativi. Per come sono formulate nelle Indicazioni nazionali la funzione e le
caratteristiche del Portfolio
vi è il rischio, piuttosto evidente, che il medesimo si trasformi in un atto
amministrativo e/o che esso segni precocemente il percorso scolastico degli
alunni, al punto di influenzare la valutazione e condizionare le scelte di
studio successive..
Né ci sembra utile
determinare, e proprio sul terreno delicato della valutazione, conflitti fra soggetti
con responsabilità educative diverse, quali sono gli insegnanti e i genitori, attribuendo
a questi ultimi il compito di formulare osservazioni sui “metodi di apprendimento” utilizzati dai loro figli. Oltre che
inopportuni e discriminanti, interventi in tal senso si leggono come gravi
interferenze e su un terreno particolarmente delicato, qual è quello della valutazione,
che è di stretta competenza dei docenti.
Il coinvolgimento
dell’allievo e della sua “famiglia” non avviene nella compilazione del Portfolio, ma durante tutto il percorso educativo, nelle
forme e nelle modalità che, in autonomia, le singole
istituzioni scolastiche riterranno di mettere a disposizione per sostenere il
dialogo educativo.
Nelle Indicazioni nazionali
è enfatizzato il passaggio dagli obiettivi specifici di apprendimento
agli obiettivi formativi sino alla personalizzazione dei piani di studio.
Questo aspetto induce il
COSME a chiedere che sia posta la dovuta attenzione alle prerogative della
scuola come istituzione scolastica autonoma, al ruolo e alla funzione degli Organi
collegiali, alla libertà di insegnamento. Sul concetto
di personalizzazione esprimiamo convintamene la nostra scelta a vantaggio del
principio di individualizzazione introdotto con la legge
517/77, che corrisponde nella pratica al lavoro della scuola media sul terreno
della ricerca dei percorsi di apprendimento -insegnamento più idonei, e proprio
in relazione alle caratteristiche dei singoli alunni.
Facciamo, inoltre,
notare che il modello interpretativo sotteso al concetto di personalizzazione
adatta i traguardi dell’istruzione alla previsione di successo dei singoli, una
sorta di determinismo tra caratteristiche dei singoli e livello degli
apprendimenti.
Una modalità tutt’altro che giocata sulla centralità del soggetto che
apprende, più volte richiamata nel documento in esame. Non ci sembra
accettabile, in educazione, che i risultati siano
garantiti solo ad alcuni; soprattutto non condividiamo che si stabilisca a
priori chi debba raggiungerli e chi no.
Nel merito, infine, alcune
osservazioni sul paragrafo Vincoli e risorse
in ordine al tempo scuola, al principio della scelta educativa delle famiglie,
alla figura del docente tutor - coordinatore e agli
studenti in situazione di handicap.
Nel DPR 275/99 il Piano
dell’offerta formativa implica la capacità di ogni
scuola di progettare e realizzare un proprio piano dell’offerta formativa, un
impegno esplicitamente richiamato all’articolo 3 di detto articolo. Tanto si
richiama in quanto si vuole sottolineare che il POF
non è un adempimento burocratico, ma piuttosto un atto di indirizzo che impegna
tutte le componenti scolastiche nei confronti di chi fruisce del servizio
educativo e più complessivamente della comunità sociale. In questo senso, pur
ritenendo vincoli e risorse, tra gli altri, il tempo scuola e l’organico
d’istituto, non si condividono le scelte adottate, foriere di un
depotenziamento delle risorse culturali e professionali a disposizione delle
scuole, in ragione di una lettura restrittiva dei vincoli – risorse, come
appare nel documento in esame, una scelta lontana dalle
quelle fatte nel DPR 275/99, e proprio in materia di vincoli – risorse.
Per queste motivazioni,
non si condivide ad esempio la scelta di ridurre il tema del temposcuola a ragionamenti che ne evidenziano esclusivamente il carattere quantitativo, né
si condivide una scelta di collocare il tempo obbligatorio al di sotto
della soglia delle 30 ore
settimanali, oggi garantite in tutte le istituzioni scolastiche,
né il venir meno dell'opzione del tempo prolungato e del tempo pieno, che ha
rappresentato una risposta coerente a bisogni e richieste provenienti dalle
famiglie e dal territorio più in generale. Il tempo scuola ha
sempre rappresentato una delle principali risorse per garantire le
competenze culturali necessarie.
Non si può sottacere,
inoltre, la contraddizione tra l'ampliamento ipotetico delle discipline e delle
educazioni e la sottrazione di ore perfino agli
ordinamenti attuali, ore ritenute nettamente insufficienti dagli operatori
scolastici e dalle stesse famiglie.
A tal proposito, appare
come una forzatura e un ulteriore elemento di
frammentazione l'ipotesi di attribuire nell'ambito delle 891 ore, una quota
oraria non quantificata ai curricoli da definirsi da parte delle Regioni. Tale
ipotesi riduce ulteriormente gli spazi di autonomia
delle scuole, ne impoverisce la capacità progettuale e di decisione, non tiene
conto che proprio in ragione della legge costituzionale 3/2001 le Regioni e gli
Enti locali hanno il potere di proporre attività di formazione, ma possono
intervenire esclusivamente, attraverso la programmazione e l'offerta di
elementi formativi aggiuntivi.
Sul tempo scuola è del
tutto evidente che, anche in presenza dell'utilizzo di
tutte le 198 ore a disposizione della scuola, esso rimane al di sotto
dell'attuale modello di tempo prolungato.
Inoltre si fa notare
che, dal momento che non sono quantificate né la quota spettante alle Regioni,
né quella spettante alle istituzioni scolastiche autonome, tenendo conto dell'orario
attribuito alle singole discipline, il modello proposto si attesta su un monte ore
assolutamente insufficiente a garantire un’offerta formativa
adeguata.
Non si comprende il
mancato riconoscimento del tempo mensa nell'orario annuale; la scelta contrasta
sia con quanto negoziato nel recente contratto di lavoro sia con quanto si sostiene
in ambito pedagogico in merito alla valenza educativa di questo spazio, particolarmente
nel settore della scuola dell'infanzia e nel primo ciclo dell'istruzione.
Vengono meno, a parere del
COSME, e proprio sul tempo scuola (nella proposta in esame al tempo
obbligatorio di circa 27 ore a settimana si aggiunge un tempo opzionale e facoltativo
di 6 ore), le garanzie a tutela della pluralità dell'offerta, attualmente garantita sul territorio nazionale dalla
compresenza di modelli orari diversi ( 30 - 33 - 36 - 40 ore) e di conseguenza
tutte quelle opzioni culturali che sono presenti in quei modelli orari (fra gli
altri ad esempio l’insegnamento della seconda lingua, le attività integrative
etc.).
Inoltre, in merito alle
richieste delle famiglie, mentre si condivide che la scuola debba aderire
ai bisogni formativi che provengono dalla società
predisponendo le necessarie proposte, suscita parecchie perplessità l'idea
che ciascuna famiglia possa formulare le proprie richieste all’atto
dell’iscrizione.
L’offerta formativa
della scuola non può essere soddisfatta rispondendo a domande formulate a
livello individuale. C’è il rischio, infatti, che una tale visione sia fonte di richieste legate più alle mode transitorie che
a un progetto di scuola capace di rispondere ai bisogni di ogni individuo e
della collettività.
Il ruolo delle famiglie
nella scelta è centrale, ma esso va esaltato a partire dalla riforma degli organi
collegiali e degli organi di partecipazione democratica, i soli che possono ricondurre
a sintesi e mediare tutte le esigenze, anche attraverso un filtro che,
superando le mode momentanee, punti invece all’attuazione di insegnamenti
in grado di determinare crescita culturale individuale e collettiva.
Non è da sottovalutare,
infine, fermi restando il ruolo e le prerogative della contrattazione sindacale,
che si creerebbero le condizioni per una mobilità coatta territoriale e
professionale eccessiva ed una precarizzazione del
personale della scuola, particolarmente grave in rapporto alla qualità degli
esiti formativi.
Peraltro la scelta di opzioni o offerte facoltative non può che avvenire che
contestualmente all’atto dell’iscrizione, dal momento che il Piano dell’Offerta
Formativa non può essere vincolato a scelte successive alla sua adozione da parte
degli organi collegiali della scuola (il collegio docenti, il consiglio di
istituto).
Non è chiaro se l'organico
di istituto comprenda le 198 ore annue a disposizione
delle famiglie e, ove non le comprenda, come si risolve il problema del
personale in esubero. Se la previsione di organico
fosse legata alla scelta delle attività opzionali e facoltative delle famiglie,
non ci sarebbero condizioni di stabilità per il personale a tempo
indeterminato, con il rischio del tutto evidente di introdurre forme di lavoro
a tempo, con un incremento dei contratti a prestazione d'opera, fortemente
negative sul piano della qualità.
Viene meno la tenuta e
l'unitarietà del progetto educativo, compromessa anche dalla proposta di
laboratori facoltativi di rete, affidati anch'essi a
esperti con contratti d'opera, a domanda individuale e a pagamento per chi può
permetterseli. Il mancato inserimento di tutto l’orario nell’organico di diritto
vanifica anche le legittime attese di chi da anni aspetta
di trasformare il proprio rapporto di lavoro in incarico stabile.
La mobilità volontaria, garantita dagli attuali contratti e ordinanze,
non può andare incontro alle restrizioni previste dal comma 1 del paragrafo
Vincoli e risorse. L’applicazione di tale comma penalizzerebbe il personale
costringendolo a delle scelte. Ad esempio
diventerebbe particolarmente grave il caso di chi, avendo più
classi (1 – 2 – 3) non potrebbe di fatto mai spostarsi.Si
potrebbe eventualmente rendere volontaria la permanenza con opportune forme di incentivazione (attraverso punteggi aggiuntivi e/o
adeguati riconoscimenti economici), come già riconosciuto per chi insegna in
istituzioni scolastiche collocate in aree a rischio.
Sull’individuazione di un
docente con funzioni di coordinatore – tutor, il COSME esprime forti
preoccupazioni: non sono chiari il profilo, i carichi di lavoro, le competenze richieste,
i meccanismi di designazione.
Qualora si tratti di interventi a sostegno degli studenti o di lavoro di
compilazione e aggiornamento del Portfolio si chiede
di chiarire qual è, nel primo caso, il rapporto con le funzioni strumentali con
analogo incarico e, nel secondo caso, quali sono i rapporti con gli organismi
collegiali (in primo luogo il consiglio di classe, peraltro mai nominato) e con
i soggetti a vario titolo coinvolti nel processo educativo. O
forse l’équipe pedagogica è candidata a sostituire l’attuale consiglio di
classe?
Non si capisce nella
formulazione del testo cosa si debba intendere con la
scelta di un tutor “ per ogni gruppo di allievi”; non
è chiaro, infatti, se ci si riferisca alla classe per intero, a un gruppo di
essa, a gruppi provenienti da classi diverse. Inoltre, il docente con funzione
di tutor evidenzia un nuovo profilo professionale non
contemplato nei contratti di lavoro, in aperto contrasto con le prerogative
proprie del singolo insegnante e con il ruolo del consiglio di classe per
quanto attiene al processo di insegnamento –
apprendimento e al principio della corresponsabilità educativa. Si affida ad un
insegnante, senza alcuna chiarezza di procedure, di individuare e intercettare
l’organizzazione della domanda delle famiglie sul territorio, un compito assai
delicato, che potrebbe orientare oltre misura i
destini degli studenti.
Infine, certamente non per
importanza, si segnala l’assenza del tema dell’ handicap
e delle problematiche ad esso collegate. Al di là del
dichiarato (scuola della prevenzione del disagio e recupero degli
svantaggi), non si coglie la dimensione del problema e si fanno
scelte nettamente al di sotto di quanto la scuola media ha
realizzato fin dalle prime esperienze di integrazione scolastica e
successivamente nello spirito della legge 104/92 e della normativa di riferimento.
Si fa notare, in
particolare, l’ambiguità di quanto previsto all’art. 16, comma 1 della bozza di
decreto legislativo per gli studenti in situazione di handicap. Non si
comprende, infatti, se ci si richiami allo spirito originario della legge
104/92 con gli investimenti in risorseumane e
formazione per la “vera” integrazione scolastica e l’inclusione sociale degli studentiin situazione di handicap oppure se ci si
riferisca, per sancirla come scelta definitiva, ai taglidel personale realizzati nelle recenti
finanziarie.
CONCLUSIONE
Il CNPI chiede al Ministro
dell’Istruzione Università e Ricerca di considerare, congiuntamente alle
proposte degli organismi istituzionali, anche i contenuti della presentepronuncia ai fini della definizione finale del decreto legislativo.